Lezioni di tenebra è un romanzo con una forte componente autobiografica. La protagonista, Helena, è figlia di ebrei polacchi sopravvissuti alla Shoah. Nata e vissuta in Germania, si sente senza radici, estranea al suo ambiente, nonostante i tentativi della famiglia di prendere le distanze dalle proprie radici e adattarsi alla nuova realtà. Helena deve confrontarsi con il passato traumatico della madre, conoscere il senso e l’origine delle “lezioni di tenebra” che le sono state impartite nel corso della sua crescita. Deve trovare un senso al groviglio delle vicende familiari che non ha ancora compreso anche per la lunga reticenza che ha contraddistinto entrambi i genitori. Eppure, nonostante la sua personale ricerca, Helena ha capito che nessuno studio del fenomeno storico della soluzione finale potrà permetterle di mettere a fuoco la vera fisionomia – fisica, morale, psichica – dei genitori, dai quali sa di aver ereditato “la voglia di vivere, quella voglia primitiva che emerge dall’azzeramento […] l’unico antidoto che ho ricevuto”.
La madre è sopravvissuta alla famiglia per essere coraggiosamente fuggita dal ghetto della cittadina polacca di Zawiercie, pochi giorni prima del rastrellamento avvenuto nell’agosto del 1943. È una colpa che non si perdona e che sembra riaffiorare più forte con l’avanzare dell’età: «È quella che con due soldi in tasca è scappata dal ghetto, sapendo che lo stavano per liquidare, sapendo il significato di quelle parole, dicendo a sua madre “Me ne vado, non voglio bruciare nei forni!”».
Nel racconto si alternano spezzoni di testimonianze della madre, scampata al rastrellamento del ghetto, ma catturata nel maggio del ’44 in un appuntamento-tranello organizzato da un conoscente, alle vicende di Helena: il contrasto è segnalato dall’uso del corsivo, quando si parla dei ricordi della madre.
Passati tre decenni, madre e figlia decidono di recarsi in Polonia. L’episodio cruciale di questo viaggio sta nell’urlo disperato che scuote la signora Nina all’interno del campo di Auschwitz: «Piange, cinquant’anni dopo, in Polonia, urla di aver lasciato sola “la mia mamma, la mia mamma”. Strilla come un’aquila nel museo installato ad Auschwitz I […] davanti a una teca che mostra un campione di Zyklon B, urla di nuovo come una bambina “mamma, mamma”.»
Solo in quel luogo Helena capisce l’origine di alcuni comportamenti della madre: «Dice che non bisogna mai smettere di lavorare su se stessi. Parla di procedere nelle sfide, dimostrarsi quanto si vale, lodarsi da soli, così come spiega che ha imparato a mangiare con coscienza, sbattendomi in faccia quelle espressioni intraducibili profondamente assimilate, e io una volta a replicarle «guarda che termini più teutonici di quelli è difficile trovarne», e lei che davvero non capiva.»
Il libro fa comprendere quante conseguenze abbia ancora la tragedia della Shoah, quanto sia stato difficile per i superstiti ricostruire se stessi e la propria vita. Niente viene dimenticato dell’orrore vissuto e anche i discendenti risentono del male subito dai propri familiari. I genitori non riescono a essere sereni e vorrebbero inculcare nei propri figli una forza, che li renda immuni da ogni sopruso. C’è un senso di colpa che non abbandona, per essere sopravvissuti e la sensazione che la vita sia una lotta, in cui bisogna essere forti. Certe privazioni non si possono dimenticare, così come la fame, che rende la madre di Helena intransigente in modo ossessivo con la figlia sulle questioni del cibo. Un libro particolare, testimone di una generazione che risente di una tragedia che li ha risparmiati fisicamente, ma non psicologicamente.
“Paghi per ogni errore, anche il più piccolo, sempre e comunque… Ma che cosa sia un errore non lo sai. A questo non devi mai pensare”.
Helena Janeczek, nata a Monaco di Baviera da una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da oltre trent’anni. Poetessa e scrittrice, ha esordito con la raccolta di poesie in lingua tedesca Ins Freie (Suhrkamp, 1989), mentre ha scritto in italiano il suo primo romanzo, Lezioni di tenebra (Guanda 2011, Premio Bagutta Opera Prima), che racconta del viaggio compiuto ad Auschwitz insieme alla madre, che lì era stata prigioniera con il marito. È inoltre autrice dei romanzi Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), finalista al Premio Comisso e vincitore del Premio Napoli, del Premio Sandro Onofri e del Premio Pisa. Nel 2017 esce per Guanda La ragazza con la Leica, romanzo incentrato sulla fotografa Gerda Taro, che vince la 72° edizione del Premio Strega. È redattrice di «Nuovi Argomenti» e di «Nazione Indiana».