Meret Oppenheim nasce a Berlino nel 1913, da padre tedesco, medico di Amburgo, e madre svizzera.
Ha un’ottima formazione, legata agli insegnamenti di Rudolf Steiner, filosofo, fondatore della antroposofia (teoria per cui la realtà universale è manifestazione spirituale in continua evoluzione) e ideatore di un nuovo approccio educativo che da lui prende il nome.
Dimostra sin da bambina grande predisposizione per il disegno, la storia e il tedesco.
In famiglia esiste una tradizione artistica, in quanto la nonna materna, Lisa Wenger, è pittrice e illustratrice di libri per ragazzi e ha grande influenza sulla nipote.
La casa dei nonni a Carona, nel canton Ticino, è frequentata da molti artisti e scrittori, in particolare dallo scrittore Herman Hesse, che ha sposato sua zia Ruth.
Nel 1931 Meret si trasferisce a Basilea, facendo conoscenza con altri artisti lì operanti.
Nel 1932, a 18 anni, la troviamo a Parigi , con la pittrice e amica elvetica Irene Zurkinden.
Frequenta l’Académie de la grande Chaumère, anche se preferisce lavorare nella sua stanza dell’hotel Odessa, a Montparnasse.
Si sperimenta nell’astrattismo, con composizioni che utilizzano materiali diversi.
Nel 1933 entra a far parte del movimento surrealista. Partecipa a varie esposizioni di questo gruppo.
Il Surrealismo vuole affrancarsi dalla ragione e far emergere ciò che rimane condizionato da una visione razionale del mondo: i sogni, l’assurdo, il fantastico. Meret incarna perfettamente questa prospettiva, ma rifiuta di farsi “imbrigliare”, segue la propria fantasia. Rivendica la propria indipendenza artistica, cercando di rinnovarsi continuamente.
Per un periodo ha una storia sentimentale con Max Ernst, ma in seguito si lega al fotografo Man Ray, che la rende protagonista di molti suoi lavori, che ne evidenziano la bellezza e lo spirito libero.
Meret ama la psicanalisi, le piacciono Klee, Modigliani, Matisse e il primo Picasso, cerca strade nuove e personali.
Inquieta e trasgressiva, fa la modella anche per riviste e case di moda, e le sue provocazioni artistiche diventano in alcuni casi linee-guida per ulteriori sviluppi artistici.
Nel 1936 i nazisti bloccano l’attività di suo padre, di origini ebraiche e la famiglia si trova in difficoltà finanziarie. Meret cerca di rendersi indipendente economicamente, collaborando con alcune case di moda, senza rinunciare alle sue idee provocatorie.
Nel 1938 intraprende un viaggio in Italia con Leonor Fini (v.n.474), pittrice, costumista e scenografa italiana.
Nel 1939 torna a Parigi per partecipare a una mostra sull’arredamento fantastico.
Si stabilisce in Svizzera e rimane inattiva pubblicamente per un periodo, per dedicarsi al perfezionamento delle proprie tecniche, seguendo lezioni di disegno e pittura presso la scuola di Basilea.
Ha un periodo di profonda crisi personale, con frequenti episodi depressivi che la portano a realizzare opere in cui la figura femminile è rappresentata di pietra, in frantumi. Il lungo periodo di crisi termina con un deciso distacco liberatorio dal movimento surrealista.
Nel 1949 sposa Wolfang La Roche, con il quale vive a Berna, sino alla morte di lui nel 1967.
Agli inizi degli anni ’50 riprende l’attività artistica, dedicandosi anche alle scenografie teatrali, al design e alla scultura.
Nel 1959 realizza prima a Berna poi a Parigi un happening, Festino di primavera, consistente in un banchetto apparecchiato sul corpo nudo di una donna, colmo di fiori, con le mani e il volto dipinti d’oro, con cui sei invitati, tre uomini e tre donne, festeggiano la fecondità della natura, rappresentata dal corpo umano. Questa viene considerata un’anticipazione della body art.
Dagli anni ’60 realizza molte personali e partecipa a collettive a Basilea, Milano, New York, Zurigo, Berna e Stoccolma. Riceve alcuni premi per la sua opera.
Si dedica alla poesia e il suo primo libro di poesie, da lei illustrato, Caroline, è dedicato a una poetessa tedesca.
Meret muore nel 1985, a 72 anni.
Sue opere sono state presentate nel 2019 nella mostra Surrealismo in Svizzera, presso il MASI di Lugano.
L’ opera più famosa è Colazione in pelliccia, tazzina e cucchiaino ricoperti di pelliccia, qualcosa di familiare che diventa inquietante. Si trova al MoMA di New York.
Altri oggetti come un paio di scarpe femminili rivoltate su un vassoio (My nurse) o un boccale di birra con una coda di pelo a fare da manico (Lo scoiattolo), mostrano la volontà di Meret di interpretare in modo nuovo oggetti di uso comune, suscitando analogie simboliche.
Lavora nel campo della moda, ideando guanti e scarpe. Le scarpe appaiono in alcune sue opere con valore simbolico.
Interessante e ricorrente è anche la figura del serpente, che ha per lei valenza positiva, in senso simbolico, monogramma con cui firma le sue opere.
Non ha mai voluto essere considerata un’artista donna, ma semplicemente un’artista, rifiutando sempre ogni distinzione di genere.
Nel 2015 è stato pubblicato il libro Meret Oppenheim-Afferrare la vita per la coda, di Martina Corgnati, che ripercorre la sua vita in modo approfondito e dettagliato.