Arte al femminile (247)

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Il Museo Francesco Borgogna di Vercelli rappresenta per importanza, qualità e quantità di opere la più importante pinacoteca del Piemonte dopo la Galleria Sabauda di Torino. La sua sede è in un bel palazzo neoclassico e le opere sono esposte in ordine storico-cronologico.

Qui si trovano alcuni lavori dell’artista vercellese Irma Rossaro Fontana, che è stata anche stimata insegnante dell’Istituto d’Arte cittadino. Di lei, come succede a quasi tutte le artiste donne, rimangono poche note biografiche.

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Irma Rossaro Fontana nasce a Vercelli nel 1878, figlia del noto pittore e restauratore vercellese Ferdinando Rossaro. Anche il fratello Edgardo diventa artista apprezzato. Irma, diplomatasi nel 1896, è nota per l’attività d’insegnamento alla scuola femminile dell’Istituto di Belle Arti cittadino. Si dedica prevalentemente alla miniatura, ma negli anni giovanili realizza anche ritratti e paesaggi con la pittura da cavalletto. Le sue nature morte, datate 1912, evidenziano influenze transalpine. Nel 1924 partecipa con successo alla Mostra del ritratto femminile contemporaneo.

Muore nel 1943.

Irma ritrae soggetti familiari con stile raffinato. Delicato l’uso del colore e luminosi i suoi quadri.

Suoi lavori sono stati acquisiti dal Museo Borgogna di Vercelli: il primo nucleo di opere è giunto nel 1943 come donazione del fratello Edgardo. Un secondo gruppo di 8 dipinti proviene da un legato del 1980. Nel 2007 si sono aggiunti un autoritratto e il ritratto del padre Ferdinando, in deposito dalla Casa di Riposo di Vercelli. La maggior parte dei quadri fa parte di collezioni private.

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Liberarsi del passato….

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Una cosa che volevo dirti da un po’ è una raccolta di tredici racconti che hanno in comune il fatto che le protagoniste ripensano al proprio passato, nel tentativo di comprenderlo, risolvere relazioni spesso basate su malintesi, risentimenti, rancori, incomprensioni. Sono figlie, madri, sorelle, mogli, amanti, zie e nonne, che partendo da uno spunto contemporaneo si ricollegano a momenti del proprio vissuto, a verità a volte scomode, in un flusso di pensieri ed emozioni che le aiutano a prendere maggiore coscienza di sé, anche se poi tutto rimane come sospeso e non ci sono conclusioni definitive. Una lettura che apre orizzonti e in cui ci si può ritrovare. In questi racconti ambientati nelle sconfinate distese canadesi si trovano fatti quotidiani, apparentemente normali, con descrizioni precise e minuziose di particolari: ma i rapporti umani, familiari, sociali acquistano una dimensione universale. La Munro è bravissima nel rivelare il mondo interiore dei suoi personaggi, con uno stile sobrio e incisivo.

Alice Munro è la più importante autrice canadese contemporanea, “maestra del racconto breve”. Nel 2013 ha vinto il PREMIO NOBEL per la Letteratura. È cresciuta a Wingham, Ontario. I suoi racconti, ambientati perlopiù nelle piccole cittadine dell’Ontario sudoccidentale, mescolano osservazione precisa della realtà sociale e introspezione psicologica, e si caratterizzano per la raffinatezza formale. Temi prediletti sono i problemi delle ragazze durante l’adolescenza, il loro rapporto con la famiglia e con l’ambiente circostante, il matrimonio, il divorzio, la vecchiaia, la solitudine. Ha pubblicato numerose raccolte di racconti e un romanzo. Fra i molti premi letterari ricevuti, per tre volte il Governor General’s Literary Award in Canada, il National Book Critics Circle Award negli Stati Uniti e il Man Booker International Prize. I suoi racconti appaiono regolarmente sulle più prestigiose riviste letterarie. Dell’autrice Einaudi ha pubblicato Il sogno di mia madre (2001), Nemico, amico, amante… (2003), In fuga (2004), Il percorso dell’amore (2005), La vista da Castle Rock (2007 e 2009), Segreti svelati (2008), Le lune di Giove (2008), Troppa felicità (2011), La danza delle ombre felici (2013), Una cosa che volevo dirti da un po’ (2016).

Arte al femminile (246)

Le Accademie italiane danno accesso alle donne prima degli altri paesi europei. Nell’Ottocento si registrano artiste all’Accademia di San Luca di Roma, all’Accademia di Genova, all’Accademia di Venezia e, sin dagli inizi del secolo, all’Accademia di Brera. Nel 1873 Vittorio Emanuele II approva una nuova stesura dello statuto dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, consentendo alle donne di essere ammesse tra gli Accademici di merito senza limiti di numero. A Napoli dalla fine dell’Ottocento, a partire dai 12 anni, le donne possono frequentare l’Istituto di Belle Arti. La frequenza ai corsi di questo Istituto permette di conseguire un diploma che abilita alla professione d’insegnante di disegno presso le scuole primarie e secondarie. I Reali Educandati femminili presenti nel territorio napoletano hanno tra le materie di studio: “disegno lineare e ornato”.

Rosalia Rocco Acanfora è stata una stimata artista e insegnante prima a Napoli, poi nella Roma ottocentesca.

 

Rosalia Rocco Acanfora nasce a Mazara del Vallo nel 1869 da famiglia nobile. A soli 11 anni comincia a studiare all’Istituto di Belle Arti di Napoli, incoraggiata dai maestri Domenico Morelli, Filippo Palizzi e Gioacchino Toma, considerati tra i maggiori pittori del tempo. Dopo essersi diplomata insegna alla Scuola Normale di Napoli, per poi essere trasferita alla Scuola Normale “Margherita di Savoia” di Roma. Accanto all’attività di insegnamento unisce la partecipazione a mostre nazionali e internazionali, come la Promotrice Napoletana, che segna il suo esordio nel 1877. La troviamo all’Esposizione italiana di Londra del 1888, all’ Esposizione Universale di Anversa del 1894, a quella di Monaco di Baviera del 1901. Diventa segretaria generale dell’Associazione Italiana insegnanti di Disegno e dirige la rivista ufficiale mensile dell’Associazione “L’arte e la scuola”. In campo didattico è all’avanguardia e dice:

“Mentre ancora in molte scuole la lezione di disegno consiste nello svolgimento d’un programma disorganico, che obbliga gli alunni a spendere parecchi mesi in esercizi automatici e quindi ad eseguire costruzioni geometriche di cui non capiscono la ragione ed a scarabocchiare complicati contorni e goffi chiaroscuri imitati da cartelloni e da litografie spesso insignificanti, sotto la forzatamente oziosa sorveglianza d’un maestro …Nelle scuole in cui sono penetrati i nuovi criteri didattici l’insegnamento viene iniziato subito con lo studio diretto del vero, e non soltanto a mano armata di matita e di gomma, ma col richiamare piacevolmente l’osservazione sugli infiniti aspetti di questa inesauribile miniera d’arte e col fondere la comprensione de’ suoi valori plastici con la comprensione della sua bellezza reale e ideale. I tentativi grafici vengono richiesti poi, ma per una via affatto opposta a quella seguita sino a ieri comunemente.”

Muore a Roma nel 1926 a 57 anni.

Di lei si conserva un carteggio, che testimonia la dedizione verso la propria professione di insegnante. I quadri sono principalmente in collezioni private.

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Arte al femminile (245)

Pienza è una bella cittadina in provincia di Siena, in Val d’Orcia, e qui nasce nel 1870 Romea Ravazzi, zia Remy per tutti quelli che la conoscono.

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Romea (nome ispirato a un’importante via romana!) studia alla scuola femminile di disegno di Amos Cassioli (ritrattista e pittore di soggetti storici) a Firenze tra il 1888 e il 1891. L’esordio artistico sembra risalire all’edizione 1892-93 dell’Esposizione della Società di Belle Arti di Firenze. Nel 1900 presenta i suoi dipinti alla quarta Esposizione triennale della Regia Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e all’Esposizione concorso “Vittorio Alinari” organizzata dalla Società Italiana per l’Arte Pubblica. Dopo altre due edizioni delle Esposizioni fiorentine, Romea si dedica all’attività di copista a Firenze, dove si è trasferita giovanissima con il padre. Nel 1923 partecipa alla prima esposizione del Collegio delle Arti di Orvieto, città natale della madre. Decide quindi di stabilirsi a Pienza, prima nella casa natale, poi nel podere Porciano, in casa della famiglia del colono Adamo Grappi, infine al podere Beccacervello, presso le famiglie Carratelli e Pasquetti. Qui ha la sua stanza: un teschio sul comò, il pianoforte e un violino, con il suono del quale è solita salutare i morti del paese. Semplice e cordiale, la si vede vagabondare per le campagne con la sua tavolozza, una tela e i pennelli. La chiamano tutti zia Remy e guardano con simpatia alle sue stravaganze. A Pienza riesce a esprimere al meglio la sua arte, manifestando il suo attaccamento alle persone, al paesaggio e agli animali della sua terra. Istituisce una piccola Biblioteca, alimentata da libri di sua proprietà, riservata ai ragazzi di Pienza e intitolata a Celido Cappelli, un bambino cui si è particolarmente affezionata, gravemente ammalato di tubercolosi. Oltre che pittrice, Romea è un’appassionata musicista, suonando il pianoforte e il violino con risultati più che apprezzabili: personalità eclettica e fuori dagli schemi per il suo tempo.

I suoi paesaggi sono realizzati con un abile uso del colore a macchia e hanno in sé molta poesia.

Muore a Pienza nel 1942.

Le sue opere sono custodite per lo più in collezioni private. Molti quadri ha donato generosamente agli abitanti di Pienza oppure ha scambiato con generi di necessità.

La cittadina di Pienza le ha dedicato una mostra nel 2009.

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Arte al femminile (244)

Ci sono artiste di cui rimangono sintetiche note biografiche, perchè dimenticate, dopo essere state conosciute e apprezzate al loro tempo.

Le due pittrici che nomino ne sono un esempio.

Sandra Pugliese  nasce ad Alessandria nel 1877. Non è nota la data di morte. Si specializza nelle nature morte.

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Elvira Raimondi nasce a Napoli nel 1866. Studia presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli. Le sue opere sono scene di genere, nature morte e paesaggi. Muore nel 1920.

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Ricerca di una svolta….

Ho letto due libri accomunati dallo stesso tema: donne che giunte a una certa età fanno il bilancio della propria vita e cercano una svolta.

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Il primo romanzo, “L’età pericolosa” di Karin Michaëlis, fece scalpore quando venne pubblicato nel 1910.

La protagonista, Elsie Lindtner, una quarantenne bella e apparentemente realizzata, decide di seguire i propri ideali di emancipazione, divorzia dal marito e va a vivere in una villa su un’isola deserta. L’isolamento le sembra l’unico modo per sfuggire alle ipocrisie di una società fatta di apparenze. Quando però il silenzio e la solitudine iniziano a pesarle e cerca di riprendere contatto con il suo mondo, si accorge di essere stata dimenticata e ormai sorpassata nel cuore di tutti.

Un racconto fatto in prima persona, amaro e sincero, sullo sfondo di un paesaggio marino mutabile e selvaggio. In esso ci sono vari elementi autobiografici.

Karin Michaëlis nasce a Randens in Danimarca nel 1872. Diventa famosa in Italia per una serie di libri per ragazze, Bibi, pubblicata tra il 1940-’41. Sue opere importanti sono: Barnet (1902), la Scuola della gioia (1914), L’albero del bene e del male (1924). Dopo due divorzi va a vivere in un’isola, trasformando la sua casa in un rifugio per i perseguitati dal nazismo. Dal 1939 alla fine della guerra rimane bloccata negli Stati Uniti. Quando torna in Danimarca è stata ormai dimenticata. Muore sola e in miseria nel 1950.

I suoi libri ruotano intorno a figure femminili e a vicende estreme, di sconfitta o ribellione, legate alla condizione femminile.

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Le nozze di Anna è un romanzo di Nathacha Appanah del 2007, in cui la vicenda si svolge tutta in un giorno. La voce narrante è quella di Sonia, madre di Anna, che in occasione del matrimonio della figlia fa il bilancio della propria vita, nella consapevolezza che per entrambe tutto cambierà. I ricordi e i rimpianti riaffiorano.

Sonia è una scrittrice, nata nelle isole Mauritius, che ha lasciato adolescente per andare a Londra, alla ricerca di nuove prospettive. Qui conosce Matthew e nasce un grande amore.

mi veniva vicino, poggiava la testa sulle mie ginocchia e ci dicevamo le parole più importanti della terra. Ci amavamo nel modo più vero e più spoglio possibile.”(pag.38)

Matthew vince un concorso per giovani giornalisti e parte per un reportage in Africa: Sonia non lo trattiene e non gli dirà mai di avere avuto da lui una figlia. Libera e anticonformista, Sonia deve confrontarsi con una figlia completamente diversa da lei, timorosa che la madre le crei imbarazzo e desiderosa di inserirsi nell’alta borghesia parigina. In un alternarsi di piccoli episodi, il racconto porta le due donne a trovare nuova forza nel rapporto. Anna conoscerà poi la vera storia di suo padre…

Molti gli spunti di riflessione e molto simpatica e sincera la figura di Sonia. Anche in questa storia ci sono parecchi spunti autobiografici.

Nathacha Appanah nasce nel 1973 nelle isole Mauritius da una famiglia di origini indiane. Dal 1999 vive in Francia. Collabora con diversi periodici e radio pubbliche. Ha scritto quattro romanzi di notevole successo: è considerata una delle voci più apprezzate della letteratura francofona.

Arte al femminile (243)

La carica innovativa dell’impressionismo trova proseliti in tutta Europa.

Sarah Purser nasce a Kingstown, nella contea di Dublino, nel 1848, prima degli 11 figli di Benjamin Purser e Anne Mallet. I Pursers sono produttori di birra, venuti in Irlanda nel XVIII secolo, emigrati dall’Inghilterra. Il padre di Sarah alterna l’attività imprenditoriale con l’insegnamento presso la Scuola Reale di Portora (uno dei suoi allievi è Oscar Wilde). Sarah riceve una buona istruzione, secondo le modalità del tempo e impara molto bene il francese. Quando il padre emigra in America, in seguito a difficoltà finanziarie, si stabilisce con la madre e i fratelli a Dublino. Il suo naturale talento le permette di iscriversi alla Dublin School of Art. Nel 1872 espone parecchi lavori alla Royal Hibernian Academy. Dopo questo evento, grazie all’aiuto dei fratelli, va a Parigi e frequenta l’Accademia Julian. Qui stringe amicizia con l’artista svizzera Louise Breslau, con l’impressionista Berthe Morisot e con la pittrice russa Maria Bashkirtseff. Si specializza nel ritratto. Nel 1880 torna a Dublino e inizia in modo professionale l’attività di ritrattista. Alcuni dicono che i suoi ritratti più riusciti siano quelli fatti a persone intelligenti, soprattutto uomini intelligenti, mentre i soggetti femminili sono più convenzionali. Grazie al suo talento e alla stima ottenuta ottiene parecchie commissioni, tanto da affermare: “Ho attraversato l’aristocrazia britannica come il morbillo”. S’interessa all’impressionismo e organizza nel 1899 un’importante mostra a Dublino di opere di Corot, Courbet, Degas, Manet. In seguito si cimenta nel vetro colorato, tanto da fondare un’officina nel 1903, che diventa uno dei migliori laboratori di vetrate del mondo. Le vengono ordinate vetrate anche da New York. Molto attiva nel mondo dell’arte di Dublino, s’impegna nella fondazione della Galleria Municipale di Hugh Lane. Nel 1932 diventa il primo membro femminile della Royal Hibernian Academy. Fino alla morte, nel 1943, vive in una bellissima dimora, che lascia per frequenti viaggi in Europa.

Sue opere si trovano nella National Gallery di Dublino.

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Arte al femminile (242)

La caricatura è anch’essa una forma d’arte autonoma: nel secolo XIX ha ampio sviluppo in Europa, soprattutto in tema satirico-politico, trovando nella stampa litografica un potente mezzo di diffusione.

Nella bella città di Teramo troviamo alla fine dell’Ottocento una donna che si dedica con successo a questo genere pittorico.

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Maria Palma Mezzopreti nasce a Roseto degli Abruzzi nel 1892 da Giovanni Palma e Concetta Ponno. Ha un fratello, Emanuele. Manifesta sin dall’adolescenza una spiccata attitudine per la caricatura, dimostrando una notevole sensibilità soprattutto verso i soggetti femminili. È una vera e propria pioniera della caricatura al femminile, molto apprezzata dagli artisti del suo tempo. Donna ironica e autoironica, riflette sulla condizione femminile, spronando le donne a essere protagoniste della propria vita. Assai giovane partecipa a mostre nazionali come La donna nella caricatura, allestita in occasione della II Esposizione internazionale femminile di belle arti di Torino (1913), dove viene premiata con la medaglia d’argento e la I Esposizione internazionale di caricatura e umorismo a Torino, Milano e Genova (1914). Nel 1922, a 30 anni, sposa Alberto Mezzopreti, da cui ha un figlio, Orazio. Maria muore prematuramente di parto a Teramo nel 1926, a soli 34 anni.

I suoi sono disegni leggeri, a matita, china o acquarello, ricchi di particolari: caricature, figurini di moda e schizzi, che compongono una serie di raffigurazioni spiritose, grottesche, ma bonarie della borghesia di cui anche Maria fa parte. Fa disegni divertenti di persone del suo ambiente, la buona società teramana e rosetana.

“Un mondo coniugato al femminile dove c’è posto per la bellezza, l’eleganza, il “portato” sociale, ma affiora l’anima, il carattere, il volto interiore della donna, costretta a nascondere dietro eleganti abitini, sontuose cappe, stravaganti cappelli i “segni” di un’anima e di una vivace intelligenza che poteva manifestarsi solo all’interno delle pareti domestiche o all’ombra di un uomo.”

Nel 1931 il Circolo amatori e cultori di belle arti di Teramo organizza una mostra postuma della caricaturista scomparsa esponendo solo una modesta parte della copiosa produzione di Maria, che supera il numero di cinquecento esemplari. La Pinacoteca Civica di Teramo possiede una serie di trenta figurini e caricature donate dalla famiglia Palma. Il Comune le ha anche dedicato una via.

Una mostra le è stata dedicata qualche anno fa presso la Pinacoteca Civica di Teramo.

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Le parole come salvezza…

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Mio padre fa la donna delle pulizie è un racconto in cui la voce narrante è quella del protagonista, Polo, un adolescente di una famiglia particolare. Il padre si guadagna da vivere facendo pulizie (da qui il titolo), la madre è disabile e assente, tutta presa dalle telenovelas televisive e la sorella cerca di vincere un concorso di bellezza, che le faccia cambiare vita. Polo aiuta il padre dopo la scuola. Ha difficoltà a farsi accettare dai compagni, è segretamente innamorato di Priscilla, l’amica del quartiere e ha i turbamenti e le tensioni di ogni adolescente. La sua famiglia è povera, vive in periferia, in un palazzone senza ascensore, con telefono che può solo ricevere chiamate, poco spazio e senza comodità. Polo cerca la propria via d’uscita e la trova nelle “parole”: quando aiuta il padre a pulire una biblioteca, legge di tutto e cerca di imparare il maggior numero di termini. Le parole turbinano nella sua mente, lo accompagnano e lo aiutano nei momenti difficili, sono come un’ancora di salvezza per lui e gli danno una forma di dignità. Nelle pagine dei libri trova rifugio e riscatto. Il padre è semplice, ma gli vuole bene e gli sta accanto con calore umano, anche se Polo spesso si vergogna di lui. Il ragazzo cerca il senso della vita e le parole per spiegarlo. Lo studio alla fine si rivela risolutivo…

Un romanzo brillante, tenero e delicato, in cui il rapporto padre/figlio è presentato con tutti i risvolti che lo caratterizzano.Una storia di emarginazione e riscatto raccontata con leggerezza.

“Mio padre fa la donna delle pulizie. Spesso, dopo la scuola, vado a dargli una mano. Perché così torniamo a casa prima. E anche perché è mio padre. Lucido, pulisco, strofino, aspiro, anche negli angoli. Piccolo e magro come sono, mi infilo dappertutto. Ma imparo, anche. Una parola alla settimana. Mica parole qualunque. Le parole che fanno paura. Quelle arroganti, superiori, sdegnose, trascendenti, quelle che possono farti fare la peggior figuraccia della tua vita se non ne conosci il significato. Quelle che si permettono di avere tre consonanti di fila, come astruso. O addirittura quattro, come instradare. E non è mica un errore di ortografia. […]“

“Scoprivo che un uomo poteva metterci quattrocento pagine per dire a una donna che l’amava. Quattrocento pagine prima del primo bacio, trecento prima di una carezza, duecento per osare guardarla, cento per confessarselo. Nell’epoca in cui s’inviano SMS per farsi una scopata, lo trovavo prodigioso, vertiginoso, folle, smisurato, stravagante, insensato, grandioso… Ecco, imparavo delle parole facendo le pulizie…”

“Perché leggere, dalle mie parti, è roba da froci. Ma non m’importa, nella peggiore delle ipotesi lo diventerò anch’io. Almeno avrei uno status”.

Saphia Azzeddine nasce ad Agadir in Marocco nel 1979. A nove anni va a vivere in Francia, dove continua gli studi, ottiene il diploma di maturità classica e si laurea in sociologia. Prima di dedicarsi alla scrittura lavora come giornalista e sceneggiatrice. Nel 2005 pubblica il primo romanzo, , Confidences à Allah. Nel 2011, esce il film Mon père est femme de ménage, di cui è scrittrice e regista, adattamento del suo secondo romanzo, pubblicato nel 2009.