La continua catena di uccisioni di donne incolpevoli…

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Un libro sempre attuale, purtroppo…

Ferite a Morte è un’antologia di monologhi sulla falsariga della famosa Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master. I testi attingono alla cronaca e alle indagini giornalistiche: parlano in prima persona le donne che hanno perso la vita per mano di un marito, un compagno, un amante o un “ex”.

“Tutti i monologhi di ‘Ferite a morte’ – spiega Serena Dandini – ci parlano dei delitti annunciati, degli omicidi di donne da parte degli uomini che avrebbero dovuto amarle e proteggerle. Non a caso i colpevoli sono spesso mariti, fidanzati o ex, una strage familiare che, con un’impressionante cadenza, continua tristemente a riempire le pagine della nostra cronaca quotidiana. Dietro le persiane chiuse delle case italiane si nasconde una sofferenza silenziosa e l’omicidio è solo la punta di un iceberg di un percorso di soprusi e dolore che risponde al nome di violenza domestica. Per questo pensiamo che non bisogna smettere di parlarne e cercare, anche attraverso il teatro, di sensibilizzare il più possibile l’opinione pubblica”.

Non basta un megafono per farti sentire se da tre mesi sei in fondo a un pozzo, nessuno ti trova e non sai più come gridarlo che sei lì, proprio dietro casa, e che è stato tuo marito a buttartici. Non bastano le parole per chi è costretta a lucidare il superattico di un petroliere per pochi euro al mese, tra botte e tentativi di violenza, finché un giorno, per non impazzire, “sceglie di diventare un raggio di luce dorata” impiccandosi al lampadario di cristallo. O per chi faceva la commessa in un negozio di intimo: suo marito l’ha strangolata “con un paio di mutandine modello Folie de Paris, nuova collezione pura seta, taglia 42, inserti in pizzo sintetici. Euro 27. Ottima scelta”.

Dopo i racconti delle donne vittime di femminicidio c’è una sezione dedicata alla diffusione del fenomeno nel mondo: una impressionante carrellata di dati su un fenomeno che non registra flessione.

Una lettura che lascia tanta amarezza!

Arte al femminile (172)

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Rosa Bonheur nasce a Bordeaux nel 1822. Il padre Oscar Raymond è pittore paesaggista e ritrattista e incoraggia la passione dei figli per l’arte, tanto che questi vi si dedicano tutti con passione. La madre Sophie è insegnante di pianoforte: di padre sconosciuto era stata adottata da un ricco commerciante di Bordeaux, Jean-Baptiste Dublan de Lahet. A Rosa piace immaginare che il mistero delle origini materne nasconda chissà che nobili natali. La madre muore quando Rosa ha 11 anni. La famiglia Bonheur aderisce al sansimonismo, una setta cristiano-socialista, che promuove la giustizia sociale, la parità dei sessi e l’istruzione delle donne. Rosa è una bambina ribelle, attirata dalle immagini. Ha difficoltà a imparare a leggere. Prima di iniziare a parlare incomincia a disegnare. La madre, per insegnarle a leggere e scrivere, le chiede di scegliere e disegnare un animale diverso per ogni lettera dell’alfabeto. A scuola è dirompente e viene espulsa da varie istituzioni. Dopo un tirocinio fallimentare presso una sarta, a 12 anni il padre decide di formarla come pittrice. Inizia la preparazione artistica copiando immagini dai libri e facendo modellini in gesso. Si appassiona alla rappresentazione di animali, facendo studi di animali domestici: cavalli, pecore, mucche, capre, conigli. Studia anatomia animale presso la Scuola Veterinaria e frequenta i macelli di Parigi, per osservare le sezioni anatomiche. Rosa trascorre parecchi anni in campagna, dove si distingue per gli atteggiamenti giudicati mascolini, per la vivacità e intraprendenza. Crescendo tende ad affermare la propria personalità anche nell’aspetto esterno: porta capelli corti, veste spesso abiti maschili e fuma sigari. Assetata di novità e curiosa di tutto diventa amica di gente di tutte le condizioni sociali e non disdegna di frequentare luoghi malfamati e locali per soli uomini. Deve richiedere l’autorizzazione a indossare i pantaloni per frequentare le fiere di bestiame (autorizzazione rilasciata in Prefettura e rinnovata ogni 6 mesi) una volta iniziata l’attività di allevatrice di cavalli e altri animali (tra cui leoni e una lontra). Omosessuale dichiarata ha due grandi passioni: la prima per Nathalie Micas, che conosce all’età di 14 anni, quando Nathalie ne ha 12. Questo amore dura sino alla morte di Nathalie nel 1889. L’altro amore è quello per la pittrice statunitense Anna Klumpke, con la quale vive 10 anni, sino alla morte.

Espone al Salon per la prima volta nel 1841 (a 19 anni). Nel 1845 (a 23 anni), ottiene il primo riconoscimento ufficiale e nel 1848 (a 26 anni) la prima medaglia d’oro. Nel 1849, morto il padre, gli succede come direttrice dell’École Gratuite de Dessins des Jeunes Filles. Ottenuta fama internazionale, inizia a viaggiare e viene presentata a personalità quali la regina Vittoria, l’imperatrice francese Eugenia, il colonnello Cody (Buffalo Bill) e a tante altre figure rappresentative della sua epoca. Viene molto apprezzata in Inghilterra, soprattutto per le sue raffigurazioni della vita nelle Highlands scozzesi. Nel 1859 (a 37 anni) si stabilisce a Thomery, in una zona viticola della Seine-et-Marne, dove allestisce il suo atelier e può dedicarsi alla cura dei numerosi animali. Riceve, prima donna artista francese, la Légion d’honeur nel 1865 (a 43 anni) dalle mani dell’imperatrice stessa.

Rosa muore a 77 anni a Thomery. Semplice, accogliente, di una sincerità estrema era amata da tutti.

I quadri, gli acquarelli, i bronzi e le incisioni presenti nel suo studio sono venduti alla galleria Georges Petit, a Parigi, nel 1900. L’atelier di Rosa è diventato un museo aperto al pubblico.

Quadri importanti di Rosa si trovano al Metropolitan Museum of Art di New York e al Musée d’Orsay a Parigi.

Nei suoi quadri emergono il suo amore e la sua comprensione per gli animali, con raffigurazioni luminose e realistiche.

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Arte al femminile (171)

Mentre in Italia le donne si trovano coinvolte in vario modo nelle lotte risorgimentali (v.n.170), l’Inghilterra della seconda metà dell’’800 si caratterizza per un minor grado di conflittualità sociale e politica e una serie di conquiste democratiche che ne fanno un paese all’avanguardia sotto vari punti di vista. La condizione femminile rimane comunque arretrata: le donne non possono votare e citare qualcuno in giudizio. I diritti legali delle donne sposate sono simili a quelli dei figli. La proprietà personale che la moglie porta con sé al momento del matrimonio diventa irrevocabilmente di proprietà del marito, cui rimane anche in caso di divorzio. L’eventuale reddito della moglie lavoratrice appartiene interamente al marito e la patria potestà dei figli è affidata al padre, che può, a sua discrezione, proibire ogni tipo di contatto fra la madre e i suoi bambini. Gli imprenditori trovano più conveniente assumere donne e bambini, sottopagati e più docili: le condizioni di vita e di lavoro delle operaie sono massacranti. Alla fine del XIX° secolo si assiste a una rapida crescita del settore dei servizi e dell’amministrazione pubblica. Per le donne si amplia la possibilità di dedicarsi a lavori considerati socialmente onorevoli per loro, come la professione d’insegnante, di infermiera o di domestica.

Le artiste si pongono al di fuori della logica del tempo e perseguono i propri ideali di bellezza.

Mary Ann Elizabeth Duffield nasce nel 1819 a Bath, prima figlia di T.E. Rosenberg, pittore di paesaggi e miniature. Diventa pittrice in giovane età, specializzandosi nella rappresentazione di fiori e frutta. A 15 anni vince una medaglia d’argento assegnatale dalla Society of Arts. Espone i propri dipinti di fiori in modo continuativo dal 1848 al 1912 presso la Grosvenor Gallery. Nel 1850 sposa il pittore William Duffield, con cui collabora per anni, essendo anche lui specializzato in nature morte.

Nel 1856 pubblica il testo “ L’arte della pittura del fiore”, tradotto in varie lingue. Nel 1861 è eletta membro onorario del Royal Institute of Painters of Watercolours. Nel 1893 Mary Ann presenta alcuni suoi lavori alla Chicago World Exposition. Suoi lavori figurano nel volume Women Painters in the World. Muore nel 1914.

Suoi dipinti si possono ammirare nel Victoria and Albert Museum di Londra.

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Arte al femminile (170)

Nella cultura del Risorgimento italiano le arti hanno un ruolo fondamentale nel comunicarne i valori all’opinione pubblica, basta pensare alle opere di Verdi, ai romanzi di Manzoni e Nievo, alle liriche di Foscolo, Giusti, Carducci. Non minore importanza ha la pittura storica, insieme con la scultura monumentale. Molto interessanti i quadri del periodo.

L’arte mostra il mondo femminile in una prospettiva romantica: sono fidanzate, mogli e figlie che attendono il ritorno del soldato secondo un luogo comune antico e radicato. Cuciono coccarde, guidano rivolte, incitano i compagni. La categoria delle “compagne e delle “mogli” offre un’importante galleria di volti di donne. A dominarla è la figura di Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva, Anita Garibaldi. Dal Brasile parte per seguire le gesta di Garibaldi e muore nelle valli di Comacchio nel 1849, devastata dalla fatica della fuga dalla macerie della Repubblica romana.

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Anita Garibaldi

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Ci sono donne che lottano in prima persona, come la generosa infermiera Rosalia, sbarcata con i Mille a Marsala. Rose Montmasson, moglie di Francesco Crispi segue l’avventura dei Mille. Muore povera e sola, abbandonata da un marito assorbito dall’ascesa politica.Rose Montmasson.jpg

Colomba Antonietti viene uccisa da un proiettile, mentre difende la Repubblica Romana. Figlia di un fornaio dell’Umbria, combatte a fianco del marito, Luigi Porzi, che per il dolore di averla persa non si risposerà più

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Luisa Battistotti Sassi combatte, armi in pugno, durante le Cinque Giornate di Milano.

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Giuseppa Bolognara Calcagno, Peppa la cannoniera, trovatella siciliana, serva, stalliera, scende per strada a combattere i Borboni.

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Enrichetta di Lorenzo, colta e curiosa, affianca le imprese del compagno Carlo Pisacane. Numerose e purtroppo per lo più ignote le donne d’azione. Preziose sono anche le donne, che, sfruttando la propria posizione sociale, ospitano nei loro palazzi e nei loro salotti i sostenitori delle rivolte, come Cristina Trivulzio di Belgiojoso, costretta più volte alla fuga e all’esilio, per non essere arrestata.

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Antonietta De Pace di Gallipoli, ricca e fortunata, sceglie di studiare diritto per difendere meglio i contadini del Salentino. Subisce persecuzioni e prigionia e ha l’onore di entrare a Napoli a fianco di Garibaldi.

Giuditta Tavani Arquati viene uccisa, insieme ad altre 8 persone, mentre prepara un’insurrezione contro il governo pontificio nel 1867.

Tante tante le donne di cui rimangono labili ricordi e qualche isolata pubblicazione.

Arte al femminile (169)

Volgendo l’attenzione al sud Italia, trovo in Puglia nell’’800 un interessante quartetto di pittrici, uscite recentemente dall’oblio: Francesca Forleo Brajda, Teresa Laura Dello Diago, Anna Rolli e Maria Mundo.

Durante il periodo napoleonico (1806-1815) la Puglia ha un rilancio dell’economia, soprattutto per la ristrutturazione dei latifondi e un’adeguata distribuzione di terre pubbliche. Con il ritorno dei Borboni si sviluppano le idee risorgimentali. Nel 1860 grazie all’impeto garibaldino la Puglia è annessa al Regno d’Italia.

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Francesca Forleo Brajda (Francavilla Fontana 1779-1820) si cimenta inizialmente in soggetti sacri e successivamente in quelli storico-mitologici e letterari, tra cui alcuni dipinti ispirati dal poema “La Gerusalemme Liberata” di Torquato Tasso. Quando la pittrice si ritira in campagna a causa della salute cagionevole, la sua attenzione si rivolge alla pittura di genere bucolico, con scene agresti e della vita contadina alternate a tematiche riprese dalle realtà quotidiane di quei luoghi, come, ad esempio, “Il ballo della taranta” o “Il gioco della morra”. Suoi dipinti si trovano nella Basilica del Santissimo Rosario di Francavilla Fontana (in provincia di Brindisi).

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Teresa Laura Dello Diago (Mesagne 1762-1841) “d’onesta famiglia”, di “svegliata intelligenza e d’indole pacata” si dedica agli studi umanistici (“grammatica, retorica e arte poetica”), alla matematica, alla pittura. Nel 1810 (quando la legislazione in materia di pubblica istruzione impone ai municipi l’istituzione delle classi elementari maschili e femminili) fa la maestra nelle classi femminili del suo paese. Su questa esperienza elabora una breve personale riflessione sull’educazione delle donne. Di lei rimangono alcuni autoritratti e quadri con scene mitologiche ed episodi dell’Antico e Nuovo Testamento.

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Anna Rolli (Roma 1816-Bitonto 1851) si forma nella cerchia dei neoclassici dell’Accademia di San Luca a Roma. Devota ammiratrice della pittura di Raffaello, si cimenta in copie di opere del maestro urbinate. Nel 1830, un’opera raffigurante la Miracolosa guarigione del cieco Tobia viene esposta in Campidoglio guadagnando menzioni sul «Giornale Romano» e sul «Giornale Arcadico di Scienze, Lettere e Arti». Sposatasi con il medico Giovanni De Michele si trasferisce a Bitonto nella dimora soprannominata “La Romana” (oggi Ranieri) nella quale si rinvengono i simboli della Medicina e della Pittura e dove Anna esegue, fra il 1840 e il 1851, alcune decorazioni. L’agiatezza della facoltosa famiglia De Michele le consente di continuare a coltivare con discreta serenità e disponibilità di mezzi la passione per la pittura. È una delle pochissime donne a vincere nel 1841 la medaglia d’oro della Società promotrice di Belle Arti della città di Bari, partecipando con due copie da Raffaello, la Madonna di Foligno e la Madonna del cardellino, e con due dipinti ispirati ai temi dell’infanzia e degli affetti intitolati Innocenza e Amor materno. Sono menzionate alcune pale d’altare: La fuga in Egitto, realizzata per la chiesa di San Giuseppe di Palo del Colle e la pala per la chiesa del Purgatorio a Bitonto con La Trinità, la Vergine e le Anime purganti in cui inserisce il suo autoritratto al fianco dei ritratti del padre, del marito e dei suoi due figli. Le sue poche opere rivelano uno spiccato senso plastico e una forte padronanza del mestiere.

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Maria Mundo (Bari 1825-30 ca.-1889) frequenta un corso di pittura a Bari. Si conoscono i soggetti da lei preferiti: ritratti, frutta e fiori, considerati particolarmente pregevoli per una donna che, nonostante il suo essere donna, è ammessa alla prima Esposizione Italiana di Firenze con ben quattro dipinti tra i quali il ritratto del padre Giosuè, sindaco di Bari.

Superare il dramma dell’abbandono…

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I giorni dell’abbandono narra il dramma interiore di Olga, una donna di 36 anni, madre di due figli, lasciata improvvisamente dal marito Mario, ingegnere di mezza età, che si è innamorato di Carla, una ragazza con vent’anni meno di lui. Quella che sembrava una vita serena e appagante si svuota improvvisamente di senso. Abbiamo il flusso dei pensieri di Olga, che inizialmente si lascia andare alla disperazione, non riesce più ad accudire adeguatamente se stessa, i figli, la casa, il cane Otto, le amicizie…cade progressivamente in una forma di depressione. Il senso di vuoto la pervade ed è un vortice che le fa mettere tutto in discussione, unito a una profonda rabbia contro tutto e tutti. Un po’ alla volta recupera rispetto di se stessa, riesce a vedere il marito in modo più oggettivo e alla fine sceglie come nuovo compagno il musicista Carrano, uomo sensibile e pieno di attenzioni.

Il tema non è nuovo, ma la Ferrante sa entrare in profondità nell’animo di una donna, analizzando quello che si prova nel momento dell’abbandono: il “che cos’ha lei più di me?”, l’isterismo, la perdita di contatto con la realtà, l’introspezione ossessiva alla ricerca nel passato dei segnali del proprio fallimento, lo smarrimento, la graduale accettazione, il disincanto, la condanna del compagno e la disanima generale di tutti i sentimenti…

“…il dolore si è distillato, mi ha avvilita ma non mi ha spezzata.”

“Sì, ero stupida. I canali dei sensi si erano chiusi, non vi scorreva più il flusso della vita chissà da quando. Che errore era stato chiudere il significato della mia esistenza nei riti che Mario mi offriva con prudente trasporto coniugale. Che errore era stato affidare il senso di me alle sue gratificazioni, ai suoi entusiasmi, al percorso sempre più fruttuoso della sua vita. Che errore, soprattutto, era stato credere di non poter vivere senza di lui, quando da tempo non era affatto certa che con lui fosse vita.”

“Esistere è questo, pensai, un sussulto di gioia, una fitta di dolore, un piacere intenso, vene che pulsano sotto la pelle, non c’è nient’altro di vero da raccontare.”

Elena Ferrante è una scrittrice nata e cresciuta a Napoli. Ha fatto studi classici. Di lei non si sa quasi nulla ed è opinione diffusa che il suo nome sia in realtà uno pseudonimo. É autrice dell’Amore molesto, da cui Mario Martone ha tratto il film omonimo. Da I giorni dell’abbandono è stata realizzata la pellicola di Roberto Faenza. Nel saggio La frantumaglia (2003) racconta la sua esperienza di scrittrice: questo volume nasce per soddisfare la curiosità del pubblico nei confronti dell’anonima autrice. In esso sono raccolte le lettere della Ferrante al suo editore, le poche interviste e le corrispondenze con lettori d’eccezione. Sua funzione principale è far comprendere al lettore i motivi che spingono l’autrice a rimanere nell’oscurità. La scrittrice parla di desiderio di autoconservazione del proprio privato, di necessità di mantenere una certa distanza e non prestarsi ai giochi giornalistici che spingono gli scrittori ad apparire come ritengono che il pubblico si aspetti. La Ferrante è fermamente convinta che i suoi libri non abbiano bisogno di una sua foto in copertina né di presentazioni promozionali: devono essere percepiti come “organismi autosufficienti”, a cui la presenza dell’autrice non potrebbe aggiungere nulla di decisivo.

Nel 2006 le Edizioni E/O pubblicano il romanzo La figlia oscura, nel 2007 il racconto per bambini La spiaggia di notte e nel 2011 il primo volume dell’Amica geniale, seguito nel 2012 dal secondo volume, Storia del nuovo cognome, nel 2013 dal terzo, Storia di chi fugge e di chi resta, e nel 2014 dal quarto e ultimo, Storia della bambina perduta. Molto apprezzata in America, ha raccolto critiche positive da giornali prestigiosi, come il New Yorker.

Arte al femminile (168)

Il PURISMO è un movimento pittorico sorto in Italia nel XIX° secolo, codificato in un testo del 1842, “Il purismo nelle arti”. I pittori che aderiscono a questo movimento vogliono rivalutare l’arte d’ispirazione religiosa, rifacendosi a modelli del Trecento e Quattrocento italiano. Al concetto di bello ideale si contrappone quello di bello naturale, fondando la propria arte non più sull’imitazione dell’arte classica, bensì sull’imitazione della natura. Il movimento ha breve durata, presto soppiantato dallo stile dei macchiaioli e dalle nuove tendenze veriste. La realizzazione maggiore è costituita dai dipinti della Chiesa dell’Immacolata a Genova. Tra i puristi troviamo anche citata una donna, Luisa Piaggio.

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La Repubblica Ligure nel 1805 viene annessa all’Impero Francese e poi, dopo le sconfitte di Napoleone, contro la sua volontà è unita nel 1815 al Regno di Sardegna, sotto la dinastia sabauda.

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Luisa Piaggio nasce a Genova nel 1832. Nipote dell’incisore Domenico, figlia del pittore Giuseppe e della pittrice Capurro, viene avviata giovanissima all’arte. Dal 1854 (a 22 anni) partecipa alle esposizioni della Promotrice Genovese con soggetti di genere, ritratti e quadri di tema religioso. Nel 1857 si reca in Toscana, prima a Siena, dove studia sotto la guida di Luigi Mussini, esponente di spicco del movimento purista, quindi a Firenze. Da questo periodo la pittura di soggetto sacro e l’influsso purista diventano orientamenti determinanti della sua produzione pittorica. Da Dufour è chiamata a collaborare alla decorazione della chiesa genovese di Santa Maria di Castello, alla quale sono destinati Gesù che piange sopra Gerusalemme, San Giuseppe che adora il Bambino e il cartone La Deposizione di Gesù Cristo nel Sepolcro, presentati all’Esposizione Nazionale di Firenze del 1861. Fra le altre numerose opere religiose si ricordano La prima Adorazione nel Presepio (1860, Genova Nervi, Galleria Civica d’Arte Moderna) e San Giovanni Buono (1862, per la chiesa di Recco, Genova). Il 20 aprile 1863 sposa a Genova il suo maestro Luigi Mussini. Da questo matrimonio nascono due figlie: Giulia e Luisa. Sopravvive pochi giorni al secondo parto e muore giovanissima, a 33 anni, nel 1865 a Siena.

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Arte al femminile (167)

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Orsola Faccioli nasce a Vicenza il 23 agosto 1823, ultima di sette fratelli, da Gaetano Faccioli e Maddalena Lupieri. La famiglia vive in una contrà vicina al bellissimo Teatro Olimpico. La vita familiare è contrassegnata da duri sacrifici e dalle morti premature dei figli, che si susseguono con drammatica regolarità, fino alla perdita dell’ultimo figlio Giovanni, appena tredicenne. Con Orsola solo le sorelle Caterina e Benedetta avranno vita longeva. Pare che Orsola abbia dimostrato sin da bambina particolare predisposizione e amore per l’arte, ricevendo in famiglia i primi rudimenti del disegno e dell’uso del pennello. Il cugino Pietro Leonardo Giovanni Lupieri, pittore e “fabbricatore di gesso”, le impartisce probabilmente lezioni di pittura. Orsola completa la propria formazione presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, città nella quale rimane sino al matrimonio nel 1848 (a 25 anni) con il pittore siciliano Antonio Licata. Trasferitasi a Napoli, ritorna a Vicenza molto di rado, per i numerosi impegni familiari e lavorativi. Nominata nel 1867 insegnante di disegno presso due Istituti privati napoletani degli Educandati Femminili, si occupa con dedizione dei quattro figli: Augusto, Giovanni, Giustina, Gaetano. 1pc_bolle.jpg

Precedentemente, nel 1856, aveva partecipato assieme al marito alla Biennale borbonica, iniziando a impegnarsi per Esposizioni sia locali che internazionali, che le daranno fama e commissioni. La sua partecipazione alle mostre si protrarrà sino al 1885. Negli anni successivi si susseguiranno gravi lutti: la morte del figlio Giovanni (scienziato ed esploratore) nel 1886 in Etiopia e la perdita della sorella Elisabetta nel 1887. Nello stesso anno viene invitata dal Presidente della Commissione delle Cose Patrie della Regia Città di Vicenza a vedere il dipinto risorgimentale da lei stessa donato alla Pinacoteca di Palazzo Chiericati. Ritorna a Vicenza anche nel 1890, dipingendo una veduta della città che lascia all’amico garibaldino Giurolo. Rimasta vedova nel 1892, vive gli ultimi anni nell’assoluto ritiro dalla scena artistica, accudita dal figlio Gaetano, unico rimastole. Muore a Napoli nel 1908 a 85 anni.

“Ha seguito in tutte le sue fasi lo sviluppo preso dall’arte in questi ultimi tempi, ed oggi i suoi quadri di paese e prospettiva, oltre il gusto del soggetto piacciono pel tono robusto e pel tocco sicuro” scriveva di lei un critico contemporaneo.

Era considerata fra le buone pittrici del suo tempo. Tra le sue tele di maggior importanza si ricordano: “Interno della scala del Palazzo Reale“, “La Villa Nazionale durante il Concerto musicale”,Interno della cappella dell’ lmmacolata” (nella chiesa dell’Ascensione in Chiari), “Interno della chiesa di San Marcellino” ( proprietà del Municipio di Napoli), “Il coro dei Cappuccini a Roma” (nella Pinacoteca di Capodimonte), “Veduta della Piazza dell’Isola” (nella Pinacoteca di Vicenza) “Veduta di San Marcellino”;Veduta di Capodimonte”; “Isola di San Giorgio a Venezia”; “Piazza Navona a Roma”.

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Storia di una pittrice straordinaria…

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Questo libro alterna la storia della pittrice Charlotte Salamon con il percorso fatto dal narratore per ripercorrerne la vicenda umana. David Foenkinos si reca a una mostra ad Amsterdam dedicata alla pittrice ebrea Charlotte Salamon. Le sue tele lo colpiscono talmente che inizia a cercare notizie sulla pittrice. La biografia inizia nei primi anni del Novecento. Parte dall’infanzia di Charlotte a Berlino, con la ricerca dei luoghi e delle persone che hanno avuto modo di conoscerla o incontrarla. Charlotte, bimba malinconica e solitaria, appartiene a un albero genealogico maledetto. La zia, che portava il suo stesso nome, si è suicidata a 18 anni, gettandosi nelle acque gelate di un fiume, per un disagio esistenziale trasformatosi in nevrosi. L’adorata madre Franziska segue il destino della sorella e si getta da una finestra, dopo avere tentato in tutti i modi di vincere la propria depressione. Charlotte cresce solitaria, introversa, selvatica e sofferente con i nonni e un padre spesso assente. Il padre David, medico famoso e stimato, cerca in tutti i modi di salvare la figlia da un destino che ha già sconvolto altri familiari del ramo materno. Egli sposa in seconde nozze una cantante famosa, Paula, che riesce a stabilire con Charlotte un rapporto di profondo affetto. La matrigna ha una positiva influenza sulla ragazza, sostituendo il padre, sempre più concentrato sulla carriera, cercando di proteggerla dalla nefasta influenza dei nonni. Durante un viaggio in Italia Charlotte scopre la pittura e una vocazione che non la lascerà più. Giovane taciturna e di una sensibilità esasperata, s’innamora dell’insegnante di canto di Paula, Alfred, con cui intesse un complesso rapporto amoroso, con un coinvolgimento totale. Ammessa all’Accademia delle Belle Arti di Berlino, si segnala per le proprie indiscutibili capacità. Rimane coinvolta nelle persecuzioni naziste contro gli ebrei. Dopo la notte dei cristalli del ’33 è costretta a raggiungere i nonni in Francia, mentre i genitori riparano in Olanda. Gli ultimi anni sono drammatici: prigioniera con il nonno in un campo di concentramento, dal quale viene liberata, riesce poi a sfuggire a una retata. Si rifugia nel sud della Francia dove incontra Alexander Nagler, rifugiato austriaco, che rimane affascinato dalla pittrice e la sposa. Incinta di cinque mesi Charlotte viene catturata e deportata con il marito e finirà i suoi giorni in una camera gas a soli 26 anni.

Prima di essere catturata Charlotte affida a un medico amico i suoi quadri dicendo: “È tutta la mia vita”.

La scrittura di questo libro è particolarissima, con frasi brevi o brevissime riportate con continui a capo, tanto da rendere il testo particolarmente incisivo, quasi che ogni frase abbia un valore a sé. La figura di questa donna straordinaria, dal destino così tormentato e infelice, emerge in tutto il suo fascino e la sua forza morale. La pittura è stata veramente tutta la sua vita e le ha dato la forza di sopravvivere anche nei momenti più tormentati.

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Arte al femminile (166)

Il nome di Regno Lombardo-Veneto venne istituito dall’Impero austriaco il 7 aprile 1815 nelle aree riunite di Lombardia e Veneto. In precedenza la Lombardia era stata divisa tra lo Stato di Milano e la Repubblica di Venezia, mentre il Veneto era interamente compreso nella Repubblica di Venezia.

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BORTOLAN ROSA nasce a Treviso (allora nel Regno Lombardo Veneto) nel 1817. Grazie a un assegno governativo studia all’Accademia di Venezia. Il suo nome figura nel 1843 tra i premiati per il disegno. La ritroviamo tra gli allievi dell’Accademia fino al 1846, anno in cui esordisce alla mostra annuale con il dipinto Maddalena piangente in una grotta. Si mantiene a lungo fedele alla lezione dei suoi maestri L. Lipparini, M. Grigoletti, O. Politi e N. Schiavoni. La prima fase della sua carriera è caratterizzata da prove, soprattutto pastelli, su esempi settecenteschi. Intorno alla fine del decennio l’artista passa alla tecnica a olio scegliendo tematiche storiche e religiose: l’interesse per i soggetti storici è testimoniato dal dipinto II Generale Bonaparte e il Provveditore Giustinan del 1860, nel quale ricorda l’impegno dei trevigiani per la causa nazionale. Più celebre e articolata è la produzione religiosa. Numerosi dipinti sacri sono conservati in area trevigiana come il Transito di San Giuseppe (chiesa di Carpenedo), San Venanzio Fortunato, (1860, chiesa di Valdobbiadene). Presso la chiesa di Santa Maria Maggiore a Treviso si può ammirare una pala di San Giuseppe, datata 1883, collocata sull’altare del transetto nella navata sinistra della Basilica. Nella ritrattistica combina la tradizione settecentesca con una rielaborazione personale per il colore e un certo interesse per lettura psicologica dei personaggi. Si possono vedere esempi del suo stile nel Ritratto del Podestà Giacomelli, nel Ritratto di Luigia Codemo o in quello di Maddalena Goujon all’arpa, conservati nel Museo Civico di Treviso. Rosa muore a Treviso nel 1892.

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C’è un’interessante pubblicazione su questa artista, per chi volesse conoscerla meglio.

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