Arte al femminile (8)

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In Europa, tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’’800, si afferma una pittrice svizzera, Maria Anna Catharina Angelika Kauffmann (Coira, Cantone dei Grigioni, 1741- Roma 1807). Anche lei, come le pittrici di cui ho parlato in altri post, inizia a dipingere con il sostegno del padre, Johann Joseph, pittore mediocre, che le impartisce le conoscenze fondamentali sull’uso del colore. Inizialmente il padre la fa esercitare attraverso la copia di modelli in gesso e di stampe, di cui aveva una considerevole raccolta. Specializzata nella ritrattistica e nei soggetti storici, rivela notevoli doti come musicista e cantante. Studia lingue e segue, con la guida di un precettore, studi filosofici e letterari. Il padre, per perfezionare la sua preparazione, la accompagna in Italia, per farle conoscere gli ambienti artistici così fiorenti allora: visita Parma, Firenze, Venezia, Roma. Il suo talento la rende ben presto famosa, tanto che viene chiamata a Londra, dov’è l’unica donna tra i fondatori della Royal Academy of arts. Il Presidente dell’Accademia inglese nutre per lei una vera passione, non ricambiata. Entra a far parte della scuola d’incisione di Francesco Bartolozzi e diventa sua collaboratrice in varie opere. Ama in modo particolare la pittura collegata alla storia, scelta inusuale per una pittrice e scandalizza perché è la prima donna a dipingere nudi maschili di ispirazione classica. Nel 1767 sposa il sedicente conte F.Horn, che si rivela presto un impostore e da cui si separa dopo un anno. Rimasta vedova, si sposa con un artista, Antonio Zucchi, che segue a Roma, dove apre un salotto frequentato da personaggi illustri, tra i quali Goethe, che parla di lei nel suo “Viaggio in Italia”. Si perfeziona nella ritrattistica, tanto che viene chiamata a dipingere anche l’imperatore Giuseppe II. Negli ultimi anni della sua vita è molto provata da rovesci di fortuna e dalla morte del marito, al quale sopravvive, struggendosi di dolore, per vari anni. Il suo funerale viene organizzato da Canova: vi partecipano molti artisti e letterati famosi. Due sue opere sono portate in processione con un calco della sua mano.

Diceva: “ La povertà non mi spaventa, ma la solitudine mi uccide”.

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“Stasera a casa non ci torno” racconta viaggi, esperienze e amori di donne friulane costrette a emigrare per aiutare le famiglie e per migliorare le proprie condizioni di vita. Il libro si basa su un’accurata documentazione, che ci fa conoscere donne che, con coraggio impareggiabile, si sono spinte in paesi lontani, mettendo in gioco le proprie abilità o inventando nuovi sistemi di lavoro. Molto interessante e poco conosciuta la parte relativa all’emigrazione in Canada.

Gabriella Del Duca, laureatasi presso l’Università di Pisa con una tesi su Storia e Critica del Cinema, ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento di materie letterarie nella scuola media, svolgendo l’attività di insegnante in provincia di Pordenone dal 1972 al 2003. Ha poi lavorato come docente di lingua italiana per stranieri per il comune di Fiume Veneto. Innumerevoli i corsi di formazione da lei seguiti, così come i laboratori attivati: interessante soprattutto la creazione di un Centro delle Biografie, che raccoglie le storie di vita delle persone “comuni”, intendendo l’autobiografia come cura di sé. Ha creato la collana “I quaderni della memoria”, approfondendo il filone tematico dei ricordi quale patrimonio sociale.

L’esperienza di narratrice si collega alla passione per l’autobiografia e la biografia. Vincitrice di un concorso radiofonico indetto da Radio tre, legge alla radio il testo “La pazienza”(1996).

Finalista in vari concorsi, pubblica nel 1999 “Stasera a casa non ci torno”, cui seguono “L’oro delle case di riposo”(Roma 1999); “Avevo uno zio che era un fuorilegge” (Ve, 2003); “Era una Zanussi, l’Egitto, una volta” (Ve, 2004); “Ho visto il mondo che esplodeva” (Ve, 2005); “L’altra Elisa” (Mo, 2005),“Pezzi di vino sotto la giacca” (Ve, 2007). Si è dedicata anche al teatro, trasponendo sulla scena storie raccolte dal Centro delle biografie.

Altra lettura “estiva”…

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“Il profumo delle notti sul Nilo”ha fatto la sua comparsa in libreria, in prima edizione, nell’ormai lontano 1997.

Gli elementi da cui prende spunto la storia sono: un vecchio baule da viaggio, un arazzo egiziano, un diario rilegato, un pacchetto di lettere, un fascio di giornali inglesi e arabi dei primi del Novecento. Sono frammenti di un passato intenso e passionale. Rinasce così la storia di un amore travolgente, che ha come protagonisti Lady Anna e Sharif Pasha. Tutto si era svolto in un Egitto piegato dal colonialismo inglese, incurante della dignità del popolo egiziano, dei suoi ideali, della sua cultura. L’Egitto è l’altro protagonista del romanzo, coi suoi profumi, coi suoi colori, il tutto esaltato da quel contrasto tra antico e moderno che ancora oggi è caratteristico di questo paese. Il viaggio di Lady Anna in Egitto era iniziato da Alessandria, nei primi anni del ‘900. Un viaggio che aveva lo scopo di attenuare il dolore causato dalla prematura scomparsa del marito, lasciatosi letteralmente morire, a seguito degli orrori vissuti in prima persona nella guerra contro il Sudan. Ma né la mediterranea Alessandria, né la frenesia del Cairo riescono a riempire il vuoto con cui Anna è costretta a combattere. Soltanto il Sinai, il calore dei suoi giorni, il freddo delle sue notti, i colori accesi delle sue albe e dei suoi tramonti, come anche la sensazione di poter sfiorare le stelle del suo cielo consentono ad Anna di rinascere a nuova vita. Anna scopre l’amore di Sharif Basha el-Baroudi, importante esponente della borghesia egiziana: è l’incontro fra due culture in antitesi, tra due lingue diametralmente differenti. A distanza di quasi un secolo, è Isabel, nipote di Anna, insieme ad Amal, discendente di el-Baroudi, a rivelare il contenuto, gelosamente conservato, del baule. Si ricongiungono così i fili della storia di due famiglie, che hanno intrecciato in maniera ormai inscindibile il loro destino e che continuano a legare appassionatamente i rispettivi componenti.

Ahdaf Soueif nasce in Egitto nel 1950, da una famiglia musulmana appartenente alla borghesia intellettuale del paese. Trascorre in Inghilterra alcuni anni dell’infanzia, periodo in cui si forma sui classici della letteratura inglese e anche di quella araba. In Inghilterra torna poi per gli studi post-laurea, e continua tuttora a vivere, “a metà” tra l’Egitto e l’Inghilterra.

Come guardare con occhi nuovi alcuni aspetti della vita…

Mi hanno passato queste considerazioni e le trovo estremamente vere!…

“Se riesci ad iniziare la tua giornata senza caffeina;
Se riesci ad essere sempre allegro, ignorando i dolori fisici e le sofferenze;
Se riesci a trattenerti dal lamentarti e dall’annoiare le persone con i tuoi problemi;
Se riesci a mangiare lo stesso cibo ogni giorno ed esserne grato;
Se riesci a capire quando le persone che ami sono troppo impegnate per dedicarti del tempo;
Se riesci a passare sopra al fatto che quando qualcosa va storto, quelli che ami se la prendono con te anche se non ne hai colpa;
Se riesci ad accettare le critiche e le accuse senza rancore;
Se riesci a resistere dal trattare un amico ricco meglio di un amico povero;
Se riesci ad affrontare il mondo senza menzogne ed inganni;
Se riesci a vincere la tensione senza aiuti medici;
Se riesci a rilassarti senza alcolici;
Se riesci a dormire senza l’aiuto di farmaci;
Se riesci a dire onestamente dal profondo del cuore che non hai pregiudizi di credo, colore,religione, di preferenze sessuali o politiche;
Allora si può dire che hai raggiunto lo stesso livello di sviluppo del tuo cane!”.

Voglia di sognare un po’….

CenerentolaCapita un po’ a tutti di volere evadere dalla realtà e tuffarsi in un mondo tipo favola (anche se le fiabe, se le leggi attentamente, sono crudelissime…). Le illusioni colorano la vita.

Cerco di prendere al volo

frasi invitanti al sogno

parole allusive illusive

flauto magico

dell’amore delle favole.

 

Arte al femminile (7)

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Rosalba Carriera nasce a Venezia nel 1673 e da giovane studia oltre al ricamo (arte cui erano destinate le ragazze), musica e pittura. Inizia a dipingere da sola nell’ambiente familiare, incoraggiata dal padre, pittore dilettante, poi, viste le sue doti, viene mandata a bottega da Giuseppe Diamantini e Antonio Balestra, abili artisti. Comincia la sua carriera artistica dipingendo tabacchiere con figure di damine graziose, poi si dedica alle miniature su avorio. Si appassiona ai ritratti: scruta il volto di chi le sta di fronte, lo legge nei particolari, cerca di capirlo e di trasporre in pittura ciò che vede, con profondo realismo. Magistrali sono i ritratti a pastello. Ottiene riconoscimenti in tutta Europa, tanto che le commissionano ritratti principi e principesse e persino il re di Francia, Luigi XV. Entra a far parte dell’Accademia nazionale San Luca di Roma e di quella reale di Parigi. Intraprendente e dinamica, fonda una sorta di circolo culturale, cui partecipano personaggi illustri dell’ambiente artistico letterario.Gira per le corti europee e si ferma parecchio a Parigi, ma l’amore per la famiglia e per la sua città la fa tornare rapidamente a Venezia.

Di lei si conservano molti autoritratti, che ce la fanno vedere dal periodo della giovinezza a quello tragico, che precede una malattia che la rende totalmente cieca. Muore a Venezia nel 1757.

Abile e intelligente, introversa e incline alla malinconia e alla solitudine, non era bella ma ricca di fascino, seducente e raffinata conversatrice. Era anche eccellente violinista, amica di molti musicisti, come Vivaldi, Rameau, Alessandro Marcello, cui era molto legata. Considerata esponente tipica del gusto rococò, elegante, fragile, sofisticato, basò la propria pittura su un’ abile ed equilibrata base di disegno e sulla consistenza delle paste colorate, per offrire corpo e qualità alla figure.

Lettura “estiva”…

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“I cercatori di conchiglie” é il romanzo più riuscito di Rosamunde Pilcher. Protagonista è Penelope Keeling, madre di tre figli ormai adulti che, reduce da un attacco di cuore, decide di trasferirsi in campagna, dove riesce a trovare la casa adatta al periodo che sta vivendo. Nella tranquillità della nuova sistemazione Penelope ripercorre con la mente la sua infanzia e la sua giovinezza: i suoi ricordi diventano il filo conduttore di tutto il romanzo. Attorno a questo s’ intrecciano le vite dei suoi tre figli: Olivia, brillante donna in carriera, Nancy, moglie di un noioso e freddo avvocato e madre di due bambini insopportabili e Noel, affascinante single completamente immerso nel mondo del lavoro e in mille progetti. La vera protagonista rimane sempre Penelope, con la sua storia carica di forti sentimenti e grandi sofferenze che ci accompagna per tutto il libro. La sua non è stata una vita semplice: giovanissima si è innamorata di Ambrose, che poi diventerà suo marito. Penelope, piena di gioia ed entusiasmo, non si accorge della natura cinica e spietata del ragazzo. Si trova così imprigionata in una dimensione monotona e fredda, dove gli unici avvenimenti sono i continui tradimenti di lui e le sere nelle quali torna a casa ubriaco ed arrabbiato con il mondo intero. Penelope s’ innamora di Richard, un amore impossibile, e vive per anni sospesa tra una quotidianità crudele e un mondo di sogni e progetti che s’infrange improvvisamente con la morte dell’amato. Penelope ripercorre il passato con lucidità, avendo ritrovato distacco e serenità nei confronti del proprio vissuto.

“Fare affidamento soltanto su se stessi. Quella era la chiave, la sola cosa che poteva aiutarti a superare ogni crisi che il destino decidesse di farti ricadere addosso. Essere se stessi. Essere indipendenti…Essere ancora capace di prendere le mie decisioni e di dirigere il corso di quel che rimane della mia vita…”(pag.293)

“Era stato bene. E nulla di ciò che è bene è mai del tutto perduto. Rimane parte della nostra persona, diventa parte del nostro carattere…”(pag.294)

Rosamunde Pilcher, nata Scott (Lelant, Cornovaglia, 1924), ha lavorato al Foreign Office e, durante la guerra, si è arruolata come ausiliaria della Marina Militare, prestando servizio a Ceylon. Tornata in patria, si è trasferita in Scozia. Nel 1946 ha sposato Graham Hope Pilcher, assumendo il nome con cui è conosciuta in tutto il mondo come una delle più amate autrici di storie romantiche. Ha iniziato a scrivere giovanissima, pubblicando nel 1949 i primi racconti, Half-way to the Moon, con lo pseudonimo Jane Fraser e nel 1955 A Secret to Tell, il primo romanzo pubblicato con il suo nome. Del 1987 è il grande successo di I cercatori di conchiglie, che ha venduto oltre cinque milioni di copie in tutto il mondo. Grandi bestseller sono stati anche Settembre (1990), Ritorno a casa (1995) e Solstizio d’inverno (2000), con il quale ha detto addio all’attività letteraria. Dalle sue opere sono stati tratti circa ottanta film. Nel 2002 la regina Elisabetta II l’ha nominata Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico.

L’ora di tutti

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“L’ora di tutti” è ambientato alla fine del ‘400, durante l’assedio di Otranto da parte dei Turchi.

«La tematica proviene da un’area di mia ricerca storica in quanto ho lavorato a lungo sulla cultura del Regno di Napoli nel Quattrocento» dice l’autrice, così come : “Lo spunto è nato sì dai miei frequenti soggiorni estivi a Otranto, dove sentivo parlare di tutti questi martiri”.

Il romanzo è suddiviso in 5 racconti tra loro intrecciati: ogni racconto è narrato in prima persona dal protagonista. Attraverso queste vicende si ha il quadro della battaglia contro il nemico comune, della valorosa resistenza e della resa finale. I narratori sono: il pescatore Colangelo, il capitano Zurlo, la bellissima Idrusa, Nachira e Aloise de Marco, unico sopravvissuto, che racconta della rinascita della città dopo la liberazione dai Turchi. Particolarmente intenso il racconto di Idrusa, vedova di un pescatore, che si uccide mentre cerca di salvare un bambino catturato da un soldato turco. I personaggi parlano “da morti”, secondo le modalità dell’Antologia di Spoon River.

Il linguaggio, semplice e ricercato insieme, è ricco di parole desuete, di motti latini, di lemmi salentini italianizzati, segno dell’amore della Corti per la linguistica.

In questo romanzo si respira l’atmosfera degli assolati paesi pugliesi, il bianco della calce delle case, il sole abbagliante, l’arsura, il silenzio, la polvere e la difficoltà del vivere…

Gli uomini di fantasia corrono sempre un grande pericolo a vivere…

Solo i vivi contano gli anni. Ed è mutato qualcosa?…

Chi si ferma ad ogni curva per guardare indietro e vivere del passato è già uno sconfitto…

Maria Corti nasce a Milano nel 1915. Rimasta presto orfana di madre, passa l’adolescenza in collegio, presso le suore Marcelline a Milano. Sono anni difficili, confortati solo dalle molte letture. Il padre, ingegnere, lavora in Puglia e non le può stare vicino. Iscrittasi all’Università di Milano, consegue due lauree: in Lettere e in Filosofia. Inizia poi subito ad insegnare al ginnasio, prima a Chiari (Brescia), poi a Como e infine a Milano. Contemporaneamente ottiene l’incarico di assistente presso l’Università di Pavia. Descrive le sue esperienze di lavoratrice pendolare nel suo primo romanzo, “Il trenino della pazienza”. Durante la seconda guerra mondiale partecipa attivamente alla Resistenza. Alla fine della guerra inizia la carriera universitaria, dapprima all’Università del Salento, poi a Pavia. Con alcuni colleghi dell’Università di Pavia fonda la Scuola di Pavia, che si occupa di studi filologici e semiotici. Crea poi il Fondo Manoscritti di autori moderni e contemporanei, un archivio di scritti, manoscritti e appunti vari, donati da scrittori e poeti del Novecento.

Innumerevoli le sue pubblicazioni: saggi, romanzi, libri di testo, articoli…Fonda varie riviste e collabora a quotidiani e ad iniziative editoriali. Dirige due collane presso Bompiani.

Di fisico minuto, è una lavoratrice instancabile, dalla volontà di ferro.

All’inizio del 2002, ancora attiva e lucida, muore, dopo un ricovero a seguito di una crisi respiratoria.

Come scrittrice è stata una sperimentatrice di diversi registri narrativi. I suoi romanzi sono tutti viaggi: metaforici, spaziali o storici.

Arte al femminile (6)

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Nel ‘600 in Italia si dedica al genere della natura morta una pittrice di grande valore, ma poco conosciuta, Fede Galizia.

Nata secondo alcuni a Trento e secondo altri a Milano, è figlia del pittore Nunzio: anche la data di nascita è incerta e si colloca intorno al 1578. Vive e opera a Milano. Il padre era specializzato nella decorazione di oggetti di lusso: ventagli, stemmi, ornamenti…e Fede s’impratichisce ben presto nell’attività pittorica legata alle incisioni e alle miniature. Inizia a dipingere a 12 anni. La sua formazione è prevalentemente artigianale e autodidatta, ma un po’ alla volta riceve commissioni per opere più impegnative. Arcimboldi porta alcuni suoi quadri alla corte di Rodolfo II a Praga, dove vengono molto ammirati. I contatti con la corte imperiale, insieme a quelli con l’aristocrazia e l’elite culturale milanese, contribuiscono a confermare la visibilità della Galizia nel panorama artistico cittadino. Dipinge molti ritratti, ma anche opere mitologiche e nature morte. Nei suoi ritratti si nota un’attenzione particolare per l’abbigliamento dei soggetti, che deriva dall’esperienza con il padre, che era anche costumista. La Galizia dipinge nature morte, in quanto in quel periodo c’era un rinnovato interesse per lo studio della botanica e della zoologia. Molte delle sue nature morte emergono da uno sfondo scuro grazie ad una luce decisa e fredda. Le nature morte a lei attribuite hanno un’impostazione seriale: un piano d’appoggio inquadrato da vicino, quasi sempre frontale, su sfondo cupo, frutti, fiori-per lo più pesche, pere e gelsomini- trattati con gusto geometrico della forma, in un’atmosfera rarefatta e atemporale.

Ha avuto una vita tranquilla, non si è sposata ed è rimasta a vivere nella casa paterna con la sorella Margherita e la cugina Anna. Di carattere introverso, sensibile, aveva grande ammirazione per Sofonisba Gentileschi, il cui esempio era per lei di incoraggiamento nell’intraprendere il mestiere di pittrice. Muore nel 1630, in seguito ad un’epidemia di peste.

Le sue composizioni sono particolari, apparentemente semplici, ma molto curate in ogni particolare.

 

 

 

Ancora un ricordo di Nadine Gordimer

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Di Nadine Gordimer, che ho ricordato nel post di ieri, ho letto “Un ospite d’onore”, un romanzo in cui s’intrecciano storie private e vicende pubbliche, secondo la tipica modalità di scrittura di questa grande autrice. Si tratta di un libro datato, scritto nel 1970, ma attualissimo nel contenuto. Contrariamente agli altri racconti della Gordimer non appartiene al “Johannesburg genre”, non è cioè ambientato nel terreno a lei familiare del Sudafrica urbano, ma in un immaginario paese dell’Africa centrale, che ha appena raggiunto l’indipendenza e si trova dilaniato dai gravi problemi che la libertà porta con sé: il neocolonialismo politico ed economico, lo sfruttamento straniero, i dissensi interni, l’opportunismo, la corruzione e il persistente tribalismo. Prevale su tutto la storia d’amore tra il colonnello James Bray – ex funzionario coloniale, espulso dal paese per le simpatie per il movimento rivoluzionario nero e poi invitato dal nuovo governo ad assistere alle celebrazioni per l’indipendenza- e Rebecca, una madre, donna indipendente e dalla personalità affettiva e spontanea.

Lo stile è terso e avvincente.Si tratta di una grande storia, complessa e ben strutturata. La Gordimer è una scrittrice assolutamente “imperdibile”!