Biografia della poetessa Szymborska

bb23d5b64317013edf86afd8c2430859_w240_h_mw_mh_cs_cx_cyPer chi ama la poesia e ha avuto modo di apprezzare la poetessa Szymborska, questo libro dà un quadro completo di un’epoca, di un percorso umano e artistico. Con cura e attenta documentazione le autrici ricostruiscono la vita di questo singolare personaggio. Il racconto segue un ordine cronologico, evidenziando aspetti della personalità, riportando testimonianze di chi l’ha conosciuta, sue poesie e suoi scritti. Ci si perde un po’ tra i nomi e le citazioni, per cui è una lettura che richiede concentrazione e attenzione.

Tra le pagine di Cianfrusaglie del passato emergono i rapporti con i genitori («Mio padre era quello con cui si parlava, mentre con la mamma si cresceva, ci si lavava il collo e ci si cambiava i calzini»), la sofferenza per la morte precoce del padre e la vicinanza alla madre, che deve portare avanti con difficoltà la famiglia. L’iniziale infatuazione per l’ideologia comunista la porta a scritti che poi critica: si rende conto presto della cruda realtà del regime. Il matrimonio con Adam Włodek, poeta, giornalista e letterato, le fa capire le proprie potenzialità poetiche. Alla fine del matrimonio, durato sei anni, conserva stima e amicizia per l’ex marito, che assiste nel momento della malattia. Trasferitasi in un minuscolo appartamento (soprannominato il cassetto per le sue dimensioni), frequenta numerosi letterati, lavora per riviste e fa alcuni viaggi in Europa. Si parla della felice unione con lo scrittore Kornel Filipowicz cui dedicò molte poesie d’amore (da Amore a prima vista a Il gatto in un appartamento vuoto) e il dolore per la sua scomparsa, dopo 22 anni di vita insieme, ma in case separate. C’è la corrispondenza con Woody Allen, che non riuscì mai a incontrare. Il titolo si collega a «la simpatia per le cianfrusaglie del passato, i ninnoli di gusto kitsch, i gadget curiosi e le cartoline riportati dai viaggi all’estero oppure scovati nei mercatini dell’usato». Si scoprono aspetti domestici, come la passione per le lotterie, i telequiz, i serial televisivi e i collage.

«È riuscita fin quasi alla fine a vivere con i suoi ritmi, a lavorare, a incontrarsi con gli amici, a fumare sigarette, a bere un bicchierino di vodka», scrivono Bikont e Szczesna. «E a scrivere poesie». È morta a casa sua, nel sonno, a 88 anni.

«La letteratura non detiene il monopolio della meraviglia», ha detto in un’intervista. «La vita di tutti, quella consueta, è fonte incessante di stupore ».

Tra le poesie una ha il significativo titolo di Epitaffio: “Qui giace come virgola antiquata / l’autrice di qualche poesia…”

“Il poeta oggi è spesso scettico e diffidente… malvolentieri dichiara in pubblico di essere poeta – quasi se ne vergognasse: nella nostra epoca chiassosa è molto più facile riconoscere i propri difetti, perché sono visibili. Molto più difficile riconoscere le qualità, finché esse sono tenute nascoste.”

Ad alcuni piace la poesia

Ad alcuni-
cioè non a tutti.
E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza.
senza contare le scuole, dove è un obbligo,
e i poeti stessi,
ce ne saranno forse due su mille.

Piace-
mi piace anche la pasta in brodo,
piacciono i complimenti e il colore azzurro,
piace una vecchia sciarpa,
piace averla vinta,
piace accarezzare un cane.

La poesia –
ma cos’e’ mai la poesia?
Piu’ d’una risposta incerta
e’ stata gia’ data in proposito.
Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo
come alla salvezza di un corrimano.

szymborska-da-giovaneWislawa Szymborska (1923-2012) è stata una poetessa e saggista polacca, premio Nobel nel 1996. Il critico tedesco Marcel Reich- Ranicki ha affermato: «È la poetessa più rappresentativa della sua nazione, la cui poesia lirica, ironica e profonda, tende verso la poesia lirica filosofica». Il traduttore italiano, Pietro Marchesani, ha indicato nell’incanto il tratto più significativo dei suoi versi. La Szymborska individua l’origine della poesia nel silenzio. Utilizza espedienti retorici quali l’ironia, il paradosso, la contraddizione per illustrare temi filosofici e le ossessioni che ne derivano. È definita come una miniaturista, le cui poesie compatte spesso evocano ampi enigmi esistenziali.

Anna Christine Bikont (Varsavia, 1954) è giornalista e scrittrice polacca, autrice e coautrice di libri e raccolte di report.

Joanna Szczena (Lodz, 1949) è giornalista e scrittrice politicamente impegnata.

Entrambe sono collaboratrici del quotidiano “Gazeta Wyborcza”. Hanno conosciuto la Szymborska nel 1996, ai tempi del Nobel. Sono importanti i loro saggi sul poeta e saggista polacco Milosz, sulla questione ebraica in Polonia e sui rapporti tra scrittori e comunismo.

AnnaBikont_453 z15825598K

Arte al femminile (51)

piranesiLa Chiesa cattolica vive nel Seicento un periodo di trasformazioni durante il quale recupera le proprie tradizioni in risposta alle accuse dei protestanti: è la Controriforma. Chiede agli artisti di esprimersi in modo coinvolgente e comprensibile a tutti e trova nel Barocco, con i suoi artifici e le sue tecniche persuasive, un linguaggio adatto. Gli artisti barocchi tornano a parlare alla gente e a comunicare, attraverso le opere, l’illusione della realtà. Il carattere illusionista del Barocco ha come fine la meraviglia, il desiderio di stupire. Questo desiderio è motivato anche dallo stato d’animo incerto dovuto a una nuova visione del mondo: l’uomo perde la posizione di privilegio al centro del creato, sente il brivido dell’infinito e questi sentimenti si riflettono nell’arte, nella letteratura, nella filosofia e nella musica. Roma è il centro della cultura barocca e da Sisto V (1585-1590) in poi vi è un’opera di modernizzazione architettonica, culturale ed economica della città. Nel 1616 viene inaugurata la basilica di San Pietro in Vaticano, emblema del dominio papale.

botteghe_oscure_vasi_roma Vasi114g

reminescenzeginnasi  lapidesantamaria

domenicoginnasi1Caterina Ginnasi vive in pieno il clima di rinnovamento culturale e religioso della Roma del ‘600. Nasce a Roma nel 1590 da Dionisio, avvocato di casa Colonna e da Faustina Gottardi. Discendente da un’illustre famiglia romagnola, abita nel palazzo Ginnasi in via delle Botteghe Oscure con la madre, rimasta presto vedova e lo zio, il cardinale Domenico Ginnasi, decano del Sacro Collegio. Educata dallo zio, avrebbe dovuto andare sposa ad un cugino di primo grado, Francesco (lo zio ottiene in proposito apposita licenza dal papa), ma Caterina rifiuta decisamente le nozze, volendo dedicarsi alla pittura e alla vita contemplativa. Viene pertanto affidata intorno al 1620 alla guida del pittore romano Gaspare Celio e poi del parmense G.Lanfranco nel 1630. Entrambi questi maestri sono impegnati nelle decorazioni della Basilica di San Pietro e di altre importanti istituzioni religiose romane. Caterina si dedica principalmente alla pittura di carattere religioso: nel 1632 la troviamo al lavoro nella Cattedrale di Velletri e la sua presenza è segnalata in varie chiese di Roma. Nel 1638 risulta iscritta all’Accademia di San Luca, dove conosce la Garzoni.

Dopo la morte dello zio, che la nomina sua erede usufruttuaria, lasciandole 25.000 scudi in denaro e una rendita che ammonta a 14.000 scudi annui, Caterina si dedica a due iniziative religiose da lui avviate pochi anni prima, diventandone l’erede spirituale: il Monastero del Corpus Domini o delle “Ginnasie”, fondato nel 1635 all’interno di Palazzo Ginnasi, e la Confraternita di S. Maria Costantinopolitana del Suffragio, insediata dal Cardinale nella Cappella di Famiglia presso la Cattedrale di Velletri. Sempre a Velletri Caterina Ginnasi vuole ripristinare, di sua iniziativa, l’antico Monte di Pietà che, dal 10 luglio 1640, è chiamato il Sacro Monte di Pietà Ginnasi. Caterina detta in prima persona, con piglio imprenditoriale, gli statuti della rinata istituzione. Continua inoltre la pratica, iniziata dallo zio, di elargire elemosine in Roma. In questi anni Caterina fa edificare nella Cappella di San Biagio della chiesa di Santa Lucia il monumentale Sepolcro di sua madre e dello zio, opera, rispettivamente, dei fratelli Jacopo Antonio e Cosimo Fancelli e di Giuliano Finelli. Crescendo la sua propensione mistica, vive sempre più ritirata e solitaria, vestita da monaca, nel Monastero delle “Ginnasie”: qualche fonte riferisce che abbia preso anche i voti. Si ricorda della città d’origine della famiglia, Castel Bolognese, lasciando due pie istituzioni: -il fondo dotalizio Janè da lei istituito il 23 giugno 1640 per provvedere alla dote di quattro zitelle di Castel Bolognese, – un legato di 3.000 scudi istituito col testamento del 9 agosto 1643 in favore della Confraternita di Santa Maria dello Spedale per il funzionamento dell’ospedale cittadino. Si spegne in odore di santità, all’età di settanta anni, il 30 novembre 1660, “caduta in una grave e lunga infirmità contratta per aver patito troppo freddo di notte nella chiesa”. Per sua volontà è sepolta nella nuda terra, nella Chiesa di Santa Lucia alle Botteghe Oscure, ai piedi dello zio Domenico. Un suo probabile ritratto è stato riconosciuto in busto in marmo conservato al Victoria and Albert Museum di Londra.

Molte sue opere sono state fatte per la chiesa di Santa Lucia alle Botteghe Oscure. Difficile l’identificazione di molti quadri, poiché una volta le donne non firmavano le proprie produzioni artistiche. Si segnala per la ricchezza cromatica e chiaroscurale, nonché per la semplicità delle composizioni: sicuramente suo il ritratto dello zio cardinale.

Thriller originale

Il Vangelo dell’assassina è un thriller intrigante, perché fuori dagli schemi classici. La protagonista è Francy, una donna che si trova a capo di una potente associazione criminale e nel frattempo deve gestire una famiglia. All’inizio del racconto è incinta di otto mesi e nel corso della storia nasce Belle, per cui la protagonista passa continuamente dal ruolo materno a quello di spietata criminale. “Francy aveva una doppia natura: era fragile come un guscio d’uovo e dura come il cemento armato. Poteva angosciarsi per ore per un graffio sulla macchina e poi investire qualcuno con assoluta nonchalance, se pensava che lo meritasse.”

A un certo punto Francy deve scoprire chi è la talpa che sta mandando all’aria la sua organizzazione e chi è lo spietato assassino, che si serve anche di ragazzini soldato, che vuole sottrarle il potere. Quest’ultimo conosce un segreto terribile che riguarda il padre di Francy…

Intorno a Francy ruota una serie di personaggi dalle personalità complicate, come il figlio maggiore Adrian, affascinato dalla figura della madre, ma sconvolto dalla sua attività. Un po’ troppe le uccisioni e i massacri…il tutto sullo sfondo di un freddo paesaggio nordico, all’interno di grigi edifici di Stoccolma.

In questo romanzo sono stravolti non pochi cliché maschili sulla mafia e sul crimine in generale.

Manca ormai poco a Natale e fa freddo. La pioggia che cade sul giardino della sua villa di Stoccolma non fa che incupire i pensieri di Francy. Che noia, l’inverno. Peccato non poter cambiare a piacimento le stagioni, così come lei cambia di continuo le sue interminabili liste. Tutto programmato, secondo un ordine maniacale. Perché Francy non lo sopporta proprio, il disordine.

Nilsson_Johanna_3  Il-vangelo-dellassassino-di-Amanda-Lind

Amanda Lind, pseudonimo di Johanna Nilsson, è una giovane scrittrice svedese, nota nel suo paese dove ha vinto numerosi premi. Il Vangelo dell’assassina ha ottenuto un vasto successo di pubblico, destando interesse nei confronti dell’autrice, che si collega all’importante schiera di giallisti nordici.

Arte al femminile (50)

Cattedrale+di+Ascoli  Portale_barocco_-_Ascoli_Piceno

In Ascoli, come pure in tutta la Marca, dalla fine del Cinquecento in poi si consolida il potere temporale del Papa nella figura del vescovo e decade definitivamente ogni autonomia di governo dell’antica struttura pubblica. Tutta una serie di vicende, politiche e non, come l’autoritarismo dei governatori pontifici, la Controriforma, le scorrerie turche sulla costa, le carestie, la peste, le guerre, contribuiscono in maniera determinante, in tutta la provincia picena, a disgregare il tessuto sociale che aveva retto nonostante la crisi economica e il decadere dei sistemi produttivi rinascimentali. Inoltre la repressione pontificia, producendo un elevato numero di perseguitati politici, causa la nascita del banditismo. Per dare lustro al Papato si ampliano e modificano chiese, conventi e altri edifici religiosi: questo chiarisce la presenza in loco di artisti provenienti da altre località.

16780-Maratta_Ritratto_di_Giovanna_Garzoni  selfport

Giovanna Garzoni nasce nel 1600 ad Ascoli Piceno da Giacomo e Isabetta Gaia. La famiglia è di artigiani di origine veneziana. Il nonno materno, Nicola Gaia, e lo zio Vincenzo erano orafi, mentre un altro zio, Pietro Gaia, era pittore attivo ad Ascoli Piceno per tutto il primo ventennio del Seicento. Si sa ben poco del periodo trascorso ad Ascoli Piceno e della sua prima formazione, legata probabilmente agli insegnamenti dei parenti della madre. Si hanno tracce di una sua permanenza a Venezia, con il fratello Mattio, prima dei trent’anni, dove pare abbia seguito un corso di calligrafia presso la scuola di Giacomo Rogni. Alla fine del 1622 viene maritata al pittore Tiberio Tinelli, ma il matrimonio è annullato nel 1624. Nel 1625 pubblica un libro di calligrafia decorato con rappresentazioni di frutta, uccelli e fiori.Dal 1630 al 1631 la troviamo a Napoli, dove lavora sotto la protezione del Vicerè F.Alfàn de Ribera duca di Alcalà: quando il duca viene richiamato in patria Giovanna si trova senza stipendio, per cui va a Roma per qualche mese, aiutata da Dal Pozzo, membro dell’Accademia dei Lincei, esperto d’arte e legato a papa Urbano VIII Barberini. Conosciuta la sua fama di ritrattista, Cristina di Francia, duchessa di Savoia, richiede i suoi servizi a Torino, dove Giovanna giunge nel novembre del 1632. Alla corte di casa Savoia svolge un’intensa attività: si registrano varie miniature, di carattere sacro e mitologico, e ritratti. Nel 1637, alla morte di Vittorio Amedeo di Savoia, lascia Torino e probabilmente si reca prima in Francia e poi in Inghilterra, subendo l’influsso degli artisti d’oltralpe. Verso la metà degli anni quaranta, dopo un altro soggiorno romano, parte per Firenze, dove si ferma alla corte dei Medici dal 1642 al 1651. Qui conosce Jacopo Ligozzi, abile pittore del mondo animale e vegetale. Giovanna trova il proprio stile pittorico, che si configura come unione fra osservazione scientifica e natura morta. Sono i Medici ad acquistare o a fare eseguire alcune delle opere di maggiore rilievo. Torna poi a Roma, dove pare sia ammessa all’Accademia di San Luca (associazione di artisti fondata nel 1593): partecipa alle riunioni degli accademici e questi, quando Giovanna si ammala, la assistono e la vanno a trovare portandole “pane di zuccaro” e “altre confetture”. Muore nel febbraio 1670. Le viene elevato un monumento funebre all’interno della chiesa dei Santi Luca e Martina.

images-1 imagesGiovanna_Garzoni_Stilleben_mit_Birnen_und_Haselnüssen

La Garzoni mostra una grande abilità nel disegno, un colore morbido e seducente e, soprattutto, una raffinatissima abilità tecnica. L’uso del puntinato le permette di raggiungere effetti di estrema luminosità e di dare alle superfici una vibrazione che le rende quasi palpitanti. Famose sono le nature morte, un genere allora considerato minore dagli storici dell’arte, ma apprezzato dagli intenditori: dipinge un gran numero di vasi di fiori in cui dimostra grandi capacità sia dal punto di vista compositivo sia tecnico. Miniava i suoi ritratti, le sue nature morte (melograni e cavallette, nocciole e gelsomini, piatti di ceramica con meloni e topolini, pesche e uccellini, vasi cinesi con fichi, fave e i meravigliosi tulipani che l’Italia aveva scoperto da poco, spendendo cifre folli per procurarsi i bulbi in Olanda) con pennelli finissimi, usando tempera su carta pergamena.

Viene citata per la prima volta, come artista importante, nel 1648 dal biografo d’arte Carlo Ridolfi nel suo “Meraviglie dell’arte”. Ha subito l’influenza di Fede Galizia, altra importante pittrice del tempo, famosa per le nature morte (v.n.6) ed ha frequentato gli stessi ambienti di Arcangela Paladini (v.n.49): esisteva tra le artiste un reciproco interesse e una certa curiosità sul rispettivo operato. Opere della Garzoni si trovano a Roma, a Firenze, a Torino e in collezioni sparse in tutta Europa e nel mondo (v. Biblioteca Nacional di Madrid o il Cleveland Museum of Art).

7b50eab4922b49729968bbe87b05734f  200px-Christine_de_France

Arte al femminile (49)

Rimessi al potere nel 1530, con il sostegno del Papa e dell’Imperatore, i Medici diventano duchi ereditari di Firenze, conquistano la Repubblica di Siena nel 1555 e nel 1569 assumono il titolo di Granduchi di Toscana. I Medici continuano la tradizione di mecenatismo che caratterizza la loro casata. Scienziati e artisti trovano in Toscana un ambiente aperto e vivace. Rispetto al trionfalismo barocco e alle sue componenti propagandistico-religiose, Firenze porta avanti una linea più intellettuale e sofisticata, mantenendosi aperta alla cultura europea.

32  arcangela-paladini_i-G-45-4517-6O4BG00Z Artemisia Gentileschi - Santa Cecilia  Patrona dei musicisti

SantaFelicita-_A._Bugiardini-Monumento_funebre_ad_Arcangela_Palladini.

Arcangela Paladini nasce a Pistoia ( o a Pisa?) nel 1599 da Persia Cilli e Filippo de Lorenzo, pittore e libraio abbastanza noto, spirito libero, poco presente con i figli. Dai registri battesimali del tempo si sa che Arcangela ha due sorelle, Barbera e Aurora e due fratellastri, Lorenzo e Isidoro, frutto di un precedente matrimonio del padre con Lucrezia Sereni. La famiglia si sposta nel 1603 a Pisa, dove nasce un fratellino, Luca. Nel 1608 muore il padre. Arcangela si diletta sin da piccola di pittura, rivelando un precoce talento, mostra inoltre notevoli doti per la musica e il ricamo. Nel 1609, morta anche la madre, i granduchi di Toscana la prendono sotto la loro ala protettrice e la portano a Firenze, dove il pittore di corte, Jacopo Ligozzi, ha il compito di farla studiare e seguirla nel percorso di apprendimento artistico. In particolare è protetta inizialmente dalla granduchessa Cristina di Lorena, vedova di Ferdinando I de’ Medici, rammentata con l’appellativo di “Madama Serenissima” , che la sistema nel monastero di Sant’Agata. In seguito è la duchessa Maria Maddalena d’Austria, moglie di Cosimo II, che se ne prende cura, colpita dalle innumerevoli doti della ragazza. La permanenza di Arcangela nel Monastero è documentata dal 1610 al 1616. In convento Arcangela completa la sua formazione in un ambiente ricco di stimoli culturali: in questi anni vivono tra le mura del monastero la badessa Costanza sorella dell’accademico Ottaviano de’ Medici, suor Prudenza figlia del pittore Jan van der Straet, la pittrice suor Ortensia Fedeli e ben tre nipoti di Michelangelo Buonarroti il giovane. Il monastero è dotato di un palcoscenico, sul quale le monache sono solite allestire rappresentazioni sacre. Le doti artistiche e canore di Arcangela sono coltivate tra le mura di S. Agata.

Arcangela lascia il monastero nel 1616, a 17 anni, per sposare Jan Broomans, un ricamatore di Anversa al servizio della corte. Dall’unione nel 1618 nasce Maria Maddalena. Dopo le nozze Arcangela limita l’attività pittorica, mentre la troviamo impegnata come musicista, soprattutto come cantante molto apprezzata. In più occasioni canta per la corte medicea e si dice abbia voce angelica. La troviamo impegnata come ricamatrice, partecipe alle attività del marito, citato come autore di costosi ed elaborati ricami in oro e argento su abiti e tappezzerie. Viene detta “pittrice con l’ago”, perché complesse ed elaborate sono le scene che illustra con il paziente e preciso ricamo. Arcangela muore nel 1622 a soli 23 anni: l’arciduchessa Maria Magdalena commissiona il suo monumento funebre (sulla parete sinistra del portico d’ingresso della chiesa fiorentina di Santa Felicita) e concede una dote di 1000 scudi alla figlia con l’obbligo, se avesse voluto monacarsi, di prendere il nome di Arcangela, per conservare il nome della madre. La piccola viene affidata nel 1623 alle monache di Sant’Agata, in occasione del secondo matrimonio del padre. Fattasi adulta prende i voti nel monastero di San Girolamo.

Arcangela è contemporanea di Artemisia Gentileschi e pare che sia stata sua ispiratrice per l’immagine di Santa Cecilia, patrona della musica, dipinta da quest’ultima.

Di Arcangela Paladini si conserva un pregevole autoritratto, conservato agli Uffizi di Firenze.

Momenti di tempesta…

inversione_di_rotta(Le poesie di questa autrice, che ho la fortuna di conoscere, esprimono l’esigenza di fissare riflessioni e sensazioni di un’esperienza di vita intensa, spesso faticosa e dolorosa, mai banale. In questo momento provo particolare comprensione per il protagonista di questa poesia…)

La nave

Dove andrà questa nave?

Ha attraversato le bufere del sentimento,

le nere notti dell’angoscia,

le paludi dove il coraggio sprofonda.

La chiglia è piena di ricordi,

molluschi che non si vogliono staccare;

le vele, brandelli di lotta con la vita.

A prua siede il capitano,

stanco di non vedere la stella polare.

Basterebbe un vento,

anche di tramontana,

ma un’immobile nebbia

pesa sul porto addormentato.

Basterebbe una scintilla di fuoco

per la sua pipa logora e antica

che fuma ricordi d’oltremare.

Patrizia Invernizzi Di Giorgio è nata a Venezia nel 1949, ha conseguito la laurea in Filosofia presso l’Università La Sapienza di Roma nel 1973.
Vive a Padova dove ha esercitato per molti anni la professione di insegnante di Lettere, promuovendo nella scuola la cultura della poesia.
Sempre nell’ambito scolastico ha tenuto corsi di formazione per i docenti in “Didattica della poesia”. Si è proposta con le sue composizioni poetiche a partire dal 1990, ottenendo molteplici riconoscimenti.
Dal 1994 al 2007 le sue poesie sono state inserite nell’Antologia dei poeti padovani del Gruppo letterario “Formica nera” e dal 2008 nei “Quaderni padovani di poesia e tecnica”. Dal 2009 fa parte dell’Associazione “Caffè letterario del Pedrocchi”, dove ricopre la carica di vicepresidente.
Ha già pubblicato due sillogi di poesie: “Inversione di rotta” nel 1995 e “Pavimento di stelle” nel 2002. Nel 2010 si è classificata al primo posto per il premio letterario Marguerite Yourcenar con la poesia “Bianca danza”. Nel 2011 ha pubblicato “Giorni incerti”.

Ripensando al primo amore…

-1Sognando il primo amore è una raccolta di quattro racconti: “Tornando a casa”, “Le orecchie di Aman”, “La casa di Letizia” e “Il profumo selvatico del mirto”. Il filo conduttore è l’esperienza del primo amore, ripensato, rivissuto e rimpianto da donne che hanno fatto scelte di vita indipendenti o costrette da altri. Per alcune il ricordo è la spinta per ritornare nei luoghi della giovinezza e cercare di conciliarsi con il passato, per altre un rimpianto senza soluzione, pur in un raggiunto equilibrio. La narrazione procede per flash back, con una scrittura fluida, garbata e poetica. L’ultimo racconto si differenzia dagli altri per l’ambientazione: siamo in Sardegna, dove ritroviamo la bellezza selvaggia del paesaggio, i profumi, i colori e le tradizioni locali, cui fa contrasto la dura legge dei condizionamenti sociali di un tempo. Sono donne le voci narranti, con la sensibilità del loro sentire, l’attenzione alle relazioni, l’affettività loro propria, con la difficoltà ad affermarsi in un ambiente e in un tempo che lasciava poco spazio alla realizzazione di sé.

Arte al femminile (48)

A Venezia si può fare un percorso nei luoghi in cui sono vissute e in cui sono conservate le opere di tre grandi donne veneziane: Rosalba Carriera, Giulia Lama e Marietta Robusti. Di Rosalba Carriera e Marietta Robusti ho già parlato all’inizio di questo mio percorso di ricerca (v.n.1 e n.7). Rosalba Carriera è riuscita a portare la tecnica del pastello ai suoi massimi risultati: è vissuta nel sestiere di Dorsoduro e sue opere si possono ammirare all’Accademia e a Ca’ Rezzonico. Nella splendida zona della Madonna dell’Orto nacque Marietta Robusti, la Tintoretta. A Santa Maria Formosa troviamo invece Giulia Lama.

41889-800x560-500x350Giulia Lama nasce a Venezia nel 1681, primogenita di Agostino e di Valentina dell’Avese, nella parrocchia di S.Maria Formosa, dove è tenuta a battesimo dal pittore Niccolò Cassana. Ha quattro fratelli: Cecilia, Niccolò, Pietro e Lucia. Nella contrada natale, in calle Lunga, rimane sino alla morte. Non risulta che si sia sposata e abbia avuto dei figli. Il padre è pittore “d’historia, battaglie e paesi”. Pare che il suo approccio alla pittura sia tardivo, avendo lei in gioventù studiato matematica. Ha comunque fatto tirocinio presso la bottega paterna, come prassi del tempo e ha avuto insegnamenti anche dal padrino, il pittore Cassana. Scrive sonetti e canzoni, alcuni raccolti in “Componimenti poetici delle più illustri ricamatrici di ogni secolo” (di Luisa Bergalli-1726). Ottiene rinomanza come pittrice di storie sacre, benvoluta e ricercata dalla committenza ecclesiastica. Sperimenta anche la tecnica della miniatura. Non appare però iscritta alla fraglia veneziana dei pittori e pare che si sia mantenuta ricamando.

Muore a Venezia nel 1747 per “febre acuta con affetto cutaneo, che degenerò in convulsivo”, lasciando tutte le sue opere alla sorella Cecilia.

painting1 lamaGiulia Lama

Giulia_Lama_-_Judith_and_Holofernes_-_WGA12405lama_giulia-nettuno~OM7a8300~10250_20090506_1440_53nudo-maschile

Poco apprezzata nel Settecento, viene riscoperta nel ‘900.

La sua pittura è giudicata essenziale, quasi ruvida, con un attento uso del chiaroscuro tanto che viene detta “la pittrice che spaventava anche i santi con i suoi chiaroscuri…”.

Nel suo autoritratto del 1725 ha voluto evidenziare il carattere schivo, ma indomito. Poetessa dai tratti petrarcheschi, erudita negli studi filosofici e matematici, pittrice raffinata, ha una personalità poliedrica e anticonformista, tanto da essere la prima donna che studia e disegna il nudo, ispirandosi a modelli reali. Giambattista Piazzetta, pittore rococò, suo amico, le fa un ritratto in cui la rappresenta con gli strumenti del mestiere.

Arte al femminile (47)

Dal 1405 sino al 1797 Padova si trova sotto il controllo della Repubblica di Venezia e, pur perdendo importanza politica, gode della pace e della prosperità assicurate dalla signoria veneziana. Viene garantita grande libertà alla sua Università, che richiama studenti ed insegnanti da tutta Europa, soprattutto dalla Germania, dalla Francia, dall’Inghilterra e dalla Polonia. Venezia, vigorosa e splendente nel Cinquecento, vive nel Seicento il tramonto dei sogni di conquista, dopo alcune guerre sfortunate e inizia un lento declino, che coinvolge l’economia e la finanza, le strutture di governo e l’aristocrazia che queste regge. Dal punto di vista culturale rimane vivace ed è uno dei centri europei che più contribuisce, con Galileo Galilei, con Paolo Sarpi, con i loro discepoli e ammiratori, alla rivoluzione scientifica del tempo. Dal punto di vista religioso è intensamente pervasa da fermenti di rinnovamento e legata a una visione laica della società. L’arte rispecchia la tensione verso il nuovo e l’emergere di una ricca borghesia. Il Barocco veneziano è peculiare, arricchito da ornamenti esuberanti e rigogliosi, ama rappresentarsi e celebrarsi fastosamente.

tumblr_naoy1fmL1o1rhlcb9o2_400 Chiara-Varotari-Portrait-of-a-Young-Girl-2- Chiara_Varotari,_Portrait_of_a_Lady_(Pantasilea_Dotto_Capodilista),_ca._1630._Oil_on_canvas._200_x_117.3_cm_Museo_d'Arte_Medievale_e_Moderna,_Padua

Chiara Varotari nasce a Padova nel 1584, figlia di Dario Varotari il Vecchio, pittore ed architetto e di Samaritana Ponchino (figlia del pittore G.B. Ponchino). Secondo il Ridolfi (autore di Le Meraviglie dell’arte-1648) i Varotari sono originari della Germania, trasferitisi poi a Verona, dove nel 1539 sarebbe nato Dario, che ritroviamo poi a Padova nel periodo della maturità. Chiara è sorella maggiore di Alessandro, pittore noto come il Padovanino (1588-1649), considerato un valente seguace di Tiziano. Apprende l’arte dai familiari e lavora come assistente di bottega. Nel 1598 muore il padre. Il fratello viene educato da Damiano Mazza, accreditato interprete del tizianismo a Padova e in giovane età sostituisce il padre in “bottega”. Nel 1614 Chiara si trasferisce a Venezia con il fratello, spostandosi ogni tanto per qualche committenza. Vive a lungo a Venezia, dove trova un ambiente culturale vivace e aperto, tanto che nel 1625 vi fonda una scuola d’arte. (A Venezia era vissuta dal 1560 al 1590 Marietta Robusti, la Tintoretta, costretta a lavorare nella bottega del padre vestita da garzone, per aggirare i divieti imposti alle donne in campo artistico: il clima sociale del ‘600 si è un po’ evoluto…). Chiara sente vivamente le problematiche legate alle differenze di genere, tanto che scrive un trattato dal titolo “Apologia del sesso femminile”, in cui difende i diritti delle donne.

Si specializza nei ritratti, che si caratterizzano per la cura dei dettagli e una superficiale attenzione agli aspetti psicologici dei soggetti, secondo lo stile dell’epoca. Il suo stile è preciso, pignolo. Rappresenta l’immagine di una borghesia ricca, ansiosa di celebrarsi nei propri fasti e nel raggiunto prestigio sociale e di una nobiltà che difende i propri privilegi con alterigia.

La data esatta della morte è sconosciuta, ma in genere collocata nel 1664.

Vivere al “confine”

2855381-9788817045377Il racconto della Gruber prende spunto dal ritrovamento del diario della bisnonna Rosa, donna di carattere forte e deciso, “dal viso aperto e generoso, illuminato dagli occhi azzurri”. La vicenda ha come centro la casa di famiglia a Pinzon, “minuscolo villaggio del Sudtirolo” nella Bassa Atesina, sulle alture che dominano l’Adige: l’ambiente è quello di una famiglia di proprietari terrieri, religiosi, fedeli alla famiglia e alla patria, identificata più con l’Austria che con l’Italia. Alle vicende legate strettamente alla famiglia di Rosa si intrecciano drammatici eventi storici: la caduta dell’Impero Asburgico, la Prima Guerra Mondiale, il passaggio del Sudtirolo al Regno d’Italia, l’avvento del fascismo con il conseguente tentativo di eliminare la lingua e la cultura tedesche da questo territorio, la speranza di ritornare sotto l’Austria durante il nazismo, lo scellerato patto tra Hitler e Mussolini. Vi è un passaggio continuo tra passato e presente, con considerazioni personali dell’autrice e descrizioni del suo percorso di ricerca.

L’intenzione della storia è espressa chiaramente: “questo non è un libro di storia. È un libro di memoria e di recupero di un’eredità familiare e culturale che mi appartiene”.

Interessante l’aspetto riguardante la questione sudtirolese-altoatesina, vista con gli occhi di chi ha vissuto questo dramma identitario.

Al termine della lettura ho come l’impressione che la preoccupazione giornalistica e il coinvolgimento nostalgico abbiano un po’ condizionato l’aspetto romanzesco, che risulta frammentario. Molti i “sentieri” narrativi che s’ intrecciano, facendo perdere un po’ di pathos alla storia. Il personaggio più vivo e interessante risulta non tanto Rosa, ma Hella, una dei figli, che lotta per i propri ideali finendo al confino e scegliendo l’adesione alla Germania nazista. Un libro che fa pensare, che ti pone di fronte al fatto che ogni singola vita sia inserita in contesti di cui si fatica spesso a capire il senso.

Il libro è scritto bene, con stile asciutto e immediato.

Lilli Gruber è autrice di diversi best sellers tra cui ricordiamo Chador, America Anno zero, Figlie dell’Islam, ma è nota al grande pubblico soprattutto come giornalista. Dal 2008 conduce su La7 il programma di approfondimento Otto e mezzo e, oltre ad essere stata il primo volto femminile del telegiornale Rai delle ore 20, ha seguito da inviata Rai i principali eventi internazionali, dalla caduta del Muro di Berlino, ai conflitti in Iraq. Ha viaggiato praticamente in tutto il mondo ma non hai mai dimenticato le sue radici, ben salde in Alto Adige, regione splendida e travagliata che essendo terra di confine è stata teatro di tensioni e contraddizioni.