Arte al femminile (314)

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Henrietta Emma Ratcliffe Rae nasce nel 1859 a Hammersmith, Londra, da Thomas Burbey, impiegato statale e Ann Eliza, musicista di grande abilità, allieva di Felix Mendelssohn.

La sua è una famiglia numerosa: ha tre fratelli e tre sorelle. Il padre è amorevole e indulgente verso i figli. Come segretario onorario di una società letteraria frequenta molti personaggi del mondo culturale della città. La madre, individuato nella figlia un certo talento musicale, la orienta verso la carriera di musicista. Henrietta, interessata più all’arte, inizia a studiare tecniche artistiche all’età di 13 anni, sollecitata dallo zio Charles Rae, anche lui pittore.

Dedica a questo ogni momento libero. Frequenta la Queen Square School of Art, la Heatherley’s School of Art. In questo istituto è la prima donna a essere ammessa. Passa molto tempo nelle gallerie del British Museum ad analizzare i lavori dei classici. L’ammissione ai vari istituti avviene dopo avere prodotto molti lavori, aver passato un periodo di prova ed essere stata giudicata idonea dal consiglio degli istituti stessi.

Nel 1880 il nome di Henrietta appare per la prima volta nel catalogo della Royal Academy. La sua pittura in questo periodo si caratterizza per i ritratti e gli scorci paesaggistici.

Nel 1884 sposa il pittore, compagno di studi, Ernest Normand, ma mantiene il cognome da nubile, scelta inusuale per l’epoca. Dal 1881 ha iniziato a esporre i propri lavori e a farsi una reputazione come artista professionista e non vuole rinunciare alla propria identità pubblica. I due si stabiliscono in Holland Park e la loro casa è visitata da artisti del tempo.

Henrietta nelle sue memorie parla della tracotanza nei suoi riguardi di alcuni pittori più anziani e conosciuti.

Nel 1886 nasce il primo figlio e per un po’ s’interrompe l’attività artistica.

Nel 1890 si reca con il marito a Parigi e s’iscrive all’Accademia Julian.

Nel 1893 nasce la seconda figlia, ma ciò non impedisce all’artista di esporre i propri lavori nello stesso anno alla World’s Columbian Exposition di Chicago.

Sostenitrice dei movimenti femministi e del suffragio femminile, nel 1897 organizza una mostra di lavori di sole artiste donne.

Viene criticata per avere dipinto nudi femminili e sollecitata a sospendere tale produzione. La pittrice replica che non c’è nulla di male a rappresentare le forme umane, così come sono state create.

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Nel 1902 una grave malattia blocca di nuovo il suo lavoro, ma con energia Henrietta si riprende e continua a dipingere. Molte le commissioni da personaggi illustri del tempo, ma il tema classico rimane per lei il più stimolante.

Muore nel 1928 a Upper Norwood, a 69 anni.

Il suo dipinto più famoso, ampiamente riprodotto in litografia, è La signora con la lampada, dedicato a Florence Nightingale, organizzatrice dell’assistenza infermieristica moderna.

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Henrietta si è specializzata in temi classici, allegorici, letterari, traendo ispirazione da miti e poemi.

La sua biografia è stata scritta da Arthur Fish e pubblicata nel 1905.

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Arte al femminile (313)

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Paula Modersohn Becker nasce a Dresda (Germania orientale) nel 1876. La sua è una famiglia benestante della media borghesia. Il padre è ingegnere delle ferrovie, la madre proviene da una famiglia aristocratica. Lei è la terza di sette figli. I genitori impartiscono ai figli una buona preparazione culturale privata, la loro casa è frequentata da artisti e intellettuali. A 12 anni Paula è a Brema (nord-ovest della Germania) con la famiglia e qui studia per diventare insegnante, professione considerata adatta a una donna. Appassionata di pittura, decide però di prendere lezioni privatamente presso l’atelier di un artista famoso. Nel 1892 (a 17 anni) va a Londra invitata da una zia per seguire alcune lezioni presso la London’s School of Arts. A 20 anni è in Germania, a Berlino, per frequentarne la rinomata Accademia artistica. Nel 1897 va a Worpswede (un villaggio non lontano da Brema), una specie di Barbizon tedesca, dove si ferma per un paio d’anni. Qui vi è una colonia di artisti che rifiuta l’accademismo e la vita nella città industriale, sostenendo la necessità del ritorno alla natura. Conosce molti artisti, tra cui il futuro marito Otto Modersohn, allora sposato con Helen, gravemente ammalata. Con l’amica scultrice Clara Westhoff si reca a Parigi. S’iscrive all’Accademia Colarossi, che con l’Accademia Julian è aperta alle donne. Si appassiona all’arte di Cézanne, Matisse, Van Gogh.

Nel 1901 sposa Otto Modersohn, rimasto vedovo con una figlia di 2 anni, Elsbeth.

Alterna la residenza a Worpswede con parecchi viaggi a Parigi. Nel 1906 decide di lasciare il marito e di stabilirsi definitivamente a Parigi, per dedicarsi totalmente alla pittura, suscitando la disapprovazione di familiari e amici. La vita matrimoniale non si concilia con la sua libertà artistica. S’iscrive all’Accademia Julian, segue lezioni di anatomia, visita gallerie e musei, prende contatto con alcuni movimenti d’arte moderna e inizia a firmarsi con il nome da nubile. Nel 1907 il marito, che insiste per una riconciliazione, la raggiunge a Parigi e i due, dopo vari incontri, si riappacificano. Paula resta incinta, ma la gravidanza ha un decorso difficile, che quasi le impedisce di dipingere, per cui ritorna a Worpswede. Nel 1907 nasce la figlia Matilde, ma Paula, spossata dalla gravidanza e dal parto, muore poco dopo per un’embolia a soli 31 anni.

Considerata una tra le più importanti esponenti dell’espressionismo, in soli 14 anni di attività ha prodotto 750 dipinti, 1000 disegni e 13 incisioni all’acquaforte. I critici notano nel suo lavoro elementi di realismo e naturalismo. In alcune tecniche anticipa il Fauvismo, per il maggiore interesse per il colore, usato in modo libero e in funzione emotiva. Il suo desiderio è non abbellire nulla e andare al cuore delle cose e delle persone. Non risulta poi troppo sorprendente che nascondesse le sue opere alla vista dei colleghi artisti, a cominciare da suo marito, e che grande sia stata la sorpresa di tutti, alla sua morte, nel ritrovare centinaia di opere – di cui appena tre venduti in vita – di una fattura rivoluzionaria, per l’accettazione delle quali ci sarebbero voluti poi decenni.

I soggetti preferiti, oltre ai ritratti e autoritratti, sono paesaggi, nature morte. Dipinge anche, novità per un’artista, nudi femminili anticonvenzionali.

Ha lavorato con colori a tempera e a olio, prediligendo i colori bianco, giallo, rosso porpora, verde e blu. Nel suo percorso artistico ha esplorato le fonti più varie: dalla scultura gotica a quella di Rodin, dal Rinascimento italiano al Barocco fiammingo e spagnolo, dalla pittura giapponese agli impressionisti e postimpressionisti, concentrandosi soprattutto sull’arte primitiva.

A lei è dedicato il museo Paula Modersohn-Becker Museum a Brema, fondato nel 1978 dalla figlia Matilde (Tillie).

Nel 1988 l’autorità postale tedesca le dedica un francobollo, nella serie Donne nella storia tedesca.

Durante il Nazismo la sua opera, considerata “arte degenerata”, viene tolta dai musei tedeschi.

Nel 1908 il poeta Rainer Maria Rilke (marito dell’amica Clara Westhoff) scrive un poema a lei dedicato, Requiem for a friend.

La sua opera sarebbe stata forse dimenticata, se dall’età di 16 anni non avesse tenuto un diario e raccolto lettere della fitta corrispondenza con molti artisti del tempo. Queste sono state raccolte e pubblicate in tedesco negli anni ’20. Negli anni ’70 un’importante storica dell’arte americana, Diane Radycki, traduce in inglese i suoi scritti, che vengono poi ripresi e ritradotti in altre lingue.

La scrittrice francese Marie Darrieussecq le dedica nel 2016 una vivace biografia.

Determinata e perfino insolente, ma anche timida, decisa ad affermarsi professionalmente (a diventare qualcuno, come scrive alla madre) come pure alla ricerca di una vita familiare, terrorizzata e insieme attratta dalla maternità, indipendente e al contempo bisognosa del sostegno della famiglia prima, e del denaro del marito poi, per potersi mantenere a Parigi, Paula è una donna di grandi, irrisolte contraddizioni, “da ogni altro (…) troppo lontana”, come scrive Rilke.

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Arte al femminile (288)

Amica di Helene Schjerfbeck (v.n.287) è Maria Wiik, altra artista finlandese che fa dell’arte la propria ragione di vita.

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Maria Wiik nasce a Helsinki nel 1853, figlia dell’architetto Jean Johan Wiik e di Gustava Fredrika Meyer. Incoraggiata dalla famiglia, studia arte dal 1874 al 1875 presso la Scuola di Disegno di Helsinki. Continua poi i propri studi a Parigi, all’Accademia Julian, unica accademia allora aperta alle donne. Nel 1880 ottiene l’incarico come insegnante supplente presso la Drawing School di Helsinki. Nello stesso anno suoi dipinti vengono esposti al Salon di Parigi. Nel 1881 produce una serie di dipinti di piccole dimensioni, molto curati nei dettagli, in cui vi sono ritratti che rivelano grande attenzione per gli aspetti psicologici dei soggetti. Nella primavera del 1889 la troviamo a Parigi con l’amica Helene Schjerfbeck, con cui si reca poi in Bretagna, presso la colonia di artisti qui residenti. Nel 1900 vince una medaglia di bronzo all’Esposizione Universale di Parigi e nel 1905 il suo nome appare nel libro Women Painters of the World.

Muore a Helsinki nel 1928, a 75 anni.

Particolare attenzione ha nei suoi quadri verso il mondo dell’infanzia. Notevoli anche i paesaggi e le nature morte.

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Arte al femminile (225)

Il ritratto è uno dei più antichi generi pittorici che la storia dell’arte ci abbia tramandato, a testimoniare che da sempre l’uomo è animato da un profondo, fondamentale desiderio: affidare la propria immagine ad un dipinto per opporsi all’avanzare del tempo con la preservazione della memoria, costruire un altro sé dotato di vita propria, realizzare il sogno faustiano dell’immortalità, un inganno a metà tra verità ed illusione dal fascino sottile e vagamente inquietante.

In realtà il ritratto non è solo un genere pittorico, ma una rappresentazione della percezione che gli artisti di ogni epoca ebbero di sé e dell’uomo più in generale, ciascuno secondo il proprio tempo, la propria cultura e la propria storia.

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GAGGIOTTI RICHARDS EMMA nasce a Roma nel 1825. La famiglia prende stabile residenza a Roma nel 1848, per seguire le inclinazioni artistiche di Emma che entra come allieva nello studio di Tommaso Minardi, professore di disegno presso l’Accademia di San Luca, legato alla tradizione Neoclassica. Durante una permanenza ad Ancona, per seguire gli insegnamenti di Nicola Consorti, conosce un nobile inglese, Alfred Bate Richards, che sposa e con cui va a vivere a Londra. In Gran Bretagna si mette in luce come ritrattista negli ambienti aristocratici. Per la regina Vittoria replica un Autoritratto (che ha già esposto alla Royal Academy) e dipinge alcune figure allegoriche (Fede, Speranza, Carità, Amore di Dio). Esegue per Napoleone III Le quattro stagioni per il Castello di Fontainebleau e realizza un Ritratto a cavallo del futuro imperatore Guglielmo I di Prussia. Nel 1853 torna brevemente a Roma, dove dipinge un Ritratto della propria famiglia per donarlo a un amico. Negli anni seguenti risiede ad Ancona e quindi a Firenze. Durante un soggiorno a Berlino, nel 1855, ritrae il barone A. von Humboldt, esploratore e giornalista tedesco. Si distingue anche come autrice di soggetti sacri e mitologici. Muore a Velletri (Roma) nel 1912 a 87 anni.

I suoi quadri uniscono elementi classici e pensosità “moderna”.

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Arte al femminile (109)

Il secolo che intercorre tra il 1667 e il 1763 fu tormentato da un susseguirsi di guerre pressoché continue. La Francia fu in guerra per 53 anni, l’Inghilterra e l’Olanda per circa 40, la Russia per 33 anni. Non erano più, come nei secoli passati, guerre di religione, il cui scopo era l’annientamento dell’avversario e della sua fede. Le guerre di questo secolo furono guerre esclusivamente territoriali, cioè guerre il cui scopo era il possesso di aree in Europa o nelle colonie per stabilire un nuovo equilibrio tra gli Stati. Da questo punto di vista, è evidente che anche l’insediamento di una dinastia o di un’altra su un trono vacante assumeva lo stesso valore di una conquista territoriale. Le grandi famiglie regnanti in Europa erano tutte imparentate tra loro e sovente, in assenza di eredi diretti, in molti potevano rivendicare il trono. Le guerre di successione del Settecento furono dei pretesti per modificare i rapporti di forza tra gli Stati.

L’arte rispecchia i tempi e molti sono i dipinti di carattere “documentario”. I ritratti e le nature morte rimangono generi considerati adatti alle donne artiste, cui sono precluse spesso altre esperienze. I ritratti diventano sempre più personalizzati, svincolati da modelli ufficiali.

 Ulrica Frederika Pasch nasce a Stoccolma nel 1735. La sua è una famiglia di artisti: il padre è il pittore Lorenz Pasch il Vecchio, la madre è Anna Helena Beckamn. Suo nonno, il pittore Dancward Pasch è emigrato in Svezia da Lubecca. Dopo la morte del nonno nel 1727, lo studio di famiglia viene gestito dalla nonna Judith Larsdotter, fino a quando non viene rilevato dallo zio paterno Johan Pasch nel 1734. La cugina Margareta Stafhelle è un’ artista esperta in calcografia.

Avendo dimostrato talento precoce, come succede normalmente in questi casi, Ulrica viene addestrata dal padre nell’arte della pittura. Il padre non riesce ad adattarsi al nuovo stile pittorico e la famiglia ha molte difficoltà economiche, tanto che Ulrica, dopo la morte della madre nel 1756, diventa governante nella casa di uno zio materno rimasto vedovo, l’orafo Gustaf Stahell. Lo zio le permette di dipingere e Ulrica diventa una ritrattista che riceve molte commissioni. Con i proventi della vendita dei suoi quadri riesce a mantenere il padre e la sorella Hedvig Lovisa. Nel 1766 il fratello Lorenz, pittore professionista, torna in Svezia, dopo un lungo periodo passato all’estero. I due fratelli iniziano a lavorare insieme. Si dice che collaborino in armonia, con reciproco rispetto. Ulrica muore nel 1796, a 60 anni.

Ulrica ha avuto una carriera attiva e piena di successo fino alla morte, servendo sia i membri della corte svedese che l’aristocrazia locale. Viene descritta come persona umile, accomodante e divertente. Non si stancava mai e aveva grande pazienza. Non era bella, ma aveva una grazia accattivante.

Ulrica ha fatto parte Dell’Accademia Reale Svedese delle Arti dal 1773, ma, a differenza dei colleghi uomini, non ha mai ricevuto una pensione dalla corona, nonostante i ripetuti appelli fatti in proposito.

Suoi lavori si trovano in collezioni private e nel Museo Nazionale di Stoccolma.

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Arte al femminile (47)

Dal 1405 sino al 1797 Padova si trova sotto il controllo della Repubblica di Venezia e, pur perdendo importanza politica, gode della pace e della prosperità assicurate dalla signoria veneziana. Viene garantita grande libertà alla sua Università, che richiama studenti ed insegnanti da tutta Europa, soprattutto dalla Germania, dalla Francia, dall’Inghilterra e dalla Polonia. Venezia, vigorosa e splendente nel Cinquecento, vive nel Seicento il tramonto dei sogni di conquista, dopo alcune guerre sfortunate e inizia un lento declino, che coinvolge l’economia e la finanza, le strutture di governo e l’aristocrazia che queste regge. Dal punto di vista culturale rimane vivace ed è uno dei centri europei che più contribuisce, con Galileo Galilei, con Paolo Sarpi, con i loro discepoli e ammiratori, alla rivoluzione scientifica del tempo. Dal punto di vista religioso è intensamente pervasa da fermenti di rinnovamento e legata a una visione laica della società. L’arte rispecchia la tensione verso il nuovo e l’emergere di una ricca borghesia. Il Barocco veneziano è peculiare, arricchito da ornamenti esuberanti e rigogliosi, ama rappresentarsi e celebrarsi fastosamente.

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Chiara Varotari nasce a Padova nel 1584, figlia di Dario Varotari il Vecchio, pittore ed architetto e di Samaritana Ponchino (figlia del pittore G.B. Ponchino). Secondo il Ridolfi (autore di Le Meraviglie dell’arte-1648) i Varotari sono originari della Germania, trasferitisi poi a Verona, dove nel 1539 sarebbe nato Dario, che ritroviamo poi a Padova nel periodo della maturità. Chiara è sorella maggiore di Alessandro, pittore noto come il Padovanino (1588-1649), considerato un valente seguace di Tiziano. Apprende l’arte dai familiari e lavora come assistente di bottega. Nel 1598 muore il padre. Il fratello viene educato da Damiano Mazza, accreditato interprete del tizianismo a Padova e in giovane età sostituisce il padre in “bottega”. Nel 1614 Chiara si trasferisce a Venezia con il fratello, spostandosi ogni tanto per qualche committenza. Vive a lungo a Venezia, dove trova un ambiente culturale vivace e aperto, tanto che nel 1625 vi fonda una scuola d’arte. (A Venezia era vissuta dal 1560 al 1590 Marietta Robusti, la Tintoretta, costretta a lavorare nella bottega del padre vestita da garzone, per aggirare i divieti imposti alle donne in campo artistico: il clima sociale del ‘600 si è un po’ evoluto…). Chiara sente vivamente le problematiche legate alle differenze di genere, tanto che scrive un trattato dal titolo “Apologia del sesso femminile”, in cui difende i diritti delle donne.

Si specializza nei ritratti, che si caratterizzano per la cura dei dettagli e una superficiale attenzione agli aspetti psicologici dei soggetti, secondo lo stile dell’epoca. Il suo stile è preciso, pignolo. Rappresenta l’immagine di una borghesia ricca, ansiosa di celebrarsi nei propri fasti e nel raggiunto prestigio sociale e di una nobiltà che difende i propri privilegi con alterigia.

La data esatta della morte è sconosciuta, ma in genere collocata nel 1664.