Arte al femminile (553)

Come ho osservato più volte, il Surrealismo ha avuto grande diffusione e influenza.Molte le artiste che più o meno coscientemente ne accolsero gli stimoli e le suggestioni.

Ithel Colquhoun (Margaret Colquhoun) nasce a Shillong, nell’India allora britannica, nel 1906.

I genitori sono funzionari inglesi, che quando la figlia è in età scolare la mandano in Inghilterra e la iscrivono a un collegio, il Cheltenham Ladies’College per ragazze dagli 11 ai 18 anni, una prestigiosa scuola privata femminile.

Dall’età di 17 anni Ithel si interessa all’occultismo e sviluppa un’intensa passione per l’arte.

Ottiene l’ammissione alla Slade School of Art di Londra nel 1927, ma rimane sostanzialmente un’autodidatta, curiosa di sperimentare nuovi linguaggi.

Ha un profondo interesse per la biologia e gli studi su piante e fiori sono un tema ricorrente nella sua arte. I suoi primi taccuini sono pieni di disegni molto dettagliati di piante e dipingeva intere tele con immagini ingrandite di fiori.

Nel 1931 lascia la Slade, trascorre alcuni anni viaggiando (Grecia, Corsica, Tenerife…) e poi si stabilisce a Parigi, dove apre un proprio studio. Viene a contatto con il mondo del surrealismo, ma quello che l’affascina particolarmente è la pittura di Salvador Dalì, di cui ha modo di vedere un’esposizione a Londra.

Inizia a esporre i suoi lavori a Londra nel 1936 e nel 1937 entra a far parte dell’Associazione Internazionale degli Artisti.

Alla fine degli anni Trenta diventa ufficialmente associata al movimento surrealista, scrivendo in proposito alcuni articoli sul London Bulletin.

Vuole incontrare il padre del Surrealismo, André Breton, che non le fa una grande impressione per le sue idee sulle donne, che ritiene troppo restrittive.

Continua intanto gli studi sull’occultismo e questo la porta a essere espulsa dal gruppo dei surrealisti, ma lei continua a dipingere secondo i loro principi.

Nel 1940 conosce l’artista e critico d’arte italiano, di origini russe, Toni del Renzio, che inizialmente stronca la sua pittura, salvo poi riabilitarla ufficialmente.

I due si sposano nel 1943 e la loro casa diventa punto d’incontro di artisti e intellettuali.

In questo periodo crea opere che esplorano i temi della coscienza e del subconscio. Segue le teorie freudiane sui sogni ed esplora tematiche legate al sesso, contro il maschilismo allora dominante.

Nel 1947 i due artisti divorziano e Ithel si si sposta in Cornovaglia, inizialmente a Penzance e poi a Paul.

Alterna la permanenza in Cornovaglia con frequenti soste a Londra, dove tiene varie personali.

Utilizza una vasta gamma di materiali e metodi. Negli anni ’60 e ’70 si appassiona ai collage.

Notevole anche la sua attività di scrittrice, con parecchie pubblicazioni legate alle tradizioni celtiche e al mondo dei sogni.

Muore a Paul in Cornovaglia nel 1988.

Molti suoi quadri si possono ammirare alla Tate Modern di Londra.

Importanza dei ricordi

Ho avuto il piacere di conoscere l’autrice di questo libro delizioso, vivace come il suo stile narrativo.

Scrivere un racconto autobiografico non è facile, si rischia di cadere in una logica cronologica o lasciarsi prendere da eccessiva emotività, perché i ricordi sono la parte sensibile della nostra vita.

La scrittrice ha invece il pregio di parlarci di momenti della sua infanzia, mantenendo un equilibrio tra l’inevitabile intenerimento legato a figure del passato, soprattutto se affetti importanti, e la capacità di cogliere anche l’umorismo di certe situazioni.

Ognuno ha un luogo cui è particolarmente legato e il luogo mitico di questo racconto è Martorano, nella pianura romagnola, il paese in cui Patrizia trascorre le estati della sua infanzia, in casa della nonna. Questa nonna, la Meglia, è la coprotagonista della storia: è lei a gestire un bar intorno a cui ruotano tante figure e tante storie.

Bella donna, energica, attiva, generosa e sensibile, ma anche severa quando necessario, capace di fare un po’ tutto, di arrangiarsi in ogni situazione. La classica donna della Romagna, che sa stendere velocemente la sfoglia, preparare un pranzo per tante persone con pochi e semplici ingredienti e, nello stesso tempo, preoccuparsi di risolvere le tante incombenze legate alla gestione di una famiglia e di un bar, con clienti che chiedono attenzione o qualcuno che semplicemente li ascolti.

Ci sono 16 capitoli che sono come tanti brevi racconti autonomi ed è Patrizia bambina che descrive e narra del mondo che ruota intorno al bar, per lei continua scoperta.

Si inizia con la famiglia al completo, riunita per festeggiare lo zio Mario arrivato dall’Argentina: “Seduti attorno alle tovaglie bianche sembriamo la reclame del dentifricio Chlorodont della bottega della Berta…” poi, un po’ alla volta impariamo a conoscere tutti i componenti della famiglia, i compagni dei giochi, le figure caratteristiche, abitudini e feste paesane…

La campagna con i suoi colori e i suoi profumi, gli animali, gli interni, gli oggetti sono descritti in modo efficace e il dialogo nel dialetto locale ci fa “entrare” in una storia che ha un forte potere evocativo.

Sono le parole e lo sguardo di una bambina che ci fanno cogliere tanti particolari, che sono le sue quotidiane scoperte, con una libertà che le è impedita nella città in cui abita.

È così importante questa esperienza per Patrizia, così radicata nel cuore e nella mente, che il ritorno a casa si collega all’Addio monti, di manzoniana memoria.

Ogni volta allontanarsi dal Bar della Meglia è così doloroso che “è meglio non guardare più dal finestrino, spero proprio nella nebbia. Avrò un paio di giorni prima di tornare a scuola con i miei compagni, due giorni per addormentarmi nel buio con il cinema del ricordo”  e riaffiora il ritornello dei giochi all’aperto…  

Spero veramente che la casa editrice Il ponte vecchio di Cesena, danneggiata dall’alluvione che ha colpito tempo fa la Romagna, possa riprendersi e ristampare questo piacevolissimo libro.       

Arte al femminile (552)

Il surrealismo ha avuto, rispetto ad altri movimenti artistici del ‘900, maggiore diffusione sia a livello spaziale, sia a livello temporale.

“Una delle caratteristiche principali del Surrealismo fu la grande risposta e partecipazione da parte di un numero vasto di artisti provenienti da diversi paesi che contribuirono a farne la storia. I surrealisti furono noti anche per l’importanza che davano alla condivisione e alla collettività del processo artistico. Schiere di artisti si radunavano in salotti o in caffé, soprattutto a Parigi fin dagli anni Venti, dove discutevano di arte o creavano insieme opere nate dalla loro collaborazione. Esempio calzante fu l’invenzione della tecnica del cadavre exquis, che prevedeva l’intervento di più artisti i quali si cimentavano, uno ad uno, alla realizzazione di un disegno o un dipinto aggiungendo di volta in volta il proprio apporto (una figura, un oggetto o un dettaglio) a una composizione già avviata di cui però non conoscevano i precedenti passaggi. Si trattava di opere frutto della casualità e rivelatrici dell’inconscio, in quanto agli artisti veniva chiesto di riprodurre la prima cosa a cui pensavano senza ricorrere ad alcun nesso logico o pensiero guidato.”(da Tutto Mondo, 23 ottobre 2016, post di Virginia Villo Monteverdi)

Anche in questo movimento però le donne artiste faticano a ritagliarsi ruoli autonomi, spesso sono solo considerate muse o modelle, oppure compagne di…, sorelle di…, secondo uno schema difficile da superare.

Marie-Berthe Aurenche, per esempio, è ricordata come sorella del regista Jean Aurenche e seconda moglie dell’artista surrealista Max Ernst. Quasi nessuno la menziona come valente pittrice.

Nasce a Parigi nel 1906. Frequenta da giovane gli ambienti artistici parigini. Qui conosce il pittore Max Ernst, appena divorziato dalla moglie Luise.

Tra i due nasce un rapporto che li porterà al matrimonio nel 1927. Questo è preceduto da una fuga da Parigi di Marie, perché il padre l’aveva già promessa a un avvocato. Solo più tardi i genitori accetteranno la decisione della figlia.

La coppia si inserisce nel gruppo eterogeneo dei surrealisti.

Nel 1930 lei e il marito fanno parte del cast del film surrealista L’età dell’oro di Luis Buñuel.

Il rapporto dura sino al 1936, quando Max la lascia e chiede il divorzio, perché la ritiene eccentrica e troppo esuberante.

Marie vive con dolore tale separazione, tanto da cercare conforto nella fede e facendo un pellegrinaggio, sperando di riavvicinare il marito. Ci saranno in seguito contrasti legali, in quanto Ernst le nega gli alimenti.

Nel 1940 conosce il pittore di origine ebraica Chaim Soutine e ne diventa la compagna. In seguito all’occupazione nazista, i due artisti si rifugiano in un paese della Loira. Purtroppo Soutine muore nel 1943, per i postumi dell’internamento subito, per un certo periodo, in quanto ebreo.

Nel 1960 Marie tenta un riavvicinamento con Max Ernst e gli chiede di sposarla.

Sola e in difficoltà economiche si suicida nel 1960, a 54 anni.

Di lei non rimane quasi nulla: famoso è un ritratto fatto al padre del surrealismo, il poeta Breton, che di lei non aveva molta stima, considerandola troppo immatura. In un primo momento il ritratto è attribuito a Marie, poi il suo nome scompare e il quadro viene considerato opera di Ernst. Solo dopo anni Marie ha il giusto riconoscimento dalla critica ufficiale: “l’anomala calma della composizione e dell’atmosfera del dipinto sono una creazione di Aurenche”.

Qualche natura morta è in collezioni private.

Troviamo molte fotografie di lei e del marito, più per interesse nei confronti di quest’ultimo che verso di lei.

Arte al femminile (551)

La fotografia ha avuto grandi interpreti femminili, che ho ricordato in altri articoli. (v.n.546- n.533-n.527- n.526- n. 523- n.516- n.494- n.493-n.492- n.431- n.429- n.427)

Johanna Alexandra Jacobi ( per tutti Lotte) nasce nel 1896 a Thorn, allora in Germania, ora Torùn, in Polonia.

Cresce in una famiglia di fotografi, il cui primo esponente è stato il nonno, allievo di Louis Daguerre, padre della fotografia moderna. Il padre le regala, quando è ancora bambina, una macchina fotografica con la quale iniziare a esercitarsi.

Inizialmente studia cinematografia all’Università di Monaco e in seguito Fotografia all’Accademia Statale Bavarese.

A 20 anni sposa Fritz Honig, da cui ha il figlio John, ma la coppia si separa presto, prendendo strade diverse.

Dopo la morte del padre nel 1927 Lotte lavora nello studio di famiglia, sino al 1935, per mantenersi come madre single.

Essendosi dedicata da ragazza alla recitazione e alla danza, fotografa molti spettacoli di danza e teatro dal vivo a Berlino. Le viene anche permesso di entrare nel backstage, ritraendo molti attori e artisti famosi a quel tempo.

Con le prime avvisaglie del nazismo si trasferisce con il figlio a New York, negli Stati Uniti, raggiungendo la madre, che lì era emigrata. Qui conosce e sposa lo scrittore ed editore tedesco Erich Reiss, cui rimane legata sino alla morte di questi nel 1951.

A New York Lotte apre uno studio e ha la fortuna di fotografare personaggi famosi, artisti, scienziati, politici, come Albert Einstein, Eleanor Roosevelt, per citarne alcuni.

Incontra Tina Modotti, che presso il suo laboratorio espone i lavori che ha portato dal Messico.

Cerca anche di fotografare immigrati, come lei.

Nel 1955 si sposta con il figlio nella campagna di Deering, nel New Hampshire, continuando a lavorare parecchio.

Con il tempo i suoi soggetti preferiti diventano i bambini che giocano nelle strade e le famiglie delle zone rurali.

Crea quella che chiama “fotogenica”, ossia una fotografia fatta di stampe astratte, create spostando torce e candele su carta sensibile alla luce.

Inizia a interessarsi di politica sia locale che nazionale. Nel 1976 è delegata della Democratic National Convention.

Ottiene vari riconoscimenti ufficiali.

Lotte muore nel 1990, in una casa di riposo.

Suoi lavori si trovano al MoMa e al Metropolitan Museum of Art di New York, alla National Gallery of Art di Washington, al Museum of Fine Arts di Boston e al Folkwang Museum di essen in Germania.

Caratteristica del suo modo di fotografare è che dopo aver trovato la modalità giusta per ritrarre, aspetta sino a quando vede i suoi soggetti a loro agio, in modo da trasmetterne le emozioni e la personalità.

Ha lasciato in eredità circa 47.000 negativi all’Archivio dell’Università del New Hampshire.