Arte al femminile (241)

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In campo artistico non esistono frontiere e anche nel passato frequenti gli scambi e gli influssi tra movimenti.

Ernestina Mack Orlandini nasce a Hanau nel 1869: è meglio conosciuta come Ernestina Schultze-Naumburg, avendo sposato nel 1893 Paul Schultze-Naumburg, architetto tedesco. Dopo il divorzio con il primo marito Ernestina si risposa con Alfredo Orlandini, medico chirurgo fiorentino, per cui prende dimora a Firenze e ottiene la cittadinanza italiana.

All’inizio della carriera aderisce al movimento della Secessione di Berlino, che prende le distanze dall’arte accademica, si lascia influenzare dal divisionismo ed entra poi nell’orbita dei post-macchiaioli, realizzando paesaggi luminosi e delicate composizioni floreali.

La sua formazione parte da Karlshure e continua poi a Monaco di Baviera, dove si specializza nel ritratto. Con ritratti e nature morte si presenta nel 1892, a 23 anni, a mostre a Monaco di Baviera. Con il primo marito si stabilisce a Berlino, dove nel 1898 fonda una scuola privata di pittura. Nel 1900 si separa e si trasferisce in Italia. Nel 1901 si presenta alla Quarta Esposizione Internazionale d’Arte della Città di Venezia. Nel 1903 si risposa e si stabilisce a Firenze. Espone a Firenze nel 1905, ottenendo favorevoli giudizi di critica. Si presenta poi regolarmente negli anni seguenti a Firenze e Venezia. Nel 1910 è alla Secessione Viennese e nel 1911 a una mostra a Barcellona. Muore a Firenze nel 1965 (?).

Un suo autoritratto si trova nella galleria degli Uffizi di Firenze.

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Arte al femminile (240)

Il naturalismo nell’arte dell’Ottocento e del primo Novecento è caratterizzato dalla rappresentazione realistica di soggetti, senza pregiudizi di carattere sociale o filosofico, in contrasto con la cultura accademica. In Italia si parla di naturalismo lombardo per i pittori lombardi attenti all’osservazione della realtà, alla rappresentazione dal vivo, all’uso particolare della luce, con pennellate ricche d’impasti e sfumature. Le vedute e i paesaggi sono i soggetti dominanti. In Toscana abbiamo i macchiaioli, per cui il colore ha priorità sul disegno e viene steso a macchie con brevi pennellate: i contorni sono sfumati, luci e ombre hanno la funzione di determinare i volumi. Anche in questo caso si cerca di riprodurre la realtà come appare a un rapido colpo d’occhio.

Anche le pittrici si cimentano nei nuovi stili, anche se poco considerate.

Anna Mutinelli nasce a Venezia nel 1851. Frequenta l’Accademia di Belle Arti di Bologna e in seguito si stabilisce a Firenze. Frequenta i circoli artistici locali e stringe rapporti di amicizia con vari pittori, tra cui il Fattori (principale esponente dei macchiaioli). Si specializza nelle nature morte con fiori e organizza una scuola privata di pittura per signorine. Risente dell’influenza dei macchiaioli nella scelta dei soggetti e nell’uso del colore. Espone in diverse città, tra cui Torino, Trieste, Milano, Livorno, Roma e Basilea. Con il tempo si dedica anche a temi paesaggistici. Incerti sia il luogo che la data della morte.

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Agnese Mylius nasce a Milano nel 1860. Appartiene a un’agiata famiglia di appassionati d’arte. Quella dei Mylius è una famiglia d’imprenditori di origini austriache, impegnata nel settore bancario, nel commercio e nella produzione tessile. Il padre è Giulio Mylius e la madre Eugenia Schmutzinger: ha una sorella. Si dedica alla pittura studiando privatamente. Si specializza nella pittura di fiori, anche se si dedica a temi paesaggistici o a pittura di genere. Il suo stile risente del naturalismo lombardo.

Muore a Milano nel 1907, a 67 anni.

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Amore adolescente…

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L’uomo che non ho sposato parte in una grigia giornata d’ottobre. Rosi sta guardando la Senna, ma un passante, credendo che voglia suicidarsi, la trascina via dal parapetto. L’uomo l’invita in un bistrò per bere qualcosa: guardandosi attentamente i due si riconoscono. Rosi ritrova così il suo primo amore, Salvatore (Tore). L’incontro è l’avvio per un racconto in cui si alternano ricordi dell’adolescenza di Rosi e il momento attuale. Rosi aveva solo 12 anni quando era diventata la ragazza di Salvatore e lui era stato il suo iniziatore al sesso, il suo punto di riferimento in un periodo inquieto, di ricerca della propria strada e della propria identità, come avviene nel periodo adolescenziale. Adesso Salvatore ha aperto un ristorante, ha moglie e due figli, mentre Rosi è scrittrice ed è rimasta single. La passione di una volta riemerge in una lunga notte che passano insieme: lui sempre vitale, passionale e un po’ bastardo, lei ironica e ribelle. Alla fine tutto rimane sospeso, ma Rosi è ormai matura…

Rosi è un personaggio che desta simpatia nel lettore e rappresenta gli ardori, la leggerezza, l’inesperienza dell’adolescenza e l’importanza del primo amore, che assume valore totalizzante.

Un racconto coinvolgente, che si legge rapidamente, apparentemente leggero, con uno sfondo di malinconia. Ancora una volta il periodo adolescenziale si presta ad essere rivisitato in chiave romanzesca, date le sue caratteristiche particolari, in cui tutti un po’ ci ritroviamo.

Rossana Campo nasce a Genova nel 1963. Famiglia di origine napoletana. Vive tra Roma e Parigi. Esordisce come scrittrice nel 1992 con La storia di Gabri. Nello stesso anno esce In principio erano le mutande, da cui è tratto il film omonimo. Con Feltrinelli pubblica: Mentre la mia bella dorme, Sono pazza di te, L’uomo che non ho sposato, Duro come l’amore, Più forte di me, Lezioni di arabo. Nel 2012 esce Felice per quello che sei e nel 2013 Il posto delle donne. È autrice della commedia radiofonica Il matrimonio di Maria e di un libro per bambini, La gemella buona e la gemella cattiva.

Nel marzo 2002 esordisce come artista figurativa con una personale alla Galleria Pintapiuma di Genova. Nel maggio 2003 c’è la sua personale Bambine chiuse, ragazze chiatte, mamme bisbetiche. Questa volta la storia la raccontiamo noi. Nel 2012 esce il catalogo delle sue opere pittoriche: L’arte soppianta tutti gli altri enzimi. Opere 2000-2011, edito da Il Canneto.

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Arte al femminile (239)

Roma rimane anche nell’Ottocento un centro attrattivo per gli artisti, come dimostra la vita di Lola Mora, scultrice, la cui esistenza trascorre tra Roma e l’Argentina. Questa artista ha un ruolo storicamente importante, sia per essere la prima donna scultrice in America latina, sia per essere anticipatrice di figure di donne libere, determinate e cosmopolite.

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Lola Mora (Dolores Candelaria Mora Vega Hernandez) nasce nel 1866 in Argentina. Non è certo il paese natio. Il padre è un commerciante e proprietario terriero di origine catalana, la madre è Regina Vega Sardina: Lola è la terza di sette figli, tre maschi e quattro femmine. Nel 1870 la famiglia si stabilisce nella città di San Miguel de Tucuman (centro nord dell’Argentina) e a sette anni Lola inizia gli studi nel Sarmiento College, scuola molto esclusiva, distinguendosi per le capacità intellettive e le attitudini per il disegno. Nel 1885, quando Lola ha 18 anni, perde entrambi i genitori. Nel 1887 arriva a Tucuman il pittore italiano Santiago Falcucci, originario di Chieti, professore di Disegno presso l’Accademia di Belle Arti della città natale e chiamato a insegnare presso la Escuela Normal. Lola diventa sua allieva. Con lui si avvia la sua strada di pittrice ritrattista. Impara a conoscere il neoclassicismo e romanticismo italiani, stili che influenzano la sua opera. Si mantiene facendo ritratti e diventa conosciuta, tanto che i suoi lavori sono richiesti anche da personalità della zona. Nel 1895 si reca a Buenos Aires per ottenere una borsa di studio, che le permetta di continuare i suoi studi in Europa. Il presidente Josè Evaristo Uriburu nel 1896 le concede un sussidio mensile di 100 pesos per due anni. Nel 1897 Lola è a Roma. Inizialmente segue corsi di pittura, poi incontra Giulio Monteverde, maestro nella lavorazione del marmo e decide di dedicarsi alla scultura. Apre uno studio a Roma, si lega ai circoli artistici e culturali della capitale e ottiene stima e rispetto. Il suo atelier di via Dogali è visitato da celebri personaggi dell’epoca, come la regina Margherita, Guglielmo Marconi e Gabriele D’Annunzio, per citarne alcuni. La stampa argentina s’interessa ai suoi progressi e riferisce dei suoi lavori, dei suoi viaggi in Europa, delle sue mostre e dei premi che riceve. Un auto-ritratto in marmo di Carrara vince una medaglia d’oro all’Esposizione Universale di Parigi del 1900. Fa scandalo il fatto che scolpisca anche nudi, per cui spesso ottiene critiche negative dagli ambienti più conservatori. Viaggia regolarmente tra Roma e Buenos Aires, lavorando per parecchi committenti. Con la morte del presidente Julio Argentino Roca, viene osteggiata dagli avversari politici dello stesso. Nel 1909, a 42 anni, sposa Luis Hernàndez Otero, figlio di una potente famiglia, più giovane di 17 anni. Alla cerimonia non partecipano i familiari dello sposo, contrari al matrimonio proprio per questa differenza d’età. La coppia non ha una vita felice, tanto che il marito la lascia dopo cinque anni. Nel 1915 Lola torna definitivamente in Argentina. Un po’ alla volta abbandona la scultura e si appassiona al mondo del teatro e del cinema. Tenta varie iniziative, che le fanno perdere i propri risparmi. Brevetta nuove idee riguardanti l’esplorazione mineraria, la rete ferroviaria, un sistema per proiettare film senza schermo, utilizzando una colonna di vapore, e un sistema di cinematografia a colori, basato sull’iridescenza delle emulsioni oleose della celluloide. S’impegna come urbanista e autrice del primo progetto di metropolitana e di una galleria subfluviale per la capitale. La salute si deteriora tra il 1932 e il 1933 e viene curata da alcuni parenti. Nel 1935 il Congresso le assegna una pensione di 200 pesos al mese. Lola muore a Buenos Aires nel 1936.

Lola Mora ha voluto esaltare nelle sue opere la bellezza e libertà delle donne, ma per la mentalità del tempo i suoi nudi femminili sono considerati immorali. Da un accademismo fortemente influenzato dal rinascimento italiano passa a un naturalismo estremo, con figure che sembrano quasi incomplete. La sua fortuna si lega principalmente alla produzione di opere di arredo urbano.

Bellissima, geniale e intraprendente, la sua vita viene narrata da Neria De Giovanni, nel libro “Lola Mora, l’Argentina di Roma”, edito dalla Nemapress.

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Ideologie perdute…

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L’illusione del bene ha come protagonista un uomo deluso per vari aspetti dalla propria vita: deluso da un matrimonio finito, nonostante l’amore per la moglie e i figli; deluso dal lavoro come giornalista televisivo, perché epurato per motivi politici; deluso dall’ideale comunista, perché la caduta del muro di Berlino ha rivelato molti aspetti negativi dell’applicazione di tale fede politica. Mario, il protagonista, rappresenta una generazione privata della propria ideologia, che stenta a riconoscersi nell’indifferenza contemporanea. In questa situazione di disagio personale incontra Sonja, una giovane pianista russa che vive con la nonna e la figlioletta nata da un amore ingannevole. Rimane particolarmente colpito dalla vicenda di Irina, la madre di Sonja, ufficialmente morta in un ospedale psichiatrico, dove era stata forzatamente ricoverata per la sua attività di dissidente del regime. Troppe le domande irrisolte sul destino della donna e Mario decide di mettersi sulle tracce di Irina, accompagnato dal figlio Roberto. Va prima a Budapest, poi in una sperduta cittadina dell’ex Unione Sovietica e…

Un libro che aiuta a riflettere sul valore delle ideologie, sulla fragilità di alcune generazioni, sulle prospettive future, su un passato scomodo, ma ancora in gran parte sconosciuto. Un romanzo alla fine positivo, perché fa sperare in un futuro di rinascita collettiva, come avviene a Mario, che alla fine si riconcilia con se stesso, mentre prima, come gli diceva la moglie Patrizia “Mario, tu non puoi sopportare la felicità. Ti pare sempre di averla tolta a qualcuno”.

 

Quanto male si era fatto progettando il bene” è la sintesi di quanto avvenuto nei paesi comunisti.

 

“ E’ un mondo interiore che crolla con il Muro. Il male, il bene, la sensazione nostra di essere i migliori, l’idea che esistesse un progetto futuro, un’organizzazione sociale che avrebbe permesso a milioni di persone di essere uguali, di accedere alla cultura, al benessere, di non sentirsi mai più esclusi! E’ un sistema mentale che va in frantumi…” ( p. 25 ).

Dai frantumi può però iniziare una rinascita!

Cristina Comencini nasce a Roma nel 1956. Il padre Luigi è un regista importante. La sua è una famiglia di donne: la madre e tre sorelle. Frequenta una scuola francese, prendendo doppia maturità: italiana e francese. S’iscrive alla Facoltà di Economia e Commercio e per un po’ di tempo si occupa di recensioni economiche in un ufficio di ricerche. Ha tre figli. Scrittrice e regista pubblica varie opere: Le pagine strappate (1991, 2006), Passione di famiglia (1994), Il cappotto del turco (1997), Matrioška (2002), La bestia nel cuore (2004), Due partite (2006, 2015), L’illusione del bene (2007), Quando la notte (2009; anche in audiolibro nel 2011), Lucy (2013), Voi non la conoscete (2014) e, per la collana digitale Zoom, La nave più bella (2012). I suoi film sono: Zoo (1988), I divertimenti della vita privata (1990), La fine è nota (1992), Va’ dove ti porta il cuore (1996), Matrimoni (1998), Liberate i pesci (2000), Il più bel giorno della mia vita (2002), La bestia nel cuore (2005, nominato all’Oscar per l’Italia; dvd Feltrinelli ‟Le Nuvole”, 2006), Bianco e nero (2008) e Quando la notte (2011).

Personalità poliedrica, molto attenta ai temi sociali.

Arte al femminile (238)

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Ho avuto la fortuna di vedere la mostra di questa pittrice russa contemporanea a Seriate, presso la fondazione Russia Cristiana a Villa Ambivere.

Elena Cerkasova nasce nel 1959. Il padre è uno studioso, la madre insegna lingue straniere. Il nonno ha vissuto la tragedia del lager staliniano e uno zio è morto giovanissimo in guerra. Elena s’iscrive a una scuola d’arte serale, ma ben presto si ritira, perché non se la sente di seguire il cosiddetto realismo socialista. Continua a dipingere per qualche tempo, mostrando i suoi quadri agli amici. Dopo una forte crisi interiore, Elena si ritrova nella fede cristiana, si battezza e si dedica completamente alla vita comunitaria parrocchiale. Restaura libri religiosi, confeziona paramenti sacri, canta nel coro. Sembra aver chiuso con la pittura. Per qualche tempo studia attentamente le icone, la loro tradizione, ma non diventa un’iconografa. Nel 1996 riprende a dipingere e affiora un originale linguaggio artistico, per cui il creato viene rivisto alla luce della fede. Nel 2001 incontra il gallerista Nikolaj Filimonov e da questo momento inizia a esporre. Attualmente vive e lavora a Mosca, oppure nel villaggio di Teren’kino, in campagna, dove trascorre alcuni periodi.

I suoi quadri sono particolari, ricchi di colori densi, pastosi. Hanno alcuni aspetti delle icone, nella mancanza di profondità delle immagini, nella ieraticità delle posture e per altri aspetti ricordano lo stile naïf o la fantasia di Henry Rousseau. Dipinge soggetti sacri con lo stupore di chi vede negli uomini, negli animali, nei fiori e negli alberi le meraviglie della creazione. I suoi personaggi non hanno bocca, ma occhi grandi, spalancati, pieni di attesa o meraviglia. I motivi ornamentali delle vesti e degli sfondi sono scritte in paleoslavo, che riportano inni, salmi, versetti dal Vangelo.

Il titolo della mostra si riferisce al cuore umano proteso alla ricerca di qualcosa che può trovare solo con la fede.

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Arte al femminile (237)

Nel 1886 Paul Durand-Ruel, mercante d’arte, organizza una mostra a New York. Porta nella capitale economica e culturale degli USA ben 300 quadri dei principali maestri francesi dell’impressionismo. Questa mostra apre nuovi orizzonti agli artisti americani e l’impressionismo diventa per alcuni il nuovo linguaggio, facendo scoprire la bellezza degli effetti della luce, colta nei suoi cambiamenti e riflessi. La pittura per gli impressionisti blocca l’immagine in uno dei suoi attimi irripetibili, con minori vincoli verso il disegno. Lilla Cabot Perry è una delle artefici del cambiamento.

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Lydia (Lilla) Cabot Perry nasce nel 1848 a Boston. Suo padre Samuel Cabot è un chirurgo stimato, la madre è Hannah Lowell. Lydia è la maggiore di 8 figli. La famiglia gode di una buona posizione economica e può vantare amicizie importanti con personaggi della cultura del tempo. Lydia studia letteratura, poesia, musica e s’impratichisce nel disegno. Quando scoppia la guerra tra sudisti e nordisti Lydia ha 13 anni: i suoi genitori sono ardenti abolizionisti della schiavitù e assumono un ruolo attivo nello sforzo bellico, fornendo assistenza ai soldati feriti e proteggendo gli schiavi in fuga. A 17 anni si trasferisce con la famiglia nel Massachusetts, dove si appassiona a ritrarre la natura e i paesaggi selvaggi. Con i genitori compie nel 1867 un viaggio in Europa, per approfondire le conoscenze nel campo dell’arte. Nel 1874 sposa Thomas Sergeant Perry, studioso e linguista insigne. Da lui ha 3 figlie: Margherita, Edith e Alice. Le figlie diventano uno dei temi preferiti dei suoi quadri. Nel 1887 i Perry si trasferiscono a Parigi, dove Lydia ha la possibilità di lavorare con artisti importanti. Impiega molto del suo tempo a studiare gli antichi maestri nei musei, con la guida di Bernard Berenson, critico d’arte e amico del marito. Si reca anche in Spagna, per copiare opere al Museo del Prado. Nel 1887 la troviamo a Monaco di Baviera, dove studia le tecniche del cosiddetto realismo sociale con Fritz von Uhde, da cui impara l’effetto dinamico del colore. Tornata a Parigi nel 1888 segue i corsi all’ Académie Julian. Ottiene un certo successo a Parigi, tanto da essere ammessa alla classe di Alfred Stevens, noto per i suoi interni eleganti, con signore che sembrano perse in atmosfere di sogno. Diventa amica di pittori come Mary Cassatt, Pissarro e Monet. L’incontro con Monet è determinante per l’evolversi della pittura di Lydia, che trascorre lunghi periodi a Giverny, dove Monet vive, per apprendere i canoni dello stile impressionista. I suoi quadri acquistano vitalità, Lydia lavora en plein air, prediligendo colori tenui e il rosso papavero. L’amore per l’impressionismo trasforma la sua arte. Dopo essere stata in Belgio e in Olanda, Lydia torna a Boston, portando con sé un dipinto di Monet e una serie di paesaggi di Breck. Lydia s’impegna molto non solo a far conoscere l’impressionismo negli Stati Uniti, ma anche a radunare intorno a sé seguaci di questo stile.

Nel 1897 il marito ottiene un incarico come insegnante in Giappone, come professore d’Inglese presso l’Università. I tre anni vissuti in Giappone le permettono di fare amicizia con Kakuzo, uno dei fondatori dell’Imperial Art School. Espone a Tokyo e i suoi lavori uniscono tradizioni estetiche occidentali e orientali, imparando le linee pulite delle stampe giapponesi. Tornata in America, si concentra sui ritratti. Espone a San Francisco, Boston New York, Parigi, sempre con grande entusiasmo verso le novità del tempo. Ottiene vari riconoscimenti ufficiali e contribuisce a fondare una Gilda di artisti a Boston. Si dedica anche alla poesia e pubblica un libro nel 1923.

Seguono poi alcune tragedie familiari: lei si ammala di difterite e la figlia Edith ha un crollo per cui viene ricoverata in un centro di salute mentale. Nel 1928 perde il marito e per un po’ di tempo non riesce a riprendersi dal lutto. Torna a esporre dal 1929 e dipinge sino al giorno della morte, il 28 febbraio 1933, all’età di 86 anni.

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Cercare di capire la vita…

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Il cielo dei leoni è un libro particolare, un insieme di racconti che riguardano la protagonista (che è la stessa autrice) e sono come confessioni, confidenze, riflessioni, espresse in un linguaggio pieno d’immaginazione e fascino. Ci sono appunti di quotidianità, ricordi, sogni, desideri, paure: osservazioni sulla vita in generale e la sua in particolare. La vita dell’autrice diventa oggetto di molte considerazioni, che coinvolgono il lettore e lo aiutano a riflettere sulla ricchezza della vita, di ogni vita. Il tutto è ambientato nei paesaggi messicani, ricchi di colori, di profumi: l’avita e splendida Puebla, la caotica Città del Messico, le lagune dei Caraibi…

“Quando ha raggiunto i cinquant’anni una donna può permettersi di fare il consuntivo della propria vita: mettere davanti a sé i tanti affetti che hanno costellato il mezzo secolo che ha attraversato e guardare a se stessa con l’attenzione dovuta a chi ha già percorso un lungo tratto di strada. Ángeles Mastretta ha deciso di creare un libro che offra ai tanti lettori, conquistati lungo il suo cammino di scrittrice, la sua immagine più autentica, anche se la mediazione della scrittura non rende mai totalmente sincero ciò che si scrive.”

Molto significativa la frase di Jorge L. Borges, all’inizio dei racconti:

“Voglio lasciare scritta una confessione, che sarà allo stesso tempo intima e generale, poiché le cose che capitano a un uomo capitano a tutti”

Un libro per riflettere sulla vita, anche la propria, per ritrovare il gusto della vita, la sua meraviglia, le sue sorprese…

Angeles Mastretta (Puebla 1949), ha aperto la carriera letteraria come giornalista, affermandosi poi negli anni Ottanta come scrittrice di narrativa sulla scena messicana, e ben presto mondiale, con il romanzo Strappami la vita (1985). L’apprezzamento della critica, i premi letterari e l’adesione del pubblico a questo primo romanzo — arrivato nel giro di pochi anni a vendere oltre un milione di esemplari – si sono riconfermati con altre due opere presto tradotte in molte lingue con grande successo, Donne dagli occhi grandi (1990) e Male d’amore (1996). Oltre ai romanzi, ha pubblicato anche due raccolte di racconti e riflessioni, Puerto Libre (1993) e Il mondo illuminato (1998). Àngeles Mastretta fa parte del comitato editoriale della rivista “Nexos”, in cui tiene la rubrica mensile ‘Puerto Libre”, riproposta su riviste pubblicate in Spagna, Germania e Cile. Vive a Città del Messico con la famiglia e sta scrivendo un nuovo romanzo, di prossima pubblicazione.