Dopo essere rimasta affascinata dal romanzo “La grande A”, con un gruppo di amiche si è scelto di leggere quest’altro romanzo della Caminito. Anche qui predominano le figure femminili e vi è una madre forte e determinata. Alla fine della lettura rimane però un senso di amarezza, che non si aveva con il romanzo precedente. Qui muore ogni speranza, sembra che il destino tracci già il nostro percorso, senza possibilità di riscatto. Siamo negli anni 2000, con tutte le inquietudini adolescenziali, senza un respiro più ampio, fiducia nel futuro: tutto sembra annegare nelle acque ferme del lago…
Ho seguito con partecipazione la vicenda di Gaia, la voce narrante, molesta, manesca, folle e fragile. L’ho giustificata in tante situazioni, ma sono rimasta delusa dalla drammatica conclusione, con una sconfitta senza rimedio.
Il romanzo racconta appunto la storia di Gaia (nome che contraddice la personalità), dall’infanzia alla prima giovinezza.
La famiglia si regge sulle spalle di una madre imperiosa, onesta e intraprendente, Antonia la Rossa, che deve prendersi cura di un marito inchiodato a una sedia a rotelle, a causa un incidente nel cantiere dove lavorava in nero come muratore, e dei quattro figli, il primo dei quali, Mariano, avuto da un’unione precedente.
Gaia è la secondogenita, seguono due gemelli, che rimangono figure indefinite.
La vita di Antonia, che lavora come colf, assomiglia a una continua battaglia, che lei combatte con grande forza d’animo, con ostinazione e tenacia incrollabili. Parte del temperamento della madre troviamo nella figlia. Rossa di capelli come lei, come lei fiera e combattiva, capace di spietata autodisciplina, ma incline ai colpi di testa: alle offese, alle umiliazioni e ai tradimenti reagisce con aggressività priva di scrupoli.
A un certo punto pare che la vita possa prendere una piega diversa per Gaia: ha finito il liceo con risultati brillanti, riesce a mettersi con il ragazzo che desidera, ha un’amica nuova, si è iscritta all’università. Quando sembra che tutto proceda regolarmente, la situazione precipita…
La vita di Gaia è scandita dai cambi di casa, decisi dalla madre, che cerca sistemazioni che permettano alla famiglia di avere un minimo di vita “normale”. Prima rende abitabile un buco, in un seminterrato, in un fatiscente edificio della periferia romana, un posto che Gaia ricorda con rimpianto, per un cortile in cui giocava liberamente. Si tratta di una minuscola piazzola davanti casa, che Antonia ha ripulito. Gaia e il fratello Mariano condividono qui i loro giochi, ma non hanno compagni.
Poi la madre riesce a ottenere dal Comune di Roma un appartamento più grande, nella borghese zona di corso Trieste, dove la vita è cara e la sua numerosa e difficile famiglia non è benvenuta. Gli inquilini li guardano con diffidenza e li considerano un’anomalia nelle loro vite apparentemente ordinate. Inoltre gli abitanti impediscono a una bambina in sedia a rotelle di prendere il sole in cortile, per cui Antonia dà vita a una vigorosa protesta.
Non sopportando le convenzioni imposte dalla vita condominiale, Antonia si accorda per uno scambio di casa con una certa signora Mirella, anch’essa assegnataria di un alloggio comunale fuori città, ad Anguillara Sabazia, sul lago di Bracciano, il lago cui si collega la vicenda. Del lago vengono evidenziati gli aspetti inquietanti, pericolosi, come la vita di Gaia.
Gran parte dell’adolescenza di Gaia si svolge in questo paese e lei, che viene iscritta a buone scuole a Roma, per volontà materna, vive le contraddizioni della propria condizione di povertà, in continuo confronto con l’agiatezza borghese di molti suoi coetanei.
L’ultima decisione di Antonia è il ritorno a Roma, nel vecchio appartamento, ma Gaia sceglie di tornare al lago per un finale tragico.
Il fare di Antonia è progetto, quello di Gaia è guerra.
Se la decisione di studiare filosofia risulta poco lungimirante, perché non adatta a cambiare la sua condizione sociale («Mi sono iscritta a filosofia per ripicca, per danno, per malaugurio, per sfida»), a pesare sono anche altri e più sottili fattori, l’incapacità di empatia e tenerezza.
Una forma di complicità lega la protagonista al fratello maggiore Mariano, che però, inquieto e ribelle, viene a un certo punto allontanato dalla madre. Il rapporto con la madre è condizionato da costrizioni cui Gaia non riesce a sottrarsi. Le amicizie femminili riservano delusioni, gelosie e ipocrisie. Con i ragazzi non va molto meglio. Il ricco e insipido Luciano è definito «il mio ragazzo monile, pepita e baule, il mio orpello prezioso, la spilla di pietre cangianti che espongo sul bavero sinistro della mia giacca».
Il disamore sembra essere il destino di Gaia, abituata a una vita troppo dura per concedersi il lusso della tenerezza.
Fra le vicende collaterali, spiccano le tragiche storie di due amiche: Carlotta, disinibita solo in apparenza, che finisce per togliersi la vita, e Iris, l’unica vera amica, che un male incurabile si porta via, lasciando in Gaia un forte senso di colpa.
L’aspetto meno pessimistico della storia riguarda la relazione tra due personaggi maschili, il padre Massimo e il primogenito Mariano. I due, che si detestano finché convivono, nella lontananza scoprono un legame affettivo sincero.
Nell’insieme, il libro lascia l’impressione di una vita predestinata alla disgrazia, con una protagonista incapace di emanciparsi dalla sua «coriacea voglia di offendere e affondare».
“Io respiro forte nel casco, ingoio rabbia, tutta quella che ho tenuto celata, quella che ho travestito per le grandi occasioni, quella che ho guardato ballare a distanza, quella che m’hanno vietato e che invece mi appartiene e voglio coltivare, sento il collo appesantito, le mani calde, doloranti.“
Un libro duro, spigoloso, in cui il destino sembra immutabile. Ci sono tutti i fermenti dell’adolescenza, ma anche la scelta dell’autrice di non dare speranza, in modo troppo evidente.
“Questo romanzo dà voce a una generazione arrabbiata e scoraggiata, che pur non riuscendo a vedere il fondale di quel lago oscuro e impenetrabile, continua comunque a scrutare, così come Gaia continua a cercare le lucine del presepe subacqueo, che, secondo la leggenda, rischiarano il lago di Bracciano nelle sere d’inverno.“
Lo stile è un equilibrio di registri diversi e ben rappresenta il dipanarsi di fatti ed emozioni.
Giulia Caminito è nata a Roma nel 1988 e si è laureata in Filosofia politica. Ha esordito con il romanzo La Grande A (Giunti 2016, Premio Bagutta opera prima, Premio Berto e Premio Brancati giovani), seguito nel 2019 da Un giorno verrà (Bompiani, Premio Fiesole Under 40) e da L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani 2021), finalista al premio Strega e vincitore del premio Campiello 2021.