Altra grande fotografa, che si aggiunge a quante in precedenza ricordate: Margaret Bourke-White!
Al Museo di Roma, in Trastevere, sino al 30 aprile, è stata presentata una retrospettiva che ha documentato, attraverso oltre 100 immagini, la visione e la vita controcorrente di questa figura, tra le più rappresentative del fotogiornalismo.
Margaret nasce nel Bronx (New York) nel 1904. Il padre Joseph White è un inventore e naturalista, per cui la figlia si avvia agli studi di biologia presso la Columbia University. Segue però, mentre è al college, alcuni corsi di fotografia. Cambia diverse università, sino a laurearsi nel 1927. Nel frattempo, nel 1925, si è sposata con Everett Chapman, da cui divorzia due anni dopo.
Nel 1927 inizia a fare della fotografia il proprio interesse principale. Scatta fotografie industriali per lavoro.
A Cleveland, nell’Ohio, ha numerosi clienti, tra cui le acciaierie Otis, che le danno notorietà, perché le sue foto di altiforni e delle architetture industriali hanno grande valore artistico.
“Per scattare sale sui cornicioni dei grattacieli più alti, sorvola città, si spinge nelle zone più pericolose degli stabilimenti. La sua ostinazione e ambizione infatti non la fermano davanti alle alte temperature delle fusioni, alla ricerca di nuove soluzioni tecniche fotografiche, né la allontanano da lunghe ore di lavoro in ambienti malsani. Le sue immagini presto iniziano non solo ad arricchire di documenti fotografici gli archivi industriali e il suo portafogli, ma anche i servizi delle riviste illustrate e le pagine pubblicitarie.”(da enciclopedia delle donne.it)
Nel 1929 conosce il caporedattore del Time, che la coinvolge nella fondazione di una nuova rivista illustrata, Fortune.
Durante la grande depressione, che sconvolge la vita degli americani, Margaret viaggia per fotografare la realtà degli Stati Uniti, soprattutto di quelli del sud. Dalla sua documentazione nasce il libro You have seen their faces.
Oltre a collaborare con Fortune, lavora in un proprio studio, accettando varie commissioni.
Nel 1936 il primo numero della rivista Life ha una sua foto in copertina, quella della diga di Fort Peck, nel Montana, appena terminata.
Inizia una stretta collaborazione con questa rivista, il che la porta a fare reportages sulla seconda guerra mondiale, sull’assedio di Mosca, sulla guerra in Corea, sulle rivolte sudafricane.
Crede nella missione del fotogiornalismo afferma: “sono fermamente convinta che il fascismo non avrebbe preso il potere in Europa se ci fosse una stampa veramente libera che potesse informare la gente invece di ingannarla con false promesse” (osservazione sempre attuale…).
Sposa lo scrittore Erskine Caldwell, con cui si reca in Russia nel 1941, durante l’invasione nazista, unica fotografa straniera a Mosca.
Scatta il primo ritratto ufficiale di Stalin e nel 1943 documenta i bombardamenti dei caccia americani contro l’esercito tedesco.
La troviamo poi in Italia, al seguito dell’esercito americano, nella zona della cosiddetta linea gotica, a Loiano e Livergnano nell’Appennino Emiliano.
Entra nel campo di sterminio di Buchenwald il giorno dopo la liberazione dei prigionieri, scattando senza guardare, di fronte a tanto strazio e fa parte del gruppo che scopre il campo di Erla.
Supera ogni sorta di disavventure e contrattempi con coraggio e determinazione, diventando una specie di leggenda.
Nel 1947 è in Pakistan e in India, dove ci sono forti tensioni. Intervista e fotografa Gandhi poche ore prima che venga ucciso.
Nel 1950 è in Sud Africa, descrivendo l’apartheid e scendendo sottoterra per documentare il lavoro dei minatori.
Nel 1953 le viene diagnosticata la malattia di Parkinson. Nel 1959 si sottopone a un intervento chirurgico al cervello che viene documentato sui giornali.
Non potendo continuare l’attività di fotografa, inizia a scrivere e l’autobiografia Il mio ritratto, pubblicata nel 1963, diventa subito un bestseller.
Muore nel 1971 a 67 anni.