Arte al femminile (273)

Durante l’Ottocento la presenza italiana nell’arte subisce un arresto, l’avventura si sposta a Parigi, la città faro dell’Impressionismo. Il nuovo valore attribuito alla natura dalla cultura ottocentesca, le diverse tecniche pittoriche, le sperimentazioni stilistiche comportano una progressiva diminuzione dell’attrazione di Roma e dell’Italia come riferimenti culturali e la rottura con i residui del neoclassicismo. L’osservazione dell’elemento naturale può avvenire infatti nei luoghi suggestivi di ogni paese. Il Gran tour alla scoperta dell’arte italiana perde significato. Roma non è più centrale nel panorama artistico e cresce il richiamo della Francia, che diverrà il nuovo polo artistico mondiale, primato che la capitale francese conserverà fino al Novecento inoltrato, dopo la seconda guerra mondiale, quando la leadership le verrà strappata da New York e dagli Stati Uniti. A Parigi arrivano artisti da tutto il mondo.

Anna Bilinska nasce nel 1857 a Zlotopol, città di frontiera dell’impero russo, al confine con la Polonia. Il padre è un medico polacco. Vive la prima infanzia e la giovinezza nella Russia imperiale, dove il suo primo insegnante d’arte è Michel Elwiro Andriolli, un esiliato. Si reca poi a Varsavia, in Polonia, dove studia musica e arte, diventando allieva di Wojciech Gerson nel 1877 (a 20 anni). Inizia a esporre in questo periodo presso la Società di Belle Arti di Varsavia. Nel 1882 accompagna la sua amica Klementyna Krassowska in un viaggio a Monaco, Salisburgo, Vienna, nel nord Italia e a Parigi, dove si stabilisce. Qui s’iscrive all’Accademia Julian, dove vince un importante premio e insegnerà per un certo periodo. Anna vive in Francia sino al 1892, quando sposa il medico Antoni Bohdanowicz, con cui torna a Varsavia. Qui intende aprire una scuola d’arte in stile parigino per donne, ma si ammala di un problema cardiaco, conseguenza delle febbri reumatiche di cui ha incominciato a soffrire dal 1882 e muore nel 1893 a soli 36 anni.

Anna è conosciuta soprattutto per i suoi ritratti, dipinti con grande capacità stilistica e notevole intuizione artistica. Altri soggetti sono nature morte, scene di genere e paesaggi. La si ritiene una rappresentante del realismo. I suoi lavori si possono ammirare nel Museo Nazionale di Varsavia e nel Museo Nazionale di Cracovia.

Ha partecipato a varie esposizioni: a Varsavia, al Salon di Parigi (vincendo una medaglia d’argento nel 1887), a Cracovia (dove ottiene un diploma onorario), presso la Grosvenor Gallery di Londra (1888), a Lione, presso la Royal Academy di Londra (dove nel 1890 le è assegnata una medaglia d’oro). Riceve una menzione ufficiale e una medaglia d’oro nell’Esposizione Universale di Parigi del 1889 e un’altra medaglia d’oro le viene consegnata nell’Esposizione Universale di Berlino.

Di questa artista rimane uno stupendo autoritratto eseguito nel 1887, che ci presenta una donna di una bellezza intensa e grande semplicità.

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Giornata contro la violenza sulle donne

Alda Merini ha dedicato questa poesia a tutte le donne: anche lei ha avuto una vita segnata dalla “violenza” in senso lato.

A tutte le donne
Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso
sei un granello di colpa
anche agli occhi di Dio
malgrado le tue sante guerre
per l’emancipazione.
Spaccarono la tua bellezza
e rimane uno scheletro d’amore
che però grida ancora vendetta
e soltanto tu riesci
ancora a piangere,
poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,
poi ti volti e non sai ancora dire
e taci meravigliata
e allora diventi grande come la terra
e innalzi il tuo canto d’amore.

Libri sempre attuali

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La bestia nel cuore è un romanzo del 2004 che mantiene grande attualità. Con grazia la scrittrice affronta argomenti spinosi: la violenza, l’abuso domestico, la connivenza, l’uso del potere per ottenere favori sessuali, la difficoltà a essere accettati come diversi…tutti temi più che mai presenti nelle cronache giornalistiche di questi giorni.

La protagonista, Sabina, fa la doppiatrice, non avendo avuto successo come attrice: è una bella ragazza, dolce, apparentemente serena, che convive con Franco, che lavora come lei nel mondo dello spettacolo. La relazione tra i due appare vitale, appagante. Sabina ha poi un’amica “storica”, Emilia, rimasta cieca in seguito a una grave malattia. Emilia ama segretamente e da tanto tempo Sabina e vive isolata, immersa nei ricordi del passato trascorso insieme, di un’amicizia intensa legata all’adolescenza di entrambe. Una notte Sabina fa un sogno inquietante e sconvolgente, legato alla figura del padre. Questo incubo la tormenta talmente che cerca di scoprire se in esso ci sia qualcosa di vero. Quando si accorge di essere incinta decide di partire per l’America, dove vive il fratello Daniele, per cercare di sapere qualcosa di più sulla sua famiglia. L’idea di dar vita a un nuovo essere la fa riflettere sulla sua famiglia, sui suoi genitori, di cui conserva pochi ricordi, apparentemente sereni e formali. Ritrovare il fratello la mette di fronte a una verità crudele, a un passato doloroso, da lei rimosso e apparentemente dimenticato. La tormenta l’idea di mettere al mondo un figlio che possa assomigliare al padre. Tornata in Italia, al momento di partorire viene presa dal panico e tenta di fuggire…

Attorno a Sabina ruotano personaggi che hanno un ruolo importante: Franco, Emilia, Maria (una collega di Sabina, abbandonata dal marito dopo vent’anni di matrimonio per una ragazzina dell’età della figlia), il fratello Daniele, la cognata Anne. Sabina è il tramite attraverso cui si sviluppano le loro storie personali, che rimandano al tema centrale del libro: la “bestia nel cuore”, la passione incontrollata, il fondo oscuro che può celarsi in ciascuno.

L’argomento così delicato viene affrontato con la giusta misura, senza eccessi.

La verità è la salvezza per tutti, perché conoscersi in profondità sembra l’unico modo per affrontare il futuro e superare il dolore: questo sembra il messaggio. L’autrice non vuole approfondire ulteriormente il delicato argomento della violenza sessuale sui minori, ma lascia spazio alla riflessione di ognuno, intessendo dialoghi, flussi di pensieri, che permettono un ripensamento personale. Da certi dolori non si può mai guarire, ma di certo qualcosa si può fare per ridare serenità alla vita, proprio affrontando la verità e facendosi aiutare a rielaborarla, superarla e infine rimuoverla. Un racconto amaro, che fa riflettere.

« C’è solo una cosa da fare, oggi come sempre, gli artisti sono gli unici ad averla capita: ”Non tacere mai, a costo della vita, della reputazione, dello scandalo, del dolore.”» p. 214

Cristina Comencini è nata a Roma nel 1956, è scrittrice e regista. Tra i libri ricordiamo “Le pagine strappate”, “Il cappotto del turco”, “Matrioska”, “La bestia nel cuore”, “L’illusione del bene” tradotti in molte lingue. Alcuni film da lei diretti sono: “Liberate i pesci”, “Il più bel giorno della mia vita”, “Va’ dove ti porta il cuore”. Dal romanzo “La bestia nel cuore” vincitore del Premio Castiglioncello, è stato tratto l’omonimo film diretto dalla stessa Comencini. Nel 2009, dopo l’uscita dell’opera “Due partite”, è uscito l’omonimo film di Enzo Monteleone.

Arte al femminile (272)

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Anna Klumpke nasce a San Francisco (California) nel 1856: il padre, John Gerald (di origine inglese) è un ricco agente immobiliare, la madre è Dorothea Mattilda Tolle, donna amante della cultura. Anna è la maggiore di 8 figli, 5 dei quali vivono fino alla maturità, fatto raro a quei tempi. Tra i fratelli ci sono personalità che diverranno importanti: la sorella Dorothea sarà un’astronoma, Julia una violinista, Augusta una neurologa. I genitori hanno una mentalità aperta e curano molto l’istruzione anche delle figlie. Anna a 3 anni cade e si frattura il femore, a 5 anni cade di nuovo e si ammala di osteomielite e artrite purulenta al ginocchio: malattie dolorose e invalidanti. La madre fa di tutto per trovare un rimedio e va a Berlino, per sottoporre la figlia al trattamento di un medico famoso. La cura dura 18 mesi e sfortunatamente non ha successo, per cui Anna rimane zoppicante per tutta la vita. Durante i mesi trascorsi in Germania la madre si preoccupa che la figlia continui a ricevere un’istruzione adeguata.

Quando Anna ha 15 anni i genitori divorziano. La madre si trasferisce con i figli in Germania, a Göttingen (Bassa Sassonia), presso una sorella. Anna viene iscritta in una scuola a Cannstatt, distretto di Stoccarda. La famiglia poi si sposta a Clarens, vicino al lago di Lugano, in Svizzera, quando Anna ha 17 anni: qui rimane due anni in collegio. Appassionata di arte, Anna studia privatamente negli anni successivi. Nel 1877 la famiglia trasloca a Parigi, dove Anna s’iscrive all’Accademia Julian, perfezionando le competenze artistiche. Trascorre molte ore copiando dipinti nel Musée du Luxembourg. Presenta la prima opera al Salon di Parigi nel 1884 (a 28 anni). Vince all’Accademia un premio come miglior studente dell’anno. Dopo aver esposto al Salon per diversi anni, va a Boston, dove svolge l’attività d’insegnante. Nel 1889 torna a Parigi.

Sin dall’infanzia Anna è affascinata dalla figura della pittrice francese Rosa Bonheur (v.n.172), tanto da avere una bambola, Rosa, a lei somigliante. Nel 1889 (a 33 anni) può finalmente conoscere Rosa Bonheur, con il pretesto di fare da interprete a un mercante di cavalli. Le due donne simpatizzano e nasce una fitta corrispondenza. Nel 1897 Anna scrive alla Bonheur, chiedendole di poterle fare un ritratto. Rosa risponde di essere a sua disposizione per il dipinto, ma di non sopportare lunghe sedute. Durante la preparazione del ritratto le due artiste hanno modo di parlare di arte, di letteratura, di raccontare aneddoti, di discutere di religione e moralità, trovando tra loro parecchie affinità. Tra la quarantenne e già affermata pittrice e la settantaseienne Rosa scatta la scintilla. «Siete abbastanza decisa per impegnarvi a non lasciarmi mai?», le chiede l’anziana pittrice. «Sì, certamente e potete essere sicura che rispetterò religiosamente la mia parola», risponde l’altra. Le due donne vanno a vivere insieme nella tenuta dell’artista francese a Thomery, vicino a Fontainebleau e la loro relazione dura sino alla morte della Bonheur nel 1899. La madre di Anna aveva espresso sensate perplessità sull’unione: «Non sei fatta per fare la dama di compagnia, vivere in campagna e alla sua ombra danneggerà la tua carriera, hai bisogno di lavorare in una grande città» aveva scritto alla figlia. Anna le aveva risposto: «Se mi accorgerò di aver sbagliato, tornerò a Boston. Con l’esperienza acquisita insieme con un’artista che è così famosa negli Stati Uniti, troverò di sicuro dei ritratti da fare. Potrò anche aprire un corso per ragazze».

Anna eredita la tenuta della Bonheur, supervisiona la vendita delle sue opere, fonda il premio Rosa Bonheur alla Società degli Artisti Francesi e organizza il museo dedicato alla compagna nel palazzo di Fontainebleau. Essendo una scrupolosa diarista, pubblica nel 1908 una biografia della Bonheur, che viene pubblicata solo nel 1998, in quanto la relazione è giudicata scandalosa.

Anna si divide tra Boston, San Francisco e la Francia, stabilendosi definitivamente a San Francisco negli anni ’30. Durante la prima guerra mondiale, con sua madre, organizza nella casa di Thomery un ospedale militare per soldati convalescenti.

Nel 1940, all’età di 84 anni, pubblica un’autobiografia, “Memorie di un’artista”. Muore nel 1942 a San Francisco.

Pittrice di genere, spesso rappresenta scene pastorali, ma diventa famosa anche come ritrattista.

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Arte al femminile (271)

Claude (Claudine) Raguet Hirst nasce a Cincinnati (Ohio) nel 1855, prima delle due figlie di Juliet e Percy Hirst. Quando la famiglia s’ingrandisce si trasferisce a Clifton (New Jersey), un ricco sobborgo con una comunità artistica in espansione. Claudine inizia a prendere lezioni di pittura a 10 anni e frequenta contemporaneamente una scuola di danza. A 14 anni viene iscritta all’istituto Young Auburn Ladies di Mont Auburn presso Cincinnati. L’esposizione industriale di Cincinnati del 1872 include tre delle sue prime opere. Nel 1874, a 19 anni, s’ iscrive al Mc Micken College of Arts anda Sciences. Qui segue un corso di disegno tridimensionale e uno d’intaglio del legno. I suoi lavori sono esposti nel Padiglione delle Donne durante l’Esposizione centenaria del 1876 a Filadelfia. Lascia la Scuola di Disegno nel 1878 (23 anni) e si mette a insegnare scultura in legno. Usa firmare con il nome Claude, per evitare il sessismo che ostacola molte artiste del tempo. Si trasferisce a New York, per avere maggiori opportunità e viene raggiunta dalla madre e dalla sorella, in quanto il padre ha reso loro la vita insopportabile, essendo diventato alcolizzato. Claudine affitta uno studio nel villaggio di Greenwich, dove stringe amicizia con il pittore William Crothers Fitler (paesaggista), che sposa nel 1901.

Mentre si trova a New York insegna arte e prende lezioni private da valenti artisti, come Agnes Dean Abbatt (acquarellista, pittrice di nature morte e paesaggi). Aderisce al Women’s Art Club e alla Watercolor Society. Espone, oltre che a New York, a Boston, a Chicago, a Philadelphia e in altri centri importanti.

I suoi temi preferiti sono le nature morte, spesso viole del pensiero e rose. Le piacciono talmente le rose che ne conosce le varietà, che spesso indica nei titoli dei quadri.

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Dipinge anche libri, candele, giornali e altri oggetti posati su tavoli di legno, usando la tecnica iperrealistica. Le “composizioni in libreria” caratterizzano il suo ultimo periodo creativo. Dipinge libri antichi, riflettendo la moda corrente di raccolta di libri rari. In questi dipinti incredibilmente dettagliati, Claudine riesce a rendere leggibile l’intero testo di una pagina o riprodurre un’incisione. In molti casi i libri possono essere identificati e confrontati con le loro fonti, alcune delle quali sono testi classici del XVIII° secolo, che sostengono i diritti delle donne.

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Alcuni osservatori hanno voluto vedere in alcuni quadri una sottile critica ai vizi maschili del gioco e del bere: bottiglie vuote segno di pesanti bevute, cubi di zucchero e limone, che suggeriscono che uno dei liquori usati sia l’assenzio (considerato la cocaina del XIX° secolo), carte sparse sul tavolo, il tutto disposto per dare sensazione di disordine.

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Continua a dipingere sino alla fine, lasciando più di 100 opere.

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Gli oli e gli acquarelli intensi mostrano grande abilità nel rendere oggetti e materiali.

Claudine muore nel 1942, a 87 anni.

Martha M. Evans ha pubblicato il catalogo “Claude Raguet Hirst: trasforming of american still life”.

Una donna alla conquista del Cile

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Inés dell’anima mia è un romanzo storico a tutti gli effetti, anche se, ovviamente, vi sono aspetti d’invenzione. La protagonista è Inés Suàrez, l’unica donna spagnola che ha partecipato alla conquista del Cile nel 1540. Nata a Plasencia, in Estremadura (Spagna) nel 1507, giunge in America nel 1537, per raggiungere il marito Juan de Malaga, partito per il Nuovo Mondo con i fratelli Pizarro. Giunge fortunosamente in Perù, dove scopre che il marito è morto poco tempo prima del suo arrivo. Ottiene come risarcimento un piccolo appezzamento a Cuzco, dove si mantiene lavorando come sarta e vendendo squisite “empanadas”. Conosciuto il maresciallo di Campo Pedro di Valdivia, ne diviene l’amante e lo accompagna nel 1540 alla conquista del Cile, sopportando prove indicibili. Resistente e indomabile, si rivela preziosa risorsa nella spedizione, curando malati e feriti e trovando sorgenti d’acqua. Raggiunta la valle del Mapocho, gli spagnoli fondano la futura città di Santiago. Essi devono affrontare gli indomabili indigeni Mapuche: crudeltà su crudeltà vengono commesse da una parte e dall’altra. Inés si distingue durante un tremendo attacco alla città e salva una situazione che sembrava ormai perduta. Con Valdivia fa sviluppare il paese, ma Pedro deve lasciarla, per ordine del Vicerè spagnolo. Inés sposa il capitano Rodrigo de Quiroga, con cui lavora instancabilmente al benessere della sua gente, mentre Pedro de Valdivia continua nella conquista del Cile e nella lotta contro i Mapuche, per la quale perderà la vita.

Narrato in prima persona dalla protagonista, rivolgendosi alla figlia adottiva Isabel, questo romanzo vuole presentarci un personaggio storico poco conosciuto dai più: una donna indomita, ribelle, volitiva, amante della libertà, orgogliosa, padrona della propria vita contro i pregiudizi del tempo. La conquista del Cile appare in tutta la sua cruda realtà quotidiana. I cieli, i paesaggi, i profumi, gli interni delle case, le battaglie: c’è grande vitalità e concretezza nella narrazione, che colpisce per la violenza che ha caratterizzato la storia, il sangue, le torture descritte con realismo. La Allende evidenzia la ferocia sia degli spagnoli che degli indigeni. Alla fine della vicenda l’autrice fornisce un’ampia bibliografia di testi che ha consultato, per non tradire la realtà storica.

Un libro interessante, che ho trovato avvincente. Troppo affascinante il personaggio!

Isabel Allende è nata a Lima, in Perù, nel 1942, ma è vissuta in Cile fino al 1973 lavorando come giornalista. Dopo il golpe di Pinochet si è stabilita in Venezuela e, successivamente, negli Stati Uniti. Con il suo primo romanzo, La casa degli spiriti del 1982 (Feltrinelli, 1983), si è subito affermata come una delle voci più importanti della narrativa contemporanea in lingua spagnola. Con Feltrinelli ha pubblicato anche: D’amore e ombra (1985), Eva Luna (1988), Eva Luna racconta (1990), Il Piano infinito (1992), Paula (1995), Afrodita. Racconti, ricette e altri afrodisiaci (1998), La figlia della fortuna (1999), Ritratto in seppia (2001), La città delle Bestie (2002), Il mio paese inventato (2003), Il Regno del Drago d’oro (2003), La Foresta dei pigmei (2004), Zorro. L’inizio di una leggenda (2005), Inés dell’anima mia (2006), La somma dei giorni (2008), L’isola sotto il mare (2009), Il quaderno di Maya (2011), Le avventure di Aquila e Giaguaro (2012), Amore (2013), Il gioco di Ripper (2013), L’amante giapponese (2015), Oltre l’inverno (2017). Negli Audiolibri Emons Feltrinelli: La casa degli spiriti (letto da Valentina Carnelutti, 2012) e L’isola sotto il mare (letto da Valentina Carnelutti, 2010). Inoltre Feltrinelli ha pubblicato Per Paula. Lettere dal mondo (1997), che raccoglie le lettere ricevute da Isabel Allende dopo la pubblicazione di Paula, La vita secondo Isabel di Celia Correas Zapata (2001). Nel 2014 Obama l’ha premiata con la Medaglia presidenziale della libertà.

Arte al femminile (270)

Ancora una volta è l’America a sorprenderci con un’artista oggi quasi dimenticata, ma un tempo molto famosa.

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Cecilia Beaux nasce a Filadelfia nel 1855. Il padre, Jean Adolphe Beaux è un produttore di seta, la madre, Cecilia Kent Leavitt, un’insegnante proveniente da una famiglia facoltosa. La madre muore di febbre puerperale 12 giorni dopo la nascita di Cecilia a soli 33 anni. Cecilia e la sorella Etta sono allevate dapprima dalla nonna materna e poi dalle zie. Il padre, sconvolto dal dolore, ritorna nella natia Francia, dove rimane per 16 anni, facendo solo sporadiche visite alle figlie. La nonna materna cura le nipoti in modo pragmatico, insegnando che “tutto ciò che si intraprende deve essere completato e conquistato”. Gli anni della guerra civile sono particolarmente impegnativi, ma le due orfane sono aiutate anche dalla zia Emily e da suo marito, che ha un’influenza benefica su di loro e le aiuta per molti anni. Dagli zii Cecilia impara ad amare la musica, studia pianoforte e canto. Visita vari musei, anche se non rimane particolarmente colpita dalle tele esposte. Frequenta la Miss Lyman’s School for Girls, distinguendosi soprattutto in francese e storia naturale. Diventa allieva di Catharine Ann Drinker, sua parente, nel 1871 e dell’olandese Van der Wielen dal 1872 al 1873. A 18 anni viene nominata insegnante di disegno presso una scuola locale, dà lezioni private e fa piccoli ritratti. Studia per lo più come autodidatta. Produce litografie per una casa editrice di Filadelfia e dimostra accuratezza e pazienza come illustratore scientifico, riproducendo fossili per un volume sponsorizzato da un Centro di studi di Geologia. S’ iscrive alla Pennsylvania Academy of Fine Arts di Filadelfia, che frequenta dal 1877 al 1878. Gli anni seguenti si specializza con illustri artisti del tempo. A 24 anni prova l’esperienza della pittura su porcellana e s’iscrive a un corso specialistico. Considera questa esperienza, pur remunerativa, come negativa per lei. A 32 anni, nonostante la fama ottenuta a Filadelfia, parte per Parigi, come molti artisti americani del tempo, abbandonando diversi pretendenti e superando le obiezioni della sua famiglia.

Frequenta prima l’Accademia Julian, poi l’Accademia Colorossi, strutture indipendenti aperte alla frequenza femminile. Lavora anche a Concarneau, in Bretagna, nel gruppo di artisti qui riuniti e fa un viaggio in Italia. Pur apprezzando l’arte degli impressionisti, rimane una pittrice realista, precisa e puntuale nell’osservazione. Ammira i classici come Tiziano e Rembrandt. La formazione europea influenza la sua tavolozza, facendole adottare colorazioni più chiare e luminose. Nel 1890 la troviamo a Parigi, dove presenta alcune tele all’Esposizione cittadina. Tornata a Filadelfia, ottiene vari riconoscimenti e nel 1902 diventa membro della National Academy of Design di New York. Viene chiamata a insegnare all’Accademia di Belle Arti della Pennsylvania dal 1895 al 1915: è la prima donna ad avere questo onore. Nel 1919 è incaricata da una commissione statale di rappresentare vari protagonisti della prima guerra mondiale. Specializzatasi nei ritratti, è chiamata da famiglie importanti: dipinge anche il ritratto di Edith Roosevelt con la figlia.

Dal 1906 comincia a vivere tutto l’anno a Green Alley, in un ambiente più rilassante rispetto New York e Filadelfia.

Le nuove tendenze pittoriche, il cosiddetto modernismo, contrastano con la sua arte e lei insiste con il suo stile preimpressionista.

Un incidente avuto a Parigi nel 1924 compromette la sua salute ed è costretta a ridurre i propri impegni. Nello stesso anno le viene commissionato un autoritratto per la collezione Medici della Galleria degli Uffizi di Firenze. Nel 1930 pubblica un’autobiografia, “ Background with figures”.

Nel 1935 le viene dedicata una retrospettiva dall’American Academy of Arts and Letters. Viene giudicata la più grande artista vivente del suo tempo e una delle 12 donne più influenti d’America.

Muore a 87 anni a Green Alley, presso Gloucester.

Anche se relativamente sconosciuta ai visitatori di musei del nostro tempo, Cecilia ha avuto molti riconoscimenti in vita.

Durante la sua lunga vita produttiva, ha mantenuto elevati i propri standard estetici contro tutte le distrazioni e le forze a lei contrarie. Ha continuato a lottare per la perfezione.

Una tecnica perfetta in qualsiasi cosa“, ha dichiarato in un’intervista, “significa che non c’è stata interruzione nella continuità tra la concezione e l’atto creativo“. Ha riassunto la sua etica del lavoro così: “Posso dirlo: quando provo qualcosa, ho una determinata passione, che supera ogni ostacolo … e faccio il mio lavoro rifiutando di accettare la sconfitta che potrebbe essere collegata a qualsiasi evento doloroso”.

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