Arte al femminile (489)

Nel passato il mondo dell’arte era interconnesso, anche se le difficoltà di comunicazione erano maggiori certamente rispetto all’oggi.

Irene Zurkinden nasce a Basilea Svizzera) nel 1909.

Il padre è doganiere e la madre istruttrice di danza. La famiglia è molto aperta e permette alla figlia, che vuole diventare illustratrice di moda, di iscriversi alla Scuola d’Arte di Basilea.

Nel 1929 si laurea, ottiene una borsa di studio e fa il suo primo viaggio a Parigi.

Frequenta l’Académie de la Grande Chaumière.

Nel 1932 torna a Parigi con l’amica Meret Oppenheim (v.n.488), conosciuta a Basilea nel 1927.

Influenzata dall’impressionismo (rappresentazione istantanea di scene e momenti), vive alternativamente tra Basilea e Parigi, guadagnando una certa reputazione come ritrattista.

Espone regolarmente a Basilea, sostenuta da importanti galleristi.

Nel 1934 incontra il musicista jazz Kurt Fenster, figlio di un artista circense brasiliano e madre tedesca. I due hanno una relazione e durante la dittatura nazista si stabiliscono a Parigi.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale Irene torna in Svizzera con i figli Nicolas e Stephan.

Dal 1942 partecipa alle mostre del Gruppo 33. Tale Gruppo è un’associazione antifascista di artisti, fondata nel 1933, per protestare contro le tendenze conservatrici delle società artistiche svizzere.

Alla fine degli anni ’30 e agli inizi degli anni ’40 realizza opere ispirate al surrealismo.

Finita la guerra, vive tra Parigi e Basilea. Fa viaggi in Marocco, Spagna e Italia.

Negli anni ’50 disegna costumi e scenografie per lo Stadttheater di Basilea. Si dedica anche all’illustrazione di libri.

Muore nel 1987.

Il suo lavoro si può ammirare alla Galerie Carzaniga di Basilea.

Arte al femminile (488)

Meret Oppenheim nasce a Berlino nel 1913, da padre tedesco, medico di Amburgo, e madre svizzera.

Ha un’ottima formazione, legata agli insegnamenti di Rudolf Steiner, filosofo, fondatore della antroposofia (teoria per cui la realtà universale è manifestazione spirituale in continua evoluzione) e ideatore di un nuovo approccio educativo che da lui prende il nome.

Dimostra sin da bambina grande predisposizione per il disegno, la storia e il tedesco.

In famiglia esiste una tradizione artistica, in quanto la nonna materna, Lisa Wenger, è pittrice e illustratrice di libri per ragazzi e ha grande influenza sulla nipote.

La casa dei nonni a Carona, nel canton Ticino, è frequentata da molti artisti e scrittori, in particolare dallo scrittore Herman Hesse, che ha sposato sua zia Ruth.

Nel 1931 Meret si trasferisce a Basilea, facendo conoscenza con altri artisti lì operanti.

Nel 1932, a 18 anni, la troviamo a Parigi , con la pittrice e amica elvetica Irene Zurkinden.

Frequenta l’Académie de la grande Chaumère, anche se preferisce lavorare nella sua stanza dell’hotel Odessa, a Montparnasse.

Si sperimenta nell’astrattismo, con composizioni che utilizzano materiali diversi.

Nel 1933 entra a far parte del movimento surrealista. Partecipa a varie esposizioni di questo gruppo.

Il Surrealismo vuole affrancarsi dalla ragione e far emergere ciò che rimane condizionato da una visione razionale del mondo: i sogni, l’assurdo, il fantastico. Meret incarna perfettamente questa prospettiva, ma rifiuta di farsi “imbrigliare”, segue la propria fantasia. Rivendica la propria indipendenza artistica, cercando di rinnovarsi continuamente.

Per un periodo ha una storia sentimentale con Max Ernst, ma in seguito si lega al fotografo Man Ray, che la rende protagonista di molti suoi lavori, che ne evidenziano la bellezza e lo spirito libero.

Meret ama la psicanalisi, le piacciono Klee, Modigliani, Matisse e il primo Picasso, cerca strade nuove e personali.

Inquieta e trasgressiva, fa la modella anche per riviste e case di moda, e le sue provocazioni artistiche diventano in alcuni casi linee-guida per ulteriori sviluppi artistici.

Nel 1936 i nazisti bloccano l’attività di suo padre, di origini ebraiche e la famiglia si trova in difficoltà finanziarie. Meret cerca di rendersi indipendente economicamente, collaborando con alcune case di moda, senza rinunciare alle sue idee provocatorie.

Nel 1938 intraprende un viaggio in Italia con Leonor Fini (v.n.474), pittrice, costumista e scenografa italiana.

Nel 1939 torna a Parigi per partecipare a una mostra sull’arredamento fantastico.

Si stabilisce in Svizzera e rimane inattiva pubblicamente per un periodo, per dedicarsi al perfezionamento delle proprie tecniche, seguendo lezioni di disegno e pittura presso la scuola di Basilea.

Ha un periodo di profonda crisi personale, con frequenti episodi depressivi che la portano a realizzare opere in cui la figura femminile è rappresentata di pietra, in frantumi. Il lungo periodo di crisi termina con un deciso distacco liberatorio dal movimento surrealista.

Nel 1949 sposa Wolfang La Roche, con il quale vive a Berna, sino alla morte di lui nel 1967.

Agli inizi degli anni ’50 riprende l’attività artistica, dedicandosi anche alle scenografie teatrali, al design e alla scultura.

Nel 1959 realizza prima a Berna poi a Parigi un happening, Festino di primavera, consistente in un banchetto apparecchiato sul corpo nudo di una donna, colmo di fiori, con le mani e il volto dipinti d’oro, con cui sei invitati, tre uomini e tre donne, festeggiano la fecondità della natura, rappresentata dal corpo umano. Questa viene considerata un’anticipazione della body art.

Dagli anni ’60 realizza molte personali e partecipa a collettive a Basilea, Milano, New York, Zurigo, Berna e Stoccolma. Riceve alcuni premi per la sua opera.

Si dedica alla poesia e il suo primo libro di poesie, da lei illustrato, Caroline, è dedicato a una poetessa tedesca.

Meret muore nel 1985, a 72 anni.

Sue opere sono state presentate nel 2019 nella mostra Surrealismo in Svizzera, presso il MASI di Lugano.

L’ opera più famosa è Colazione in pelliccia, tazzina e cucchiaino ricoperti di pelliccia, qualcosa di familiare che diventa inquietante. Si trova al MoMA di New York.

Altri oggetti come un paio di scarpe femminili rivoltate su un vassoio (My nurse) o un boccale di birra con una coda di pelo a fare da manico (Lo scoiattolo), mostrano la volontà di Meret di interpretare in modo nuovo oggetti di uso comune, suscitando analogie simboliche.

Lavora nel campo della moda, ideando guanti e scarpe. Le scarpe appaiono in alcune sue opere con valore simbolico.

Interessante e ricorrente è anche la figura del serpente, che ha per lei valenza positiva, in senso simbolico, monogramma con cui firma le sue opere.

Non ha mai voluto essere considerata un’artista donna, ma semplicemente un’artista, rifiutando sempre ogni distinzione di genere.

Nel 2015 è stato pubblicato il libro Meret Oppenheim-Afferrare la vita per la coda, di Martina Corgnati, che ripercorre la sua vita in modo approfondito e dettagliato.

Arte al femminile (487)

In questo periodo trovo veramente sbagliata la censura che viene attuata sull’arte, la musica, la letteratura russa. Cancellare la rappresentazione de “Il lago dei cigni” , sospendere corsi di lingua e cultura russa già programmati e altro ancora….Siamo al parossismo! Molti artisti russi hanno pagato con la vita la ricerca di libertà artistica e il loro impegno sociale.

Vera Ermolaeva nasce nella regione del Volga, a Keys, distretto di Petrovsky, in una famiglia di proprietari terrieri.

Una caduta da cavallo da bambina le lascia entrambe le gambe paralizzate. I genitori si recano con lei in Europa per cercare delle cure e lei riprende a camminare con le stampelle, che userà per tutta la vita. Questo non le impedisce di viaggiare, studiare e impegnarsi in campo artistico.

Frequenta una scuola a Parigi e una scuola superiore a Losanna.

Tornata in Russia nel 1904, la famiglia si stabilisce a San Pietroburgo.

Il padre vende le proprie proprietà, inizia una nuova attività, ma muore nel 1911.

Nel 1911 Vera inizia a prendere lezioni d’arte da Mikhail Bernstein, che ha introdotto in Russia elementi dell’avanguardia europea, come cubismo e futurismo.

Nel 1914 è di nuovo a Parigi, per studiare le opere dei pittori contemporanei, come Pablo Picasso, Paul Cézanne, Georges Braque e Andrè Derain.

Ritornata a Pietroburgo negli anni 1915-1916, diventa uno dei membri fondatori di un gruppo di artisti, che si occupano di diffondere libri illustrati per bambini.

Oltre all’attività pittorica Vera s’interessa di storia e si diploma all’Istituto Archeologico di San Pietroburgo.

Trova un proprio stile pittorico, che unisce neo-primitivismo e futurismo.

Dopo la rivoluzione che sconvolge il suo paese, entra nell’istituzione pubblica che si occupa di disegno. Appassionata di teatro, crea scenografie e costumi per il teatro municipale di Vitebsk.

Fa l’assistente di Chagall (v.foto), gestisce un laboratorio e insegna cubo-futurismo.

A metà del 1921 Marc Chagall, stanco delle tensioni con il potere dei vari organi politici e amministrativi, lascia la direzione della scuola d’arte di Vitebsk e Vera ne diventa rettore. Questa scuola si caratterizza per la sua apertura alle novità e per la forte componente ebraica sia tra gli insegnanti che tra gli studenti. Altra novità è la forte presenza femminile in questo istituto.

Affascinata dall’arte astratta, Vera entra nel gruppo UNOVIS, che si pone come un laboratorio sperimentale per discutere i problemi delle forme artistiche.

Nel 1922 torna a San Pietroburgo, dove diventa direttrice di un laboratorio nell’Istituto Statale di cultura Artistica. Lavora come pittrice e graphic designer.

Nel 1929 forma un gruppo di pittori che si ritrovano ogni martedì a casa sua, per presentare le loro opere e scambiare opinioni sull’arte.

Siamo in pieno periodo stalinista e il gruppo viene denunciato.

Vera viene arrestata con i suoi amici e studenti, accusata di “attività antisovietica, sotto forma di propaganda di idee e tentativo di organizzare un circolo composto da intellettuali antisovietici”.

Dichiarata colpevole, nel 1935 viene inviata a scontare la pena detentiva di tre anni nel campo di lavoro di Karaganda.

Nel 1937 le viene inflitta una seconda condanna, questa volta viene decisa la sua fucilazione, che avviene nel settembre 1937.

Nel 1989 verrà ufficialmente riabilitata.

Grande artista e grande donna, icona dell’avanguardia russa.

Arte al femminile (486)

Janet Sobel (Jennie Olechovsky) nasce nell’Ucraina orientale, a Ekaterinoslav, nel 1893.

Il padre, contadino, viene ucciso durante un progrom, massacro contro gli ebrei.

Janet, la madre (ostetrica) e i tre fratelli fuggono nel 1908 negli Stati Uniti, a Ellis Island, centro di accoglienza per gli emigrati.

A 16 anni sposa Max Sobel, incisore e orafo, da cui ha cinque figli. Gran parte dei successivi decenni sono dedicati alla cura dei figli.

Quando il figlio diciannovenne, Sol, frustrato nelle proprie ambizioni artistiche, cede i suoi materiali alla madre, questa inizia a sperimentare la creazione di dipinti. Le prime opere si caratterizzano per forme di sogno che fluttuano in paesaggi incantati, rifacendosi al folclore ucraino.

Un po’ alla volta abbandona l’aspetto figurativo, per sperimentare liberamente nuove modalità: usa un contagocce di vetro per spruzzare il colore o il forte risucchio di un’aspirapolvere per trasformare gli schizzi bagnati in sottilissime gocce, anticipando la pittura a gocce di Pollock. Realizza i suoi dipinti su ritagli di carta e cartone.

Incontra emigrati come lei, impegnati culturalmente: Max Ernst, Andrè Breton, il filosofo John Dewey. In particolare John Dewey sostiene la sua produzione artistica e scrive una gratificante recensione in occasione di una sua mostra nel 1944, alla Puma Gallery, sulla 57a strada.

Janet ama ascoltare musica mentre dipinge, traendone a volte ispirazione. Molti quadri si collegano ai traumi della sua infanzia, all’olocausto, alla guerra.

Peggy Guggenheim, leggendaria promotrice d’arte, include i lavori di Janet in The Art of this Century Gallery nel 1945.

La critica tende a sminuirne il lavoro, definendola: “primitiva”, “curiosa”, “casalinga”, quest’ultimo termine usato in senso spregiativo. In realtà il suo lavoro verrà rivalutato nel tempo.

Purtroppo il marito si trasferisce con la famiglia a Plainfield, nel New Jersey, per essere più vicino a una sua impresa e Janet si trova svantaggiata nella sua carriera artistica.

Ad aggravare la sua situazione vi è poi il trasferimento in Europa di Peggy Guggenheim, sua principale sostenitrice.

L’insorgenza di un’allergia verso un ingrediente delle vernici, le fa abbandonare la tecnica della pittura a goccia, per ripiegare sull’uso dei pastelli, a lei meno favorevoli.

Un po’ alla volta il suo nome viene dimenticato nel mondo dell’arte.

Muore nel 1968.

I suoi dipinti verranno rivalutati nel tempo e le verrà riconosciuto il merito di avere inventato nuove tecniche espressive. Suoi lavori si trovano al MoMA di New York.

Viene riconosciuta la sua influenza sull’espressionismo astratto e avere anticipato la modalità di pittura, che renderà poi famoso Pollock, che in realtà aveva avuto modo di vedere i dipinti di Janet e ne era rimasto molto colpito.