Tanti auguri

(Questa Adorazione dei pastori è stata eseguita nel 1689 dal pittore francese Charles Le Brun (1619-1690). L’opera era parte di un insieme di 4 dipinti realizzati per Luigi XIV, re di Francia, che aveva una collezione d’arte ricchissima. Le Brun è famoso per avere decorato la reggia di Versailles. Dopo la Rivoluzione francese il dipinto è stato trasferito al Museo del Louvre).

Arte al femminile (433)

Il Futurismo è anche danza, oltre che pittura, scrittura, scultura e architettura.

Giannina Censi nasce a Milano nel 1913. Il padre è Carlo, compositore e professore di musica al Conservatorio di Milano, la madre è Carla Ferrario, pianista e cantante. Nello stesso anno la zia Rosina Ferrario riceve, prima donna in Italia, il diploma di aviatrice.

Giannina prende lezioni di danza secondo il metodo Cecchetti. Ballerino, mimo e maitre de ballet , Cecchetti è insegnante di grandi etoiles molto apprezzato in Russia  e in Francia. Il suo rigoroso e preciso metodo consiste in una serie di esercizi minutamente strutturati e pensati secondo una sequenza logica, con una tabella di esercizi quotidiani da seguire. Lo scopo è ottenere fluidità e armonia nei movimenti, che devono essere ampi e puri, con precisa coordinazione tra braccia e gambe.

Nel 1929 Giannina esordisce nel teatro di Erba e poi a Como, in balletti di sapore ellenizzante collegati a tragedie greche, sulla scia tracciata da Isadora Duncan. Curiosa e intraprendente, nel 1930 si reca a Parigi per frequentare i corsi di danza classica tenuti da un importante ballerino, prende lezioni di flamenco e danza indiana, incontra Joséphine Baker.

Negli anni Trenta viene conquistata dal Futurismo e interpreta l’Aerodanza ideata da Enrico Prampolini, pittore, scultore, scenografo e costumista. È interprete e coreografa di spettacoli futuristi, alternandoli con spettacoli più tradizionali.

Il padre di Giannina è amico di Marinetti, per cui lei ne conosce già la poetica: chiede al poeta se è possibile che il corpo di una danzatrice classica riesca a interpretare l’aeropoesia e il volo d’aeroplano. Con il pilota Mario de Bernardi (vincitore del campionato mondiale di acrobazia aerea) fa esperienza di volo acrobatico.

Nel 1931 Giannina partecipa alla tournée teatrale Simultanina su opera di Filippo Tommaso Marinetti, “divertimento futurista in 16 sintesi”, accolto regolarmente da lancio di ortaggi da parte del pubblico. Si esibisce alla Galleria Pesaro di Milano, in occasione della Mostra di aeropittura e scenografia futurista. Le aerodanze e tereodanze sono fatte a piedi scalzi, senza sfondo musicale, con movimenti volitivi, espressivi, antigraziosi. Vertigine del futuro, attrazione della velocità, fascinazione della meccanica: il corpo è libero, fasciato in costumi aderenti, che evidenziano un fisico agile e muscoloso. La gestualità riproduce suoni e movimenti dell’aeroplano, cadute vorticose e planate mozzafiato, giri della morte e capovolgimento, con un corpo che vede un’azione totale.

Nel 1934 partecipa a spettacoli futuristi al Cinema Garibaldi di Padova, al Circolo artistico di Trieste e al teatro Convegno di Milano, dove interpreta i poemi di Fortunato Depero, Il Vento e Macchina Monella.

Divenuta madre, la troviamo impegnata anche nel teatro leggero, nella compagnia di Wanda Osiris.

Nel 1936, per una lesione al menisco, sospende le esibizioni e si dedica all’insegnamento della danza a Sanremo, Milano, Genova e Voghera. Lavora anche come modista e sarta per spettacoli vari.

Negli anni Settanta è coinvolta in esperienze di studio e recupero della danza futurista. Si interesserà pioneristicamente di ginnastica per la terza età.

Muore a Voghera nel 1995.

L’archivio di Giannina Censi è conservato presso l’Archivio del ‘900 del Mart di Rovereto.

Giannina è stata una vera innovatrice, capace di abbandonare le certezze della tradizione classica russa in nome di un’idea di corpo anticonvenzionale, sperimentale, libera. Attraverso le aerodanze futuriste rivoluziona l’arte della danza in Italia. L’esperienza di Giannina è caso unico ed eccezionale di autentica danzatrice futurista: conquista gestuale dello spazio, eliminazione di ogni ornamento teatrale, danza senza musica, nel silenzio o col solo ritmo scandito della parola. Anticipa alcune correnti della danza contemporanea.

Dal 4 settembre al 5 marzo 1998 a Rovereto, presso la casa-museo di Fortunato Depero si è svolta una mostra a lei dedicata.

Arte al femminile (432)

Dopo una parentesi dedicata ad alcune interessanti fotografe americane, ritorno alla pittura e riprendo a parlare di artiste futuriste. In articoli precedenti (n. 428 e dal n.420 al 426) ho cercato di evidenziare quanto questo movimento abbia avuto aspetti positivi per alcune donne, aprendo loro nuove prospettive.

Olga Biglieri nasce a Mortara, nel cuore della Lomellina, (Piemonte) nel 1915. La sua è una famiglia di agricoltori benestanti, per cui Olga può seguire le proprie passioni.

A 11 anni la famiglia si trasferisce a Novara.

Appassionata di volo Olga, di nascosto dal padre,  impara a volare e ottiene il brevetto di pilota “a vela” a soli 16 anni. A 18 anni ottiene un ulteriore brevetto per il volo a motore. Altra sua passione è la pittura, per cui s’iscrive all’Accademia di Brera a Milano.  Incomincia a dipingere le sue sensazioni di volo, che solo da pilota si possono provare e che descrive come felicità suprema di fondersi con il vento.

Nel 1935, durante una serata a Novara con un gruppo di artisti, conosce alcuni futuristi e s’interessa al movimento. Nell’ambiente futurista conosce lo scrittore Ignazio Scurto, che nel 1939 diventa suo marito e con cui ha due figlie. Poeta, scrittore, commediografo e giornalista, Ignazio Scurto è tra i fondatori del gruppo futurista veronese “Umberto Boccioni”. A lui si devono tanti manifesti futuristi ed è famoso all’epoca per le sue appassionate liriche.

Marinetti, padre del Futurismo, scopre Olga per caso, vedendo una sua opera nella vetrina di un corniciaio milanese. La invita alla Biennale di Venezia del 1938. A questa esposizione altre ne seguiranno a Roma, Napoli e ancora a Venezia nel ’42.

Si distingue come aeropittrice con lo pseudonimo di Barbara. Come aeropittrice-aviatrice futurista inaugura al Broletto di Novara la sua prime mostra personale.

Nel 1939 illustra la copertina del romanzo del marito, L’aeroporto.

In seguito alle affermazioni del Manifesto del Futurismo, si dissocia dal movimento, considerandolo troppo maschilista ed, essendo convinta pacifista, rifiuta il mito della guerra.

Nel ’43 espone a Roma.

Nel 1954 muore il marito, tornato distrutto dalla guerra. Olga si ritira in Val d’Ossola con le figlie e per 15 anni non dipinge più. Trova lavoro come giornalista e scrive articoli di moda. Ripresa la pittura, continua a scrivere: racconti per l’infanzia, testi per la radio. Negli anni ’60 fonda a Roma l’agenzia di stampa Telex-press, organizza eventi e sfilate per varie sartorie e fonda Le trame d’oro, premio legato alla formazione in campo stilistico e sartoriale.

Dal 1964 sceglie la tecnica dell’acquarello per i suoi quadri e negli anni ’70 si appassiona alla pittura di strada, creando murales.

Dalla fine degli anni ’70 inizia a viaggiare: Cuba, Unione Sovietica, Canada, Giappone. Partecipa a eventi internazionali dedicati alla creatività dei bambini.

Nel 1986 crea L’albero della pace per il Museo Commemorativo di Hiroshima, insieme di mani colorate e di frasi a sostegno della pace.

Nel 1998 pubblica l’autobiografia Barbara dei colori, a cura del Centro Antinoo Internazionale per l’Arte.

Dopo una lunga malattia, muore a Roma nel 2002, a 86 anni.

Nel 2000 viene candidata per il famoso Nobel per la Pace.

Nel 2017 le è stata dedicata una via a Roma.

Libri per capire

Ho trovato in una bancarella un libro datato, “La figlia dell’ammiraglio”, di Victoria Fyodorova e Haskel Frankel, un’autobiografia a due mani, che narra una vicenda che fece scalpore negli anni settanta.

La madre di Victoria, Zoja Fyodorova è una bella ragazza, esile, slanciata, con splendidi occhi verdi. Diventa un’attrice famosa negli anni ’30, in un momento in cui la Russai vive un soffocante regime dittatoriale. Pur essendo un’artista famosa, Zoja vive tutte le limitazioni legate al periodo della guerra, vuole mantenersi onesta e superare i tentativi di alcuni potenti di ridurla al rango di amante.

Nel 1945, durante una festa all’ambasciata americana, incontra il capitano della Marina degli Stati Uniti Jackson Tate, di stanza a Mosca come addetto al Dipartimento di Stato Americano. I due si innamorano e intrecciano una relazione clandestina.

Quando qualcuno fa la spia, intervengono prontamente i terribili servizi segreti russi.  Il capitano Tate viene espulso dalla Russia nel giro di poche ore e Zoja non ha più sue notizie. Nel frattempo dal loro amore nasce Victoria. Quando la piccola ha 11 mesi, la madre viene arrestata, accusata di tradimento e senza alcun processo viene condannata e inviata in Siberia. Deve sopportare patimenti di tutti i tipi, ma non perde la speranza di tornare dalla figlia.

Intanto la piccola Victoria viene allevata dalla sorella della madre, Alexandra, che ha già due figli. Essendo parente di una donna condannata dal regime, Alexandra e i figli sono esiliati in un paese del Kazakistan, dove sono emarginati, vengono derisi e trattati malissimo dalla popolazione locale. Fame, fatica e prese in giro sono gli aspetti principali dell’infanzia di Victoria, che nulla sa della madre.

Alla morte di Stalin, Zoja viene liberata e il primo pensiero è quello di ritrovare la figlia. Victoria, convinta che la zia Alexandra sia la sua vera madre, fatica ad accettare la nuova realtà, ma un po’ alla volta tra Zoja e Victoria s’instaura un legame fortissimo. Zoja riprende a recitare e riesce a mantenersi e a prendersi cura della figlia.

Victoria diventa una bellissima giovane e intraprende anche lei la carriera di attrice. Inquieta e anticonformista, conosciuta la storia della madre, vuole ad ogni costo conoscere il padre, ma non si può in alcun modo lasciare la Russia. La vita va avanti. Victoria si sposa due volte, divorzia, ha una storia tormentata con uno sceneggiatore, che la fa diventare alcolista, poi si riprende e insiste nella ricerca del padre.

Grazie all’aiuto di una professoressa dell’Università del Connecticut, che apprende la sua storia, dopo anni viene ritrovato il capitano Tate, ormai in pensione e risposatosi. Egli non sa niente della figlia e della sorte toccata a Zoja. Inizia una corrispondenza tra Victoria e il padre, che dopo molteplici tentativi riesce a far arrivare la figlia in America nel 1975. Finalmente Victoria incontra il padre tanto agognato…

Il seguito della storia, che non è narrato nel romanzo, è che Victoria incontra in Florida il pilota Frederick Pouy, che la sposa prima che le scada il visto concessole dal governo russo e i due hanno un figlio, Christopher Alexander. Zoja riesce a raggiungere la figlia per conoscere il nipote, ma, tornata in Russia,  nel 1981 viene assassinata nel suo appartamento di Mosca in circostanze misteriose.

Victoria riprende negli Stati Uniti la carriera di attrice e di modella. Si separa nel 1990 da Pouy e muore nel 2012 a Greenwich Township in Pennsylvania.

Una storia di amore e coraggio. Donne straordinarie, che non si arrendono di fronte alla sventura e lottano sino all’ultimo per difendere la propria dignità e i propri sentimenti. Un libro utile per capire, in un momento storico come questo, in cui tanti fanno drammi per dover sottoporsi a limitazioni per il bene collettivo, senza alcuna comprensione per chi vive situazioni dolorose.

Arte al femminile (431)

Mi è stata indicata da Francesco, in arte fravikings, un’altra fotografa americana: Dorotea Lange.

Grazie Francesco!

Dorothea Margaretta Nutzhorn nasce a Hoboken(v.foto), nel New Jersey, da immigrati tedeschi di seconda generazione e cresce nel Lower East Side di Manhattan. Ha un fratello minore, Martin.

A 7 anni si ammala di poliomielite e come conseguenza le rimane una gamba destra zoppicante e indebolita. Questa menomazione viene vissuta come spinta per diventare più forte e consapevole delle proprie risorse.

A 12 anni il padre abbandona la famiglia e questo spiega perché Dorothea assuma il cognome della madre e diventi Dorothea Lange.

Si laurea alla Wadleigh High School for Girls di New York.

Decide a questo punto di dedicarsi alla fotografia e inizia i suoi studi di fotografia alla Columbia University. Fa apprendistato presso diversi studi fotografici di New York.

Nel 1918 parte con un’amica per un viaggio, ma dopo essere stata derubata, si stabilisce a San Francisco e riprende il lavoro di fotografa, riuscendo ad aprire un proprio studio per ritratti fotografici.

Nel 1920 sposa il pittore Maynard Dixon, da cui ha due figli: Daniel e John. Per molti anni è lei a mantenere la famiglia.

Inizialmente i suoi lavori riguardano ritratti dell’alta borghesia di San Francisco. Quando scoppia la profonda depressione economica che trova il proprio apice nel 1933, Dorothea scopre la propria vocazione: quella di fotografa documentarista. Testimonia il profondo sconvolgimento sociale ed economico che travaglia il paese. Circa 14 milioni di persone perdono il lavoro, alcuni rimangono senza casa e senza cibo. Siccità e tempeste di sabbia devastano i raccolti del Midwest e migliaia di uomini, donne e bambini emigrano in California in cerca di lavoro, viaggiando in auto sgangherate o camion fatiscenti, per seguire le richieste di manodopera per i raccolti.

Le sue fotografie che ritraggono tanti disperati ottengono l’interesse dei media e Dorothea ottiene un incarico presso la Farm Security Administration. La sua caratteristica è di creare un rapporto di empatia con i soggetti delle sue foto.

Nel 1935 divorzia da Dixon e sposa poi Paul Taylor, professore di economia presso l’Università della California a Berkeley.I due viaggiano insieme per 5 anni documentando la povertà degli ambienti rurali e lo sfruttamento dei mezzadri e dei braccianti. Le immagini toccanti di Dorothea fanno il giro del paese, provocano reazioni e diventano veri e propri simboli di un’epoca. Migrant mother del 1936 è diventata una vera icona internazionale: rappresenta Florence Thompson, di 32 anni, madre di 7 figli, che ha appena venduto i pneumatici del camion del marito per sfamare i suoi figli.

Dorothea amava considerarsi “photographer of the people”, fotografa della gente.

Nel 1941 riceve una prestigiosa borsa di studio per i risultati raggiunti nella fotografia, ma vi rinuncia dopo l’attacco a Pearl Harbour. Rimane colpita dal fatto che i giapponesi americani vengono mandati in campi di internamento: visita diversi centri di raccolta temporanei e il campo di internamento Manzanar, in California. Fotografa l’attesa, l’ansia, la disperazione di persone sottratte alla loro vita, alle loro case, al loro lavoro, munite di cartellini identificativi, sbalordite e spaventate. Il governo sequestra la maggior parte di queste immagini, temendone le implicazioni sull’opinione pubblica.

Queste fotografie di evacuazioni e internamenti si possono ammirare alla Biblioteca Bancroft dell’Università di Berkeley.

Nel 1945 diventa insegnante nella Scuola di Belle Arti di San Francisco.

Nel 1952 è cofondatrice della rivista Aperture e lavora per la rivista Life.

Documenta lo spostamento degli abitanti di Monticello, cittadina della California, in seguito alla costruzione di una diga. Segue poi la questione della difesa delle persone povere nel sistema giudiziario, in seguito all’esperienza dell’arresto e del processo del fratello Martin.

Muore a 70 anni, nel 1965, a San Francisco, per un cancro esofageo.

Tre mesi dopo la sua morte il MoMa di New York le dedica una retrospettiva ed è il primo contributo fatto a una fotografa donna.