Arte al femminile (596)

Rimanendo sempre nell’ambito delle artiste italiane del primo Novecento, si trovano personaggi completamente dimenticati, che si sono distinti in vario modo.

Anche l’arte dell’incisione vede poche artiste che vi si cimentino, in quando dominante la presenza maschile. Ciò non toglie che vi siano esempi eccellenti nell’ambito femminile.

Valeria Vecchia Rossi nasce nel 1913 a Napoli, da famiglia piacentina. Il padre Ubaldo, ingegnere, si trova temporaneamente in questa splendida città per motivi di lavoro. In seguito la famiglia si trasferisce a Roma, dove si stabilisce.

Valeria frequenta il liceo artistico e in seguito, nel 1935, si diploma all’Accademia di Belle Arti.

Dimostra grande interesse per l’attività incisoria e si cimenta nelle varie tecniche: acquaforte, punta secca, litografia e acquatinta, utilizzando anche diversi colori.

Realizza più di 800 incisioni e i soggetti sono i più diversi: da soggetti fantastici si passa a paesaggi, nature morte, allegorie o figure femminili.

Si dedica all’insegnamento e poi dal 1940 al 1945 lavora per la Soprintendenza ai Monumenti di Roma e del Lazio.

Curiosa e intraprendente, si dedica anche alla pittura a olio, alla pittura murale, al mosaico e all’oreficeria. In base alle commissioni che le vengono affidate, i soggetti sono spesso legati all’arte sacra.

Partecipa agli eventi artistici del tempo: la Quadriennale di Roma, la Biennale di Milano, la Quadriennale di Torino, la Biennale di Arte Sacra. Espone varie volte alla Biennale di Venezia. Fa anche mostre personali a Roma.

Fa parte dell’Associazione Incisori Veneti (A.I.V.), presenziando alle esposizioni che questa organizza in Italia e all’estero.

Ottiene numerosi premi.

Muore ad Acilia (Roma) nel 1986.

Arte al femminile (595)

La scultura rimane poco accessibile da sempre alle donne, anche per la fatica che comporta a vari livelli. Le artiste che vi si cimentano con passione raggiungono però risultati considerevoli.

Maria Antonietta Paoli Pogliani nasce nel 1880 a Castell’Alfero (in provincia di Asti- Piemonte) in una famiglia benestante.

Può seguire le proprie attitudini artistiche, incoraggiata dal suo ambiente e si reca in Francia per perfezionare la propria tecnica. Si appassiona alla scultura e studia a Parigi con Emile- Antoine Bourdelle, artista appassionato di miti e soggetti classici.

Successivamente Maria Antonietta si trasferisce a Roma, dove diventa allieva di Arturo Dazzi, pittore e scultore abile a conciliare tradizione classica e semplificazione moderna. Questi, nato a Carrara, aveva iniziato giovanissimo a lavorare il marmo, materiale cui rimane legato per tutta la vita e verso il quale indirizza anche la sua allieva.

A 26 anni Maria Antonietta partecipa alla Biennale di Venezia del 1912, a 28 anni a quella del 1914.

Nel 1915 è presente alla III^ Secessione Romana.

Nello stesso anno partecipa all’Esposizione Internazionale di San Francisco ed ottiene la medaglia d’oro per Bambina sulla spiaggia (On the beach). Questa manifestazione è organizzata per celebrare la ricostruzione di questa metropoli, dopo il terribile terremoto del 1906.

Negli anni successivi entra in maggiore contatto con l’ambiente artistico romano: espone alla IV^ Secessione Romana del 1916. Le opere di questo periodo, i cui soggetti sono spesso figure di adolescenti, rivelano l’influenza della cultura francese

Negli anni ’20 Maria Antonietta si rifa soprattutto alla tradizione italiana, interpretando in chiave decò temi e soluzioni formali classiche.

Sposa l’architetto Renato Paoli, con cui ha la figlia Maria Grazia.

Ottiene che le sia dedicata un’intera sala alla III^ Biennale di Monza in cui tutto il contenuto, soprammobili, stoffe, lampade, oggetti, è disegnato ed eseguito da lei.

Partecipa alla Biennale di Venezia del 1926, 1928 e 1930 mentre nello stesso periodo, nel 1926 e 1927, allestisce personali a Roma ed a Parigi.

Nel 1928 realizza la grande scultura, collocata nella lunetta del portale della chiesa di S. Andrea e Bartolomeo in piazza della Repubblica ad Orvieto.

Negli anni Trenta esegue molte opere ornamentali (bassorilievi, fontane, piccole cancellate), ritratti, monumenti funerari (cappelle funerarie nel camposanto monumentale di Siena e al cimitero di Roma).  L’intensa attività prosegue anche negli anni seguenti.

Espone alla Sindacale Romana del 1934 e del 1938 e sempre nel 1934 organizza una propria personale alla Galleria di Milano.
Ancora nel 1934 cura e fa pubblicare il volume “Estetica e ragione dell’urbanistica” ,edito da Biblioteca d’Arte Editrice, in cui riporta articoli e studi del marito.

Sue opere partecipano alla Mostra d’arte italiana itinerante allestita a Varsavia, Cracovia e Bucarest.

Muore a Roma nel 1956.

Arte al femminile (594)

Ci sono artiste la cui morte prematura ha impedito di poter vedere lo sviluppo della loro arte. L’artista fiorentina Vittoria Morelli è una di queste.

Vittoria Morelli è una pittrice italiana di cui poco si sa, ma che, nella sia pur breve vita, ha manifestato un grande talento.

Un suo quadro, Interno con figure, è conservato nella Galleria degli Uffizi ed è stato restaurato nel 2018. In esso si manifesta la sua vena narrativa e lo stile naturalistico, attento ai dettagli. Si comprende l’alta qualità della sua produzione artistica.

Vittoria nasce a Firenze nel 1892.

Attiva tra Roma e Firenze negli anni Venti e Trenta, lavora creando figurini di moda per la stilista di fama internazionale Maria Monaci Gallenga, ma soprattutto come illustratrice di libri per l’infanzia e per il Giornalino della Domenica.

A Firenze l’editoria e l’industria del libro hanno in questo periodo un peso rilevante. L’attività di illustratrice viene considerata particolarmente adatta alle donne, in quanto si può svolgere in ambito domestico.

Sappiamo della sua amicizia con la pittrice Fillide Giorgi Levasti (v.n.573), che introduce nell’ambiente romano.

Partecipa con i suoi quadri alle mostre organizzate a Roma in questi anni.

Muore a Roma nel 1931, a 39 anni.

Passione per i gialli

I libri gialli, i thriller, hanno la capacità di distogliermi da tutto e tenermi avvinta a un libro in modo quasi spasmodico, fino alla fine.

Lisa Regan (1971) è un’autrice di bestseller che hanno come protagonista la detective Josie Quinn. Per chi ama i thriller, i suoi libri hanno tutte le caratteristiche necessarie per gli amanti del genere: coinvolgenti, pieni di colpi di scena, ben strutturati, con adeguate descrizioni psicologiche dei personaggi, tengono col fiato sospeso sino alla fine.

Lisa è membro di Sisters Crime, International Thriller Writers of America. Ha una laurea in Inglese e un master in pedagogia presso la Bloomsburg University.

Ha scritto anche parecchi libri per bambini.

Dopo aver letto un suo romanzo, scelto quasi per caso, ho voluto leggerne altri con la stessa protagonista e nessuno mi ha deluso…

La ragazza senza nome

Quando la Detective Josie Quinn viene chiamata in una grande casa alla periferia della piccola città di Denton, rimane inorridita dalla ferocia dell’attacco che vi trova: vetri rotti, mobili in frantumi e schizzi di sangue sul pavimento. Una giovane donna giace gravemente ferita, c’è una culla vuota e un bambino è scomparso…L’unica pista a disposizione di Josie è una giovane e bella donna sorpresa a fuggire dalla scena del crimine, ma quando viene interrogata, si scopre che questa misteriosa ragazza non sa chi sia, da dove venga o perché sia così spaventata…

A rendere ancora più complessa la vicenda, c’è anche la scomparsa di Luke, fidanzato di Josie, in qualche modo coinvolto nel rapimento del bambino.

Si cerca di trovare a ogni costo il bambino rapito e dietro tutto c’è un insospettabile personaggio della città…

Josie Quinn, la protagonista della serie è una donna dal passato drammatico, con un’infanzia devastante. Lei però ha trovato la necessaria determinazione per seguire un percorso professionale in cui crede e a cui sacrifica anche la vita privata…

La sua tomba nascosta

Due ragazzi scoprono ossa umane sepolte sotto un albero, in un bosco nei pressi di un parcheggio per roulotte. La detective Josie Quinn si precipita sulla scena del crimine con la sua squadra. Conosce il posto, legato a un’infanzia tremenda, con una madre crudele e inquieta. Da bambina giocava anche lei in quel bosco, perché lì era più felice e lontana dalla madre violenta, Belinda Rose.

Un raro reperto dentale conferma che le ossa appartengono a un’adolescente in affidamento, uccisa trent’anni prima, Belinda Rose… A Belinda si collegano vicende di persone in vista della città.

Josie scopre una serie di verità sul suo passato e il motivo per cui non è mai stata amata dalla madre.

Si ricostruisce a poco a poco la vicenda di Belinda, che ormai anziana, non è cambiata e perseguita quella che ha sempre dichiarato essere sua figlia…

Nella storia si alternano ricordi del passato di Josie e un presente rocambolesco, per cui alla fine scopre la verità sulla sua vera famiglia…

La confessione finale

Quando sua collega Gretchen viene accusata di omicidio, perché tutti gli elementi sono contro di lei, Josie è l’unica a credere nella sua innocenza. Un ragazzo è stato trovato morto nel vialetto di casa sua, a suo carico sono gli indizi e le tracce, sua la pistola. Ci sono però elementi strani: una fotografia appuntata sul colletto del morto e la sparizione della stessa Gretchen.

Lavorando 24 ore su 24, Josie cerca tutto quello che può convalidare la sua idea, ma si trova bloccata quando Gretchen si consegna alla polizia. Anche in quel momento non riesce a credere che la sua collega sia un’assassina. Per conto proprio continua a investigare e quando una coppia viene trovata morta, scopre elementi comuni con omicidi dalle stesse caratteristiche, opera di un serial killer mai trovato, che aveva agito dieci anni prima.

Intanto è scomparso anche un amico del ragazzo ucciso…

Dopo una serie di colpi di scena, alla fine si svela il doloroso passato di Gretchen e il motivo per cui si è auto-denunciata.

Un susseguirsi di emozioni e varianti inaspettate!

Arte al femminile (593)

Maria Grandinetti Mancuso fa parte di quel gruppo di pittrici italiane del ‘900, che dipingono per istinto naturale quello che vedono, così come lo vedono, affidandosi unicamente alle proprie capacità espressive e al colore.

Come osservato più volte, a Roma e in genere nelle città italiane culturalmente più vivaci, la vita artistica ruota intorno ai salotti, ai circoli, più che esprimersi liberamente.

Maria nasce nel 1891 a Soveria Mannelli, un paese della Sila (provincia di Catanzaro, Calabria), in una famiglia della media borghesia: il padre Giovanni è ingegnere agrimensore, la madre Angelina Maruca casalinga.

Nel 1902 la famiglia si trasferisce a Napoli e Maria può dedicarsi agli studi artistici: studia presso l’istituto Vittoria Colonna prima ed è tra le prime donne a frequentare l’Accademia di Belle Arti a Napoli.

Nel 1911 sposa Cesare Mancuso, uomo colto e facoltoso, avvocato e magistrato nelle Forze armate nel periodo bellico, seguendolo prima a Bari, a New York e quindi stabilmente a Roma dal 1912.

La sua casa romana viene frequentata da artisti e intellettuali, come De Chirico, Balla e Ungaretti.

Nel 1914 allestisce due mostre personali a Roma, suscitando l’interesse dei rappresentanti della cosiddetta “avanguardia romana”. Partecipa poi alla III esposizione della Secessione Romana nel 1915 e alla Secessione Romana del 1916-17.

Nel 1917 nasce il figlio Mario.

Nell’ambito delle esperienze espositive romane, la pittrice si inserisce nel gruppo di artiste d’avanguardia come Pasquarosa (v.n.581) e Deiva De Angelis (v.n.582): partecipa nel 1918 alla Mostra d’Arte indipendente pro Croce Rossa presso la Galleria del giornale «Epoca ».

Con l’avvento del fascismo, cui è avversa, inizia un periodo di diminuita attività. Si avvicina alla pittura metafisica, con opere particolari come colore e soggetti.

Nel 1930 è a Parigi e incontra il pittore Maurice Utrillo e il critico Waldemar George, che scrive una monografia per lei in francese. Contestualmente si guadagna una monografia anche in tedesco (edita nel 1930 da Italo Tavolato) e in italiano, con la presentazione di Mario Recchi e Roberto Melli.
Nel 1931 viene organizzata una personale a Parigi, alla galleria Rosemberg, evento in cui si verifica un drammatico episodio: le tele della pittrice giungono deturpate da alcuni tagli, forse per «una esplicita rappresaglia di carattere politico » (Grasso 2002). Nello stesso anno pubblica una raccolta di testi critici e spunti autobiografici.

Nel 1933 allestisce una personale alla galleria Sabatello di Roma, con un successo di critica che le procura l’acquisto da parte dello Stato Italiano del Ritratto di Teresa Labriola (Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea).

Nel 1936 espone alla galleria Apollo di Roma ed è presente alle Quadriennali di Roma del 1935, 1939 e 1943. Nel 1940 due sue mostre personali sono allestite a Milano (Casa d’artisti) e Genova (Galleria Genova). Nel 1942 espone al Teatro Quirino di Roma: l’attività è intensa.

Convinta sostenitrice della pace universale attraverso le arti, dedica a questo obiettivo nel 1946 la fondazione della rivista «Arte contemporanea (Arte-scienza-pace)», attiva fino al 1968. Si avvicina nel 1951 all’associazione inglese General Welfare con cui fonda la Lega delle Arti e delle scienze, oltre ad aderire a congressi internazionali pacifisti.

Trascorre gli ultimi anni della sua esistenza afflitta da disturbi psichici (dopo la morte del marito ha una patologia depressiva), proprio quando l’attenzione della critica sembra rivolgersi nuovamente alla sua pittura.

Muore nell’Ospedale Psichiatrico Santa Maria della Pietà di Roma nel 1977.

I suoi dipinti sono conservati, per la quasi totalità, in collezioni private.

Alcuni quadri sono stati presentati presso il MAON- Museo d’arte dell’Otto e Novecento (a Rende- Cosenza), in occasione di mostre collettive, dedicate all’arte del Novecento Italiano, l’ultima delle quali si è tenuta nel 2013.

Arte al femminile (592)

Una volta l’arte univa…

Lilja Slutskaja nasce a Usun-Ada, una penisola sul lato orientale del mar Caspio, allora sotto la Russia, nel 1889.

Nel 1910 si trasferisce con la famiglia a Monaco di Baviera, dove frequenta la Scuola di Arti e Mestieri.

Allo scoppio della prima guerra mondiale si trasferisce a Zurigo, dove completa gli studi artistici e si interessa alle mostre d’arte lì presenti.

Finita la scuola si sposta a Losanna, dove trova lavoro presso un atelier artigianale russo, eseguendo intagli e dipinti su legno.

Raggiunge ad Ascona (comune svizzero del Canton Ticino, sul lago Maggiore) la sorella Xenja, sposata con il pittore americano Gordon McCouch.

Qui conosce Marianne Werefkin (v.n.298) e Alexej Jawlensky, che l’aiutano a esporre nel Padiglione russo alla Biennale di Venezia del 1920.

“Se buona parte della critica italiana mostra di disdegnare il Padiglione russo, accennandovi solo per definirlo un “gruppo raccogliticcio” o per beffeggiare la controversa mostra individuale dello scultore cubista Aleksandr Archipenko, riconosce invece a Lilja Slutskaja, che espone una serie di “Interni” e alcuni acquarelli di fiabe di Andersen, il merito di essere “una forte acquarellista, ironica e inquieta”, capace di afferrare bene gli aspetti grotteschi delle cose, e di riprodurli con abilità caricaturale” (F. Sapori, La XII Mostra d’Arte a Venezia. La pittura straniera, in “Emporium”, LII, 307-308, Luglio-Agosto 1920, pp. 128-129).

Nel 1923 è presente alla Prima Esposizione Internazionale dell’Acquarello presso la Permanente di Milano. Partecipa poi, nello stesso anno, alla Mostra Internazionale di Arti Decorative di Monza con alcuni oggetti di legno decorato: scatole, giocattoli e ninnoli vari.

Nel 1925 torna a Monza in occasione della Seconda Mostra Internazionale delle Arti Decorative, sempre con oggetti in legno scolpiti e colorati.

Nel 1933 si stabilisce a Genova, esponendo in varie occasioni pitture, disegni e acquarelli.

Nel 1938 si sposta a Milano, dove lavora come illustratrice di periodici come Il Giornalino della Domenica, La lettura, Il corriere dei piccoli, oltre a raccolte di fiabe per bambini, collaborando con alcune case editrici (Hoepli, Igis, Mondadori) con uno stile originale e inconfondibile.

Muore nel 1940 in un ospedale milanese.

Arte al femminile (591)

Elizaveta Kaehlbrandt Zanelli nasce a Riga nel 1880.

Si forma presso l’Accademia di Belle Arti di Pietroburgo e si perfeziona in seguito negli studi di artisti di Monaco e Parigi.

Nel 1904 espone per la prima volta a Riga e nel 1906 è a Vienna, dove ottiene molte commissioni per ritratti di famiglie nobili austriache. Viene invitata nel castello dei Principi Reuss di Vienna, alla Corte di Graz in Germania e nei castelli di Altenburg, Neuhoff e Jannowitz in Slesia, per interessamento della regina Eleonora di Bulgaria, nata principessa Reuss.

Durante un viaggio in Italia con la sorella Heddy, nel 1908, visita prima Venezia e poi Roma, dove conosce lo scultore bresciano Angelo Zanelli (autore del basamento dell’Altare della Patria).

I due si sposano a Riga nel 1909 e si stabiliscono poi a Roma.

Come si usava allora, nel suo salotto Elizaveta riceve sia alcuni esponenti della comunità russa stabilitasi in città, che illustri artisti italiani. Durante le “Domeniche in casa Zanelli” la socievole e raffinata Elizaveta instaura molte amicizie.

Trascorre poi le estati ad Anticoli Corrado, località allora meta di molti pittori, che nella bellezza del paesaggio e delle donne del luogo trovano ispirazione per le loro opere. In questa pittoresca località Elizaveta riprende scene di vita contadina e scorci del paesaggio ciociaro, che appaiono nei quadri che espone nel 1920 nel Padiglione Russo della XII Biennale di Venezia. Alcuni suoi quadri li dona al comune del paese, dove nel 2004 si è tenuta la mostra “Pittrici nella Valle dell’Aniene”.

Dopo diverse esposizioni in ambito romano, nel maggio 1928 è a Milano, presso la Galleria Micheli. Qui espone sia scene campestri che paesaggi marini, ispirati all’Isola d’Elba, dove ogni tanto ama soggiornare.  

Elizaveta dipinge in modo continuativo ed è presente in mostre sia personali che collettive (Mostra degli Amatori e Cultori d’Arte, a Roma- Biennale di Venezia- Biennali Romane- Mostra d’arte Marinara a Roma).

Ad intervalli regolari soggiorna con il marito anche presso il lago di Garda, che ama molto e riproduce nei quadri.

Dopo la morte del marito nel 1942, si ferma sino al 1951 presso il lago di Garda, torna poi a Roma e ad Anticoli, profondamente scossa da questa perdita. Nel 1958 lei e la figlia Magda si trasferiscono a Bergamo. Qui conduce una vita molto appartata, ma continua a dipingere ed esporre sino alla morte nel 1970.

A Brescia, città di nascita del marito, si trasferisce la figlia Magda e vengono organizzata diverse mostre dedicate a questa artista lettone. L’ultima è stata allestita nel 2009.