Arte al femminile (192)

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Anna Lea Merritt nasce a Philadelphia (in Pennsylvania, Stati Uniti d’America) il 13 settembre 1844. Il suo nome da ragazza è Anna Massey Lea. Riceve un’istruzione classica, mentre l’educazione artistica è limitata e formale. Non potendo accedere a un’Accademia d’Arte, in quanto donna, dipinge da autodidatta e in seguito studia anatomia presso il Medical College of Pennsylvania. Nel 1865 si trasferisce con la famiglia in Inghilterra. Dopo un breve tour artistico a Firenze, Dresda e Parigi, si stabilisce a Londra, dove espone. Conosce Henry Merritt, prima suo tutore, poi suo marito nel 1877. Il pittore ha 22 anni più di lei e muore per un incidente dopo 3 mesi di matrimonio. Anna dipinge per lui la sua opera più nota, Amore proibito, oggi esposta alla Tate Gallery, il museo che ospita la collezione nazionale di arte britannica. Avrebbe voluto trasformare il soggetto del quadro in un monumento in bronzo, ma rinuncia al progetto per mancanza di mezzi. La figura in attesa fuori dalla porta massiccia rappresenta per l’artista il suo amore, che attende di ricongiungersi con l’amato dopo la morte.

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Anna rimane in Inghilterra, anche se spesso torna a Philadelphia per visitare la sua famiglia, stabilitasi di nuovo in America. Dopo la morte del marito pubblica un memoriale a lui intitolato “Henry Merritt“. Studia l’arte dell’incisione. Negli anni successivi trascorre spesso l’inverno in Egitto, in cerca di un clima migliore per motivi di salute. Scrive le sue memorie. Muore a Hurstbourne Tarrant, Hants, il 7 aprile del 1930.

Nel 1900 scrive: “Il principale ostacolo per il successo di una donna è che lei non potrà mai avere una moglie. Basta riflettere su ciò che una moglie fa per un artista: rammenda le calze; mantiene la sua casa; scrive le sue lettere; fa visite a suo beneficio; scongiura intrusi; è personalmente suggeritrice di belle immagini e modella ;è sempre un critico incoraggiante e parziale. È estremamente difficile essere un artista senza questo aiuto per risparmiare tempo. Un marito sarebbe del tutto inutile “.

E’ una delle pittrici americane più importanti dell’Ottocento, sostenitrice dell’ingresso delle donne nelle arti. È nota per i suoi ritratti vittoriani, i dipinti allegorici e religiosi, paesaggi e scene floreali e ha avuto successo nonostante le difficoltà che ha incontrato come artista professionista.

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Racconti pieni di fascino…

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Mobili di famiglia è una raccolta di 24 racconti composti da Alice Munro dal 1995 al 2014. Le storie sono varie, con personaggi complessi che, partendo da un contesto sociale e geografico specifico, hanno tratti di intensa umanità e costituiscono prototipi di tipi umani. Le vicende dei vari personaggi si svolgono su sfondi di paesaggi e ambienti sapientemente descritti, che corrispondono alle emozioni, alle tensioni, ai sentimenti e alle azioni che via via si dipanano, senza conclusioni precise, perché alla fine tutto è come sospeso, lasciando possibilità di finali che ognuno può immaginare. In alcuni racconti la Munro s’ispira alla propria vita o a quella dei suoi famigliari, traendo da queste esperienze tratti comuni alla vita di tanti.

“Sono storie che parlano di vita, una vita che può riguardare tutti, perché tutti possiamo essere vittime di scherzi, di malattie, di un passato che non riusciamo a dimenticare o che sparisce dalla nostra mente senza che possiamo far nulla per evitarlo. Tutti almeno una volta ci siamo ribellati, abbiamo osato, abbiamo compiuto un gesto, che sia una fuga o un semplice, banalissimo bacio, senza sapere dove ci avrebbe portato e se davvero avrebbe cambiato qualcosa. Tutti amiamo e abbiamo amato….”

Si legge a un certo punto “Non pensai alla storia che avrei scritto su Alfrida – non a quella in particolare – ma al lavoro a cui volevo dedicarmi, più simile a una mano che acciuffi qualcosa nell’aria che alla costruzione di storie. Le grida della folla mi arrivavano come un violento battito cardiaco, pieno di sofferenza. Solenni, splendide onde sonore con il loro remoto consenso e il loro lamento quasi sovrumano. Era questo che volevo, questo su cui pensavo di dovermi concentrare; così volevo la vita.”

“Ognuno sa come funziona una casa, come essa delimita lo spazio e crea collegamenti tra uno spazio chiuso e l’altro e fa vedere in modo nuovo quello che c’è fuori. Questo è il modo meno approssimativo che possiedo per spiegare come funziona una storia per me, e come vorrei che le mie storie funzionassero per gli altri.” (Alice Munro)

Una lettura affascinante!!

Alice Munro, premio Nobel per la letteratura 2013, è la più importante autrice canadese contemporanea. È cresciuta a Wingham, Ontario. Ha pubblicato numerose raccolte di racconti e un romanzo. Fra i molti premi letterari ricevuti, per tre volte il Governor General’s Literary Award, il National Book Critics Circle Award, l’O. Henry Award e il Man Booker International Prize. I suoi racconti appaiono regolarmente sulle più prestigiose riviste letterarie. Con Einaudi ha pubblicato Il sogno di mia madre (2001), Nemico, amico, amante… (2003), In fuga (2004), Il percorso dell’amore (2005), La vista da Castle Rock (2007 e 2009), Segreti svelati (2008), Le lune di Giove (2008), Troppa felicità (2011), Chi ti credi di essere? (2012), Danza delle ombre felici (2013), Uscirne vivi (2014) e Lasciarsi andare (2014).

Arte al femminile (191)

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Emma Sandys nasce a Norwich (città in una regione del Sud- Est dell’Inghilterra) nel 1843, in una famiglia di artisti. Il padre le dà le prime lezioni di pittura e il fratello Frederick Sandys la introduce nell’ambiente dei preraffaelliti, Il suo primo dipinto è datato 1863. Espone le sue opere sia a Londra che a Norwich tra il 1867 e il 1874. Si stabilisce per qualche anno a Londra. Predilige i ritratti di donne e bambini, in abiti medioevali, su sfondi di fiori dai colori vivaci. Muore a Norwich nel 1877.

Il suo amore per il medioevo la porta a dipingere figure femminili a mezzo busto, intense, quasi perse in un sogno, che guardano in lontananza. Elementi simbolici e cura dei dettagli danno fascino ai suoi quadri.

Qualche suo dipinto si trova nel Norwich Castle Museum & Art Gallery.

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Arte al femminile (190)

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Kitty Lange Kielland nasce nel 1843 a Stavanger in Norvegia, bella cittadina in prossimità di cinque laghi e tre fiordi. La sua è una famiglia benestante. Pur avendo avuto una formazione in disegno e pittura, solo a 30 anni può cimentarsi come pittrice professionista. Nel 1873 si reca a Karlsruhe, in Germania, dove prende insegnamenti da Hans Gude, pittore norvegese trasferitosi lì da anni: come donna non può accedere ai corsi normali, ma è costretta a prendere lezioni private. Segue gli insegnamenti di Gude per due anni, perfezionando la tecnica di pittura del paesaggio. Nel 1875 è a Monaco di Baviera, dove frequenta un gruppo di artisti norvegesi. Nel 1876 ritorna in Norvegia e inizia a esplorare lo Jaeren, un distretto pianeggiante nella parte sud occidentale della Norvegia: il paesaggio uniforme, monotono, con i cieli immensi, le torbiere scure e i lenti ruscelli diventa uno dei suoi soggetti preferiti, tanto che ritorna ogni estate in questo luogo. Kitty vede la bellezza in uno scenario cupo, ignorato dall’arte norvegese. Nel 1879 si trasferisce a Parigi, dove espone i suoi dipinti per la prima volta al Salon. Per alcuni anni è allieva del pittore paesaggista Leon Pelouse. Dopo dieci anni torna in Norvegia, dove alterna il lavoro di artista alla partecipazione a dibattiti pubblici sui diritti delle donne. Il suo linguaggio artistico si semplifica. Immagini di fiori in grassetto e scene in alta montagna predominano negli ultimi dipinti. Le sue scene d’interni la collegano al Romanticismo. Negli ultimi anni della sua vita si ammala di demenza senile e muore a Kristiania (Oslo) nel 1914. A lei è dedicata una strada in un sobborgo a ovest di Oslo.

Le sue opere si trovano per lo più in collezioni private.

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Arte al femminile (189)

I ritratti dell’epoca ci rimandano l’immagine di una donna di grande fascino…

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Cristina Trivulzio di Belgioioso è stata molto famosa ai suoi tempi per l’apporto dato alla causa dell’Unità d’Italia, per la bellezza, il coraggio, l’anticonformismo. Nasce a Milano nel 1808 in una famiglia nobile e ricca da Gerolamo Trivulzio e Vittoria dei Marchesi Gherardini. Il padre muore quando lei ha solo 4 anni. La madre si risposa un anno dopo con Alessandro Visconti d’Aragona, da cui ha altri quattro figli. Bambina gracile e timida, Cristina ha un’infanzia serena, circondata dall’affetto del patrigno e dei fratelli. Viene educata in casa, secondo i dettami del tempo: studia lingue straniere, soprattutto francese, un po’ di geografia e matematica. Determinante per la sua formazione è il rapporto con l’insegnante di disegno, Ernesta Bisi, che le fa conoscere gli ideali risorgimentali, destando l’avversione del nonno materno, Gran Ciambellano dell’imperatore d’Austria. A 13 anni subisce un altro dolore: il Visconti, che ha sostituito il padre nel cuore della fanciulla, viene arrestato con l’accusa di aver partecipato ai moti carbonari del 1821.Tenuto in prigione due anni, ne esce distrutto a livello fisico e soprattutto nervoso, senza più riuscire a riprendersi. A 16 anni Cristina rifiuta il matrimonio con un cugino triste e piagnucoloso e sposa, nonostante l’opposizione familiare, il principe Emilio di Belgioioso, bello, giovane, sifilitico, con un tenore di vita dispendioso. Il marito dilapida rapidamente gran parte della sua dote, di 400.000 lire austriache (equivalenti a 4 milioni di euro attuali). L’unione non dura molto. Il principe non è fatto per la vita coniugale, e nei rapporti con le donne viene attratto fondamentalmente dal piacere e dal divertimento. Cristina, dal canto suo, comincia a mostrare i segni dell’epilessia che la tormenterà per tutta la vita. Negli anni del matrimonio Emilio intrattiene una relazione con Paola Ruga, una signora della buona società milanese. Il rapporto con la Ruga, oltretutto un’amica di Cristina, risveglia nella principessa quel senso di dignità che la porta alla rottura del legame coniugale. «Credetti dovere al mio decoro, ed al mio titolo di moglie di non acconsentire formalmente alla continuazione delle sue relazioni con la Ruga». Il matrimonio finisce presto, in modo pacifico e i due coniugi rimangono amici per tutta la vita. Intorno al 1820 Cristina inizia a frequentare i patrioti ed è costretta a riparare in Svizzera per sfuggire alla polizia austriaca, dopo aver soggiornato a Genova, Roma, Napoli e Firenze. In seguito si trasferisce in Francia. I suoi beni vengono confiscati per un certo periodo e Cristina si guadagna da vivere facendo pizzi e coccarde. Tornata in possesso del suo patrimonio affitta un appartamento nel centro di Parigi e il suo salotto diventa luogo d’incontro di personaggi come Vincenzo Bellini, Heine, Listz, de Musset…Scrive articoli, finanzia giornali patriottici, aiuta i fuoriusciti italiani, finanzia i moti mazziniani. Alta, sottile, carnagione chiara, capelli nerissimi, è molto affascinante. A 30 anni mette al mondo una bambina, mantenendo segreto il nome del padre. Per alcuni anni si isola e si dedica allo studio. Decide di tornare a Locate, in una proprietà di famiglia. Qui fonda un asilo, crea scuole maschili e femminili, organizza forme di previdenza per i contadini. Seguono anni di studio (traduce in francese le opere di Gian Battista Vico) e di iniziative per diffondere idee liberali, come la fondazione della rivista “Ausonio”. Quando scoppiano le Cinque Giornate di Milano si trova a Roma e organizza un gruppo di 200 volontari, che invia in soccorso dei milanesi. Durante la rivolta di Roma trascorre giorno e notte negli ospedali per curare i feriti e organizza le “infermiere”: dame aristocratiche, donne borghesi e anche qualche prostituta, con scandalo dei benpensanti. Dopo la sconfitta della Repubblica Romana s’imbarca a Civitavecchia con la figlia, sbarca a Costantinopoli, finisce in Turchia, dove acquista una proprietà, fonda una colonia agricola aperta ai profughi italiani, assiste la popolazione locale e scrive articoli molto interessanti sull’Anatolia, il Libano, la Siria, la Palestina. Nel 1855 torna in Italia. Nel 1860 si sposa la figlia Maria. Nel 1861, dopo la proclamazione del Regno d’Italia, Cristina lascia l’attività politica, vivendo serenamente tra Milano, Locate e il lago di Como con il servitore turco Burdoz e la governante inglese miss Parker, che le sono sempre stati vicini nelle sue peregrinazioni. Muore nel 1871 a 63 anni a Locate.

“ Non dobbiamo mai dimenticare l’ardua e doppia impresa del nostro secolo, consistere nel distruggere e fecondare nello stesso tempo, non dobbiamo dimenticare che scopo finale del nostro destino sulla terra non è l’incivilimento, ma l’amore sociale, la fratellanza degli uomini, il trionfo della verità e del bene assoluto” (Cristina Trivulzio).

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Arte al femminile (188)

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Camilla Gandolfi nasce a Genova nel 1806 come Anna Maria Carlotta Guasconi e viene legittimata all’età di 3 anni dal padre naturale. Il nonno paterno è l’incisore genovese Felice Guasconi. Studia pittura con Ernesta Bisi (v.n.185) e Pelagio Palagi (pittore, scultore, decoratore d’interni) a Milano, avviandosi anche alla tecnica incisoria. Dal 1821 partecipa alle esposizioni di Brera con miniature e ritratti ad acquerello. Trasferitasi nel 1835 a Torino, nel 1842 è nominata pittrice onoraria del re Carlo Alberto, che le commissiona alcuni ritratti storici per il Palazzo Reale. Dal 1842 al 1853 partecipa alla Promotrice di Torino (1845, Giovane donna alla toeletta; 1847, Elisabetta a Greenwich; 1850, Innocenzo IV arriva a Genova; 1852, Madre con bambino in braccio che attinge l’acqua benedetta, Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna). Durante il successivo soggiorno a Genova è accolta come accademica alla Ligustica e dal 1851 al 1854 espone alla Promotrice. Nel 1855 invia alla Mostra Borbonica di Napoli un soggetto storico e tre quadri di figura. Il cognome Gandolfi si collega al matrimonio dell’artista con l’avvocato Emanuele Gandolfi, originario di Voghera, cittadina in cui Camilla si reca spesso. Dal matrimonio nasce Riccardo, che diventerà compositore, musicologo e pioniere negli studi filologici, storici e critici riguardanti la musica. Camilla muore a Firenze nel 1893.

(Ringrazio Federico per avermi segnalato con il suo commento alcuni errori iniziali nella biografia)

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Biografia come romanzo…

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Marguerite è la biografia di Marguerite Duras trasformata in struggente romanzo. Il libro non segue un ordine cronologico, ma procede per “squarci”, alternando ricordi dell’infanzia con momenti più recenti sino alla decadenza finale. Abbiamo una storia di vita, ma anche un percorso di crescita letteraria, perché Marguerite è una grande scrittrice e lo scrivere è per lei la spinta fondamentale, la ragione del suo essere e della sua vita, anche se poi conclude che “scrivere non insegna altro che a scrivere”. Abbiamo una serie di episodi, suggestioni, ricordi, atmosfere che, basati su una puntigliosa ricerca documentaria, ricompongono la vita di una donna straordinaria: l’infanzia in Indocina, durante il colonialismo francese, i problematici rapporti familiari, le incertezze adolescenziali, il ritorno in Francia, i complicati e numerosi amori, la nascita del figlio, il coinvolgimento nella Resistenza, l’impegno politico, la produzione letteraria e cinematografica, le amicizie e il ruolo importante nella cultura del suo tempo. Abbiamo trionfi e sconfitte, i premi letterari, la fama e i problemi di alcolismo, con i deliri dovuti alla disintossicazione. Gioca con le parole sino alla fine, afflitta da un’inquietudine e dalla continua ricerca dell’amore, anche se “nessun amore vale l’amore”.

“…non potevo raccontare tutto, ma ci sono degli elementi che mi stavano a cuore, dei centri della narrazione, da cui si irradia tutto il resto: la scrittura, le sue scelte, i suoi grandi amori, i grandi litigi. E allora, per esempio, ho differenziato le varie parti del libro con i nomi presi nelle sue diverse età: era Nenè da piccola, fino all’università; poi Margot per gli amici, per i mariti, gli amanti, o Meg per un’amica inglese. Alla fine è solo Duras, quando diventa famosa, nel delirio alcolico di megalomane, a causa del quale parlava di sé in terza persona e si autodefiniva “genio”. Il titolo è Marguerite perché unisce tutte le personalità, le età: lei è, e resta, Marguerite….”

 

Sandra Petrignani, autrice negli anni ’80 e ‘90 del romanzo postmoderno Navigazioni di Circe (premio Morante opera prima), dell’incantevole Catalogo dei giocattoli, del preveggente Vecchi, delle interviste a grandi scrittrici italiane Le signore della scrittura, è nata a Piacenza nel ’52. Vive a Roma e nella campagna umbra. Le sue opere più recenti sono l’autofiction Dolorose considerazioni del cuore (Nottetempo, 2009) e il vagabondaggio E in mezzo il fiume. A piedi nei due centri di Roma (Laterza, 2010). Nel catalogo Neri Pozza: il fortunato La scrittrice abita qui, pellegrinaggio nelle case di grandi scrittrici del ‘900;  i racconti di fantasmi Care presenze; il libro di viaggio Ultima India.