Arte al femminile (18)

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Il primo Novecento vede un rinnovamento radicale della pittura, cui partecipano anche importanti artiste, che spesso rimangono in ombra rispetto ai loro compagni.

Gabriele Munter, per esempio, è più conosciuta come compagna di Kandinskij che come pittrice di valore. Nasce a Berlino nel 1877 in una famiglia della media borghesia che, contrariamente alla morale del tempo, sostiene il suo desiderio di diventare un’artista. Inizia a disegnare sin da bambina e studia poi privatamente, perché alle donne non è permesso iscriversi alle Accademie. A 21 anni perde entrambi i genitori. Non ha un lavoro, ma ha una rendita discreta. Nel 1898 decide di fare un viaggio in America con la sorella: vi rimane per 2 anni, visitando il Texas, l’Arkansas e il Missouri, rendendosi conto di poter vivere liberamente, al di fuori delle convenzioni sociali. Tornata in Germania frequenta la nuova Scuola d’Arte di Monaco, dove studia le tecniche della xilografia, della scultura, della pittura e dell’incisione. Ha come maestro Kandinsky, che comprende le sue capacità artistiche e con il quale inizia una relazione sentimentale.“Quando ho cominciato a dipingere è stato come saltare in acque profonde e non so mai in anticipo se sarò in grado di nuotarvi. Beh, è stato Kandinskij che mi ha insegnato la tecnica del nuoto”. Il rapporto professionale e personale con Kandinskij dura 12 anni: il pittore è già sposato da 15 anni quando conosce la Munter. Viaggiano insieme in Europa (Olanda, Italia, Francia) e nel nord Africa. Incontrano Rousseau e Matisse. La Munter s’innamora del villaggio di Murnau, in Baviera e vi compra casa, trascorrendo qui la maggior parte della sua vita. A Murnau Gabriele scopre l’arte popolare su vetro, assai diffusa nella regione dello Staffelsee, così autentica e per nulla influenzata da mode e interessi commerciali, e, per prima, ne apprende la tecnica di composizione: la piattezza delle figure e , soprattutto, il contorno fine, prevalentemente nero, delle forme. Con Kandinskij crea il gruppo di avanguardia di Monaco (Associazione dei nuovi artisti) e contribuisce alle più significative manifestazioni della nuova arte in Germania. Nel 1911 è tra i fondatori del gruppo espressionista conosciuto come “Il cavaliere azzurro”, il cui scopo è quello di esprimere verità spirituali attraverso l’arte. S’interessa alla connessione tra arte visiva e musica e tende all’astrazione in pittura. Grande il suo interesse per i paesaggi, che rappresenta con semplicità radicale, colori tenui, forme appiattite. Le piace esplorare il mondo dei bambini con stampe colorate di bambini e giocattoli. Nel 1908 il suo lavoro comincia a cambiare, influenzato da Matisse, dal fauvismo,da Gauguin e da Van Gogh. Nel 1911 ha un altro cambiamento. Cresce l’interesse per lo spirito della civiltà moderna, la sua agitazione sociale e politica. Le immagini diventano esperienze visive istantanee, in cui l’uso del colore è più incisivo e spregiudicato. Allo scoppio della prima guerra mondiale Gabriele e Kandinsky si rifugiano in Svizzera da dove il pittore partirà per la Russia. Dopo un temporaneo ricongiungimento dei due, a Stoccolma, ci sarà la rottura definitiva nel marzo del 1916. Soltanto la relazione col suo secondo compagno, il critico d’arte Johannes Eichner, iniziata nel 1928, l’aiuterà ad uscire da un lungo periodo di crisi.Gabriele non è di una bellezza prorompente, di quelle che colpiscono a prima vista, ma affascinante. Kandinsky la definisce la sua “sorgente di vita”, la sua “messaggera divina”. Paesaggi, ritratti, nature morte: quello di Gabriele è un percorso vario ma coerente nella volontà di conservare il carattere distintivo della propria arte, mantenendo il bilanciamento tra “figurativo” e “astratto”, nella scelta di salvaguardare la propria indipendenza rispetto al grande maestro, di dare visibilità al proprio talento. Quando Gabriele è ancora sua allieva nella scuola di Phalanx, Kandinsky scrive :”Sei un allievo senza speranza, non ti si può insegnare nulla. Puoi fare solo ciò che è maturato in te. Tu hai tutto dalla natura. Quello che io posso fare per te, è proteggere il tuo talento e fare in modo che non si falsi”.

Prosegue l’attività nonostante le difficoltà della seconda guerra mondiale. Muore nel 1962, dopo aver ricevuto una serie di riconoscimenti ufficiali.

Ti auguro tempo

In questo inizio d’autunno, con la ripresa frenetica delle attività, mi piace recuperare questa poesia di un’autrice tedesca.

elli_michler    U.S. Prepares To Set Clocks Back As Daylights Saving Time Ends

Ti auguro tempo

Non ti auguro un dono qualsiasi,
ti auguro soltanto quello che i più non hanno.
Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere;
se lo impiegherai bene potrai ricavarne qualcosa.
Ti auguro tempo, per il tuo fare e il tuo pensare,
non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri.
Ti auguro tempo, non per affrettarti a correre,
ma tempo per essere contento.
Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo,
ti auguro tempo perché te ne resti:
tempo per stupirti e tempo per fidarti e non soltanto per guardarlo sull’orologio.
Ti auguro tempo per guardare le stelle
e tempo per crescere, per maturare.
Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare.
Non ha più senso rimandare.
Ti auguro tempo per trovare te stesso,
per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono.
Ti auguro tempo anche per perdonare.
Ti auguro di avere tempo, tempo per la vita.

Elli Michler, poetessa tedesca, nasce nel 1923 a Wurzug. Viene da una famiglia di commercianti. Frequenta una scuola religiosa, ma con l’avvento del Nazismo questa viene chiusa ed è costretta a continuare privatamente gli studi. Poco dopo l’inizio della seconda guerra mondiale è arruolata nella Wurzburg Industry Association. Alla fine della guerra lavora per la ricostruzione dell’Università della sua città e incontra il futuro marito. Dopo la nascita di una figlia si trasferisce prima a Hesse e poi a Bad Homburg. Nel marzo 2010 ottiene la Croce al Merito per il suo lavoro di poetessa. Nella motivazione del premio si legge: “ Il premio è un segno di apprezzamento e incoraggiamento per il sostegno che date a molti lettori attraverso il vostro modo di guardare alla vita…”

Arte al femminile (17)

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Varvara Fedorovna Stepanova nasce nel 1894 a Kovno, in Lituania, da una famiglia contadina. Si distingue negli studi, tanto da meritare una medaglia d’oro per il suo profitto al ginnasio.

I primi passi nel mondo dell’arte cominciano nel 1910, quando inizia a frequentare la Scuola di Belle Arti di Kazan, dove conosce Alexander Rodchenko, che diventa maestro e compagno di una vita. Nel 1912, con il suo compagno, si trasferisce a Mosca, dove prosegue la sua formazione: conosce e frequenta Kandinski, Aleksandra Ekster e Liubov Popova. Si appassiona al Futurismo, che considera “poesia visiva”. Dopo la rivoluzione di ottobre cerca di plasmare la sua arte sulla realtà sociale, cercando di renderla accessibile alle masse. Comincia a sperimentare nuovi linguaggi, sino a influenzare nel 1920 il movimento avanguardista russo, reinterpretando in modo personale le tendenze del costruttivismo. Le sue composizioni sono di grande formato, strutturate su composizioni geometriche e hanno lo scopo di infondere una visione positiva della nuova società russa. Dal 1920 al 1925 insegna in una Scuola di Educazione Sociale e dal 1922 comincia a collaborare con alcuni teatri, creando sceneggiature e costumi. Si appassiona anche di fotografia, di illustrazioni di libri, in una specie di frenesia creativa. I suoi soggetti preferiti sono elementi della realtà, lavoratori, industrie, quartieri cittadini. Si distingue anche nel disegnare bellissimi tessuti. Muore a Mosca nel 1954.

Gauguin aveva detto: “Se quel mare tu lo vedi rosso, dipingilo di rosso“, che è un modo di pensare e di agire, dapprima tipico dei Fauves e poi degli Espressionisti, con il quale si voleva sostenere la totale libertà interpretativa dell’artista, cui è concessa la facoltà di trasfigurare la natura secondo la propria immaginazione, fino al punto di non vederla più, questa natura, e di andare alla ricerca delle sue origini più radicali oltre l’apparenza. Su questo filone si inseriscono le sperimentazioni dell’arte russa, che rimane comunque saldamente legata alla tradizione popolare.

Arte al femminile (16)

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Alexandra Aleksandrovna Ekster, altra figura importante dell’arte contemporanea, nasce a Belostok (in Bielorussia, poi territorio polacco) nel 1882, da una colta famiglia dell’alta borghesia, in un paese con una ricca tradizione di arte popolare. Il padre è un ricco uomo d’affari, che dà alla figlia l’istruzione tipica delle ragazze di buona famiglia: apprendimento del tedesco e del francese, lezioni private di disegno e di musica, letteratura, filosofia…Segue come uditrice corsi d’arte a Kiev, dove la famiglia si è trasferita in seguito alle vicende belliche del tempo. Sposato un avvocato di successo, Nicolai Ekster, tiene con lui un salotto letterario. Nel 1907 è a Parigi, dove incontra parecchi artisti. Viene soprannominata “emissario dell’arte francese in Russia”, perché si adopera instancabilmente per favorire l’ingresso dell’avanguardia artistica occidentale nel proprio paese. Viaggia molto, fermandosi a Kiev, San Pietroburgo, Odessa, Parigi, Roma e Mosca. A Kiev, entra nel giro di amicizie di un’eclettica baronessa, che le fa conoscere Apollinaire, Braque, Léger, Picasso. I suoi lavori si ispirano inizialmente al geometrismo di Cezanne per poi farsi influenzare dal cubismo-futurista tipicamente russo. Comincia a dipingere paesaggi cittadini caratterizzati da colori vivaci, dalla scomposizione delle forme e dalla sovrapposizione di piani geometrici. Partecipa a molte mostre d’arte: tra il 1912 e il 1916 si dedica ad una varietà di generi e stili, tra cui collages e costruzioni spaziali. Nel 1915 le viene dato l’incarico di decorare un importante teatro di Mosca, in cui ricopre muri, scale, vestibolo e sipario con i suoi dipinti. Vive tra Kiev e Mosca negli anni ’20. Si appassiona all’attività di costumista e disegna modelli per varie opere ed esposizioni. Nel 1924 collabora all’organizzazione del padiglione sovietico per l’esposizione Internazionale delle Arti di Venezia. Trasferitasi a Parigi, la sua arte si diversifica: esegue bozzetti di costumi e arredi, crea sculture luminose, fabbrica marionette, tiene corsi di scenografia e illustra libri. Insegna all’Accademia d’arte contemporanea dal 1926 al 1930 e infine realizza delle miniature considerate dei veri capolavori. Nel 1936 partecipa all’allestimento della Mostra del Cubismo e dell’Astrattismo a New York. In seguito allestisce mostre personali a Parigi e a Praga. Muore in un paesino alle porte di Parigi all’età di 67 anni.

Grande artista ha attraversato varie correnti rimanendo sempre se stessa.

Mogli di medici…e non solo…

7bd3ee81aa48c5fc38b658bdd256dd81_bigMi piace leggere ogni tanto romanzi che abbiano avuto parecchia fortuna nel passato e che siano poi stati dimenticati. Sono stata incuriosita dal titolo di questo libro, “Mogli di medici” e ho subito preso in prestito questo romanzo del 1969. La storia tratta dell’omicidio di Lorrie, la sensuale e vivace moglie di uno dei medici di una prestigiosa clinica di Weston. Il marito le ha sparato, cogliendola in intimità con un altro medico della clinica, che viene ferito gravemente. Nasce uno scandalo che coinvolge la tranquilla cittadina. Interessante in questo romanzo è l’analisi dei rapporti coniugali delle varie coppie legate da amicizia a Lorrie. La tragedia diventa motivo per mettere in discussione ipocrisie, infedeltà, insoddisfazioni sessuali, aspettative deluse delle varie amiche di Lorrie. Si ha un quadro realistico delle tematiche introdotte dalle rivolte femministe degli anni ’60. L’autore, Frank Gill Slaughter, meglio conosciuto come C.T. Terry, è stato famoso negli anni ’60 per i suoi thriller ambientati nell’ambiente medico. Le sue conoscenze mediche s’inseriscono nella storia, con lunghe digressioni su cure, interventi chirurgici, medicinali, rendendo la narrazione un po’ pesante. I personaggi sono ben definiti caratterialmente. Un testo impegnativo, ma che suscita riflessioni sulle modalità dei nostri rapporti sentimentali, sull’importanza di una sessualità vissuta in modo sincero e sull’importanza di “ascoltare” se stessi e le proprie esigenze interiori.

 

 

Arte al femminile (15)

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Un’altra artista interessante dei primi del ‘900 è Lyoubov Popova, nata nel 1889 a Ivanovskoe, presso Mosca, in una famiglia borghese (il padre è mercante tessile) amante della cultura. Il padre è un filantropo e mecenate di musicisti e teatranti. La famiglia vive a Yalta e poi a Mosca. La Popova cresce con un grande interesse per l’arte, specialmente per la pittura del Rinascimento italiano. A 11 anni prende lezioni private a casa, per acquisire gli elementi base della pittura: nel frattempo si iscrive al ginnasio. A 18 anni studia con grandi artisti del tempo. Nel 1910 si reca in Italia, dove ha l’opportunità di vedere le opere di Giotto e Pinturicchio. Nel 1911 visita varie città russe, per approfondire la conoscenza dell’iconografia del suo paese. Nel 1912 apre uno studio con un’altra artista, Nadesha Udaltsova e si reca a Parigi, per conoscere le caratteristiche del Cubismo. Ritorna in Italia, per approfondire le novità dell’arte futurista. Dopo varie sperimentazioni, aderisce al neoprimitivismo, poi al cubismo e infine al costruttivismo. Unisce le caratteristiche delle varie tendenze in uno stile proprio, per cui combina elementi di pittura iconografica (linearità e bidimensionalità) a elementi dell’avanguardia. Dipinge figure nello spazio, interagenti tra loro, dinamiche e geometriche, in un gioco di colori vivaci. Le sue superfici colorate si sovrappongono con una ricerca di dimensione tridimensionale.

Negli anni successivi partecipa a molte esposizioni e svolge attività didattica nei Liberi Ateliers di Stato. Si appassiona alla pittura su stoffa, unendo elementi futuristi a colori che richiamano la tradizione popolare russa. Viene chiamata a comporre scenari per il teatro, unendo materiali diversi e inserendo oggetti e proiezioni cinematografiche, rumori imprevisti, per creare effetto sorpresa.

Muore giovane, a 35 anni, nel 1924.

Importanza delle storie…

Condivido in pieno alcuni pensieri di Dacia Maraini, ritrovati tra vecchi appunti.Penso che, soprattutto oggi, abbiamo un po’ tutti bisogno di belle storie e di ritrovare entusiasmo per ogni aspetto della vita.

Solo le storie sono capaci di colmare gli squarci del dolore. Solo le storie ci aiutano a sopravvivere…

Nella letteratura, della vita sfolgiamo i nostri volti, leggiamo ogni occhio che guarda…ci sono volute delle vite per farlo…

Come liberarsi del proprio principe azzurro…

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“La principessa che credeva nelle favole – Come liberarsi del proprio principe azzurro è un libro che consiglio a tutte le donne, perché il mito del principe più o meno azzurro ha perseguitato parecchio l’immaginario femminile. La protagonista è Victoria, una principessa che sin da piccola deve affrontare richieste legate al suo ruolo e deve rinunciare all’espressione delle proprie emozioni, per rispondere a un modello precostituito. Una volta diventata adulta pensa di avere trovato il principe dei suoi sogni, ma, dopo essersi sposata, si accorge che nel suo amato principe convivono due personalità diverse, una amabile e affettuosa l’altra egoista e crudele. Dopo molti tentativi per farsi accettare dal suo compagno, decide di seguire l’invito di uno strano personaggio e intraprendere un lungo cammino, che la porterà, tra molte difficoltà, a recuperare il senso di quello che lei è veramente, di quello che può e vuole fare. Questo libro ripercorre in modo fantasioso la realtà di molte donne che, convinte di avere trovato l’uomo ideale, si accorgono di non essere amate per quello che sono veramente. Superato il dolore Victoria segue il Sentiero della Verità, rischia di annegare nel Mare delle Emozioni, attraversa la Terra delle Illusioni, raggiunge il Tempio della Verità e alla fine capisce che una persona può amare veramente un’altra solo se ama se stessa con tenerezza e accettazione. Il carattere di Victoria e i suoi pensieri sono ben definiti grazie all’esistenza dell’amica immaginaria Vicky, che in realtà non è altro che la sua parte nascosta, la sua confidente, il suo alter ego.Il racconto è interessante, anche se il finale mi è sembrato un po’ troppo “zuccheroso”, pur non essendo a lieto fine, come ci si aspetterebbe da una fiaba.

Devi scegliere di essere felice e non di avere ragione…(pag.85)

Era così abituata a fare tutto per il principe, che doveva ricordarsi in continuazione che stavolta lo faceva per se stessa…(pag.88)

Dopo aver effettuato una scelta, esercitati a essere il più possibile felice, anche se devi far finta di esserlo fino a quando non lo sarai davvero…(pag.93)

Se soffri più spesso di quando sei felice, vuol dire che non è amore, ma qualcosa di differente che ti tiene intrappolata in una sorta di prigione e ti impedisce di vedere la porta verso la libertà, spalancata davanti a te…(pag.102)

A volte bisogna smettere di stare aggrappati e occorre incominciare a muoversi…(pag.121)

Quando permetti ai giudizi degli altri di diventare più importanti dei tuoi finisci per cedere il tuo potere…(pag.177)

Marcia Grad Powers vive in California. Di lei si sa poco, se non che è specializzata in psicologia, tiene seminari presso scuole e università, insegna tecniche di crescita personale a gruppi di professionisti. Ha scritto vari libri di successo, tra cui “Il cavaliere che aveva un peso sul cuore”, che ha ottenuto grande successo, anche se non paragonabile alla storia della principessa Victoria, presentata la prima volta in Italia nel 1998 dalla casa editrice Piemme.

Arte al femminile (14)

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Mentre nell’Europa occidentale, agli inizi del ‘900, le donne faticano a farsi strada e ad ottenere riconoscimenti in campo artistico, in Russia, dopo la Rivoluzione d’ottobre, alle artiste delle avanguardie viene riconosciuto un ruolo di primo piano nella pittura e nel design.

Nataljia Goncarova nasce a Negaevo nel 1881, nella provincia di Tula. Suo padre è un architetto e proviene dalla famiglia della moglie del famoso poeta Alexandr Pushkin. Passa tutta l’infanzia nelle tenute di famiglia. Nel 1898 frequenta la scuola di Pittura, Scultura e Architettura di Mosca, dove conosce il pittore Larionov, che diventerà suo compagno. Mikhail Larionov la indirizza verso la pittura, nonostante Natalia sia orientata verso la scultura. I due artisti hanno un lunghissimo sodalizio umano e artistico, che durerà ben 60 anni. Fanno parte del gruppo “Il vello d’oro”, formato dai pittori dell’avanguardia artistica russa.

Inizialmente i temi principali dei suoi quadri sono vie, vecchie case di legno e parchi.

Nel 1916 si reca a Parigi, per partecipare ad una mostra e si appassiona allo stile degli impressionisti e dei fauves. Tra il 1907 e il 1913 contribuisce alla realizzazione di un’esposizione a Mosca, cui aderiscono anche artisti parigini. Viene denominata “l’amazzone dell’avanguardia russa”.

Successivamente si appassiona alla pittura sacra, soprattutto all’arte delle icone, ma questo dura poco, perché viene attratta dal futurismo e sperimenta nuove tecniche. Nel 1914 si trasferisce definitivamente a Parigi, esponendo le sue opere in varie mostre. Ottiene nel frattempo l’interesse di alcuni espositori tedeschi. Inizia la collaborazione con l’impresario Djagilev, per il quale disegna costumi e scenografie per i Balletti Russi. Alla decorazione teatrale e all’illustrazione di libri dedica l’ultima parte della sua vita. Goncharova e Larionov fanno le scene per numerosi spettacoli, tra cui la memorabile opera-balletto “Gallo d’oro” di N. Rimskij-Korsakov. Il primo spettacolo è dato all’Opera di Parigi il 21 maggio del 1914. Tutti i critici teatrali scrivono di essere colpiti dall’immagine fantastica sul palcoscenico: “le scene coloratissime, che veniva il desiderio di guardare bene ogni oggetto e ogni dettaglio“. Un altro aspetto poco conosciuto di Goncharova è la sua collaborazione con le famose case di moda di Coco Shanel e di Myrbor-Robe. Fa anche bozzetti di vestiti per le riviste “Vogue” e “Vanity Fair”. Le sue opere giungono anche in Giappone e negli USA. Nel 1916 la troviamo in Spagna e nel 1917 è a Firenze e poi a Venezia. Muore a Parigi nel 1962.

Creatività in scrittura…

Proseguendo nelle riflessioni fatte in un post precedente, riporto alcune citazioni e osservazioni che ho raccolto.

B.S.Flowers, curatore dell’interessante testo “Il potere del mito”, dice che ci sono 4 personaggi che entrano nel processo di scrittura:

– il MATTO, che porta idee ed energia alla pagina

-l’ARCHITETTO, che studia gli scarabocchi selvaggi del matto e li riorganizza

-il CARPENTIERE, che inchioda insieme le idee in forma di frasi

-il GIUDICE, che ispeziona il lavoro criticamente.

Gli scrittori vanno in crisi quando il giudice ostacola il lavoro del matto…

Mi piace molto questa teoria e ricorda quanto diceva C.G.Jung:

“L’immaginazione strappa l’uomo ai vincoli che lo imprigionano nel ‘nientr’altro che’, elevandolo allo stato di colui che gioca…”

Un po’ di pazzia e un po’ di gioco fanno bene alla scrittura?

L’immaginario arriva a passi felpati, pattinando dolcemente su un passato remoto, un pronome, un ricordo…”(R.Barthes)