Libri per pensare

La casa delle giovani spose (di Ashley Hay, ed. Serling&Kupfer)

Una delle protagoniste, Elsie Gormley, ormai anziana, ha improvvisamente un ictus, mentre è in casa da sola. Così inizia il romanzo: “Era una mattina presto, d’inverno, quando cadde. Il giorno più corto del 2010, disse la donna alla radio. Immobile a terra, comodamente rannicchiata sulla morbida moquette verde tra il divano e la credenza, Elsie vedeva filtrare il sole dalla porta sul retro, e il triangolo che la luce formava sul pavimento…”

I suoi figli, i gemelli Don ed Elaine si rendono conto che la madre non può più stare da sola, avendo ormai novant’anni e la trasferiscono in un istituto. Elsie è stata per oltre 60 anni nella sua casa, che è piena dei suoi ricordi, degli echi delle parole della sua famiglia, della sua vita di sposa. Felicemente sposata con Clem, ha dedicato tutta la vita al marito e ai figli, per scelta personale. Ha attraversato le difficoltà della guerra, di una tremenda alluvione, mantenendo la serenità della giovane intraprendente e allegra che era stata.

La casa di Elsie viene venduta a Lucy e Ben, una giovane coppia con il figlioletto Tom. Lucy non riesce a vincere il senso di estraneità nella nuova casa e nella città in cui si è trasferita.  Fatica ad ambientarsi in una casa che sente appartenere a una donna tanto diversa da lei e che sembra risuonare degli echi del passato. Il marito giornalista è sempre in viaggio e la maternità a tempo pieno incomincia a pesare, come impedimento alla realizzazione di una parte di sé. Per quanto si sforzi di dedicarsi al figlio, a volte sente il suo ruolo come un peso.

Tra Elsie e Lucy un po’ alla volta si crea una comunicazione immaginaria, in quanto ognuna recupera la storia dell’altra, attraverso fotografie, incontri, ricordi…  

Il romanzo racconta le sensazioni e i sentimenti delle protagoniste con grande sensibilità, descrivendo tutte le fasi della loro vita con partecipazione empatica. Sono rappresentati sia i momenti salienti che quelli di giornate apparentemente insignificanti.

La casa è l’altra protagonista: quasi essere pensante, capace di reazioni emotive.

Poi anche la casa cominciò a borbottare, con le assi dell’impiantito che scricchiolavano, stiracchiandosi al tepore del giorno. Un suono rassicurante. Era da oltre sessant’anni che la casa conversava con Elsie Gormley. Aveva assistito a tutte le sue arrabbiature e ai suoi malumori, e di solito li placava. Aveva contenuto la sua voce, quella di suo marito, dei figli, e ora anche dei nipoti: echi e rimbombi depositati dietro il battiscopa e gli infissi delle finestre, come quei pallidi granellini di polvere, incastrati ai bordi del pavimento della cucina.”

Un libro sul senso della felicità. Per Elsie è fatta di tanti episodi con le persone che ama, per Lucy è un giardino pieno di alberi e fiori, è il ritorno a casa dopo una fuga per capire quello che veramente desidera. Nella storia l’amore, il matrimonio, la maternità sono considerati dal punto di vista di due donne di diversa generazione. C’è un costante alternarsi tra presente e passato, scandito dai diversi capitoli. La vita è fatta anche di dettagli e piccole decisioni!

Un romanzo che fa riflettere sulla quotidianità al femminile, delicato e introspettivo.

Le domande sono quelle di sempre: Come conciliare realizzazione personale e cura della famiglia? Che cosa conta veramente nella vita? Come capire quello che si vuole veramente? Quanto dobbiamo prima di tutto a noi stesse?

Elsie e Lucy hanno una certa consapevolezza di sé e non smettono di cercare un giusto equilibrio. Anche Lucy alla fine decide quello che è meglio per lei…

Fanno da sfondo giardini descritti con precisione botanica e personaggi minori, che affiancano le due donne, evidenziandone ancor più la personalità.

Asheley Hay è una scrittrice australiana, che vive a Brisbane. È stata finalista al Miles Franklin Literary Award, il più importante premio letterario in Australia, grazie al romanzo La biblioteca sull’oceano (Sperling & Kupfer, 2017), diventato un best-seller in patria e pubblicato con successo negli USA e in Europa. Ha pubblicato 3 romanzi e 4 libri di saggistica. Dal 2018 è direttrice della Griffith Review.

Fragilità femminile

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Dio nella macchina da scrivere (ed. La Nave di Teseo) è la storia della poetessa Anne Sexton, scritta in prima persona, ma in realtà non è né un’autobiografia né una biografia, ma, come dice l’autrice nella parte finale “ Una riscrittura intima e libera dei suoi giorni” con fatti reali e altri frutto di fantasia. In copertina Anne giovane e bellissima, quando faceva la modella.

Un libro intenso, che lascia amarezza, perché struggente è la storia di questa donna. Inizia con un tentativo di suicidio e si conclude con la morte della protagonista a soli 46 anni. Anne è stata una poetessa molto nota nell’America del secondo Novecento. Nata in una famiglia benestante e rigida, si sposa giovanissima, ha due figlie, è bellissima, elegante, amata dal marito, ma combatte con un serio problema psichiatrico (disturbo bipolare) che un po’ alla volta le rende la vita insopportabile. Scritto come un diario, leggiamo giorni fatti di rapporti contraddittori con le figlie, di tensioni crescenti con il marito, di pillole, di drink, di sedute psicanalitiche, di lettere, di amori. C’è il tentativo di essere presente come madre e moglie e, nello stesso tempo, la difficoltà nel tenersi in equilibrio, il rifiuto degli stereotipi del tempo. Il marito l’ama, la detesta, la cerca e la picchia, in una spirale di amore, odio e riparazione, che Anne giustifica.

Anne inizia una terapia con uno psichiatra, il dottor O., che le suggerisce di scrivere, vedendo nella poesia una forma di cura. Anne inizia a scrivere e non si ferma più. Le parole fluiscono spontanee e la scrittura diventa la sua ragione di vita. La poesia invade tutto e un po’ alla volta Anne segue corsi, fa pubblicazioni, diventa apprezzata e famosa, ottiene premi, viene invitata un po’ ovunque, riceve incarichi d’insegnamento. Arriva anche il premio Pulitzer. Il suo interesse per la poesia va contro tutto e tutti, ma non la salva dall’inferno personale. Aumentano i farmaci e la dipendenza da essi, le crisi, i ricoveri, gli amanti, le insicurezze, gli incubi…Più diventa famosa e più tutto sempre distruggersi in lei e intorno a lei: le figlie sempre più distanti, il marito che la lascia, gli amici si allontanano, a parte alcuni fedelissimi, come l’amica Maxine, anche lei poetessa.

Ci si trova immersi in una mente affascinante e misteriosa, con una tale intensità rappresentativa, che riusciamo veramente a sentire presenti e vivi i sogni, gli incubi, i desideri, le dipendenze dall’alcol e dai farmaci, i sensi di colpa…

Un ritratto denso e toccante, che dimostra notevole potenza narrativa.

Dopo questa lettura viene voglia di leggere le poesie di Anne, per conoscere meglio questa poetessa, amante delle parole e per cui scrivere era ragione di vita, in bilico costante verso la morte. Una donna alla ricerca di se stessa, inquieta, insicura, bisognosa di amore e conferme, anticonformista, ribelle. Una vita che cerca un senso identitario. La scrittura è come messa a fuoco di se stessa, per cercare autenticità.

Libro sulla fragilità delle donne e non solo.

«Dal mio dottore parlando degli ultimi tempi. “Non so perché i miei stati emotivi oscillino così di continuo, o sono euforica o depressa e vicino alla morte, o terribilmente in preda ai miei sintomi. Io davvero non so se questo è solo un modo per difendermi da ciò che non capisco di me stessa.” Lui. “Questa oscillazione è il ritmo espressivo della sua vita Anne, diciamo che la sua energia per ora ha transitato per strade sbagliate, e anche se tutto questo è denso di significato è bene farci i conti, e rompere questo circolo vizioso, magari creando qualcosa che somigli di più a un vero rapporto d’amore per se stessa.” “Come è possibile?” chiedo io. “Ma lei in fondo l’ha già fatto Anne, la scrittura non è altro che questo.”» (pag.120)

 

Irene Di Caccamo è nata nel 1967 a Roma, dove vive. Nel 2011 ha pubblicato L’amore imperfetto, con cui ha vinto il premio Rapallo Carige Opera prima. Di professione fa la doppiatrice e la dialoghista.

Vergine giurata

L’amica Ivana mi ha indicato questo libro, che ho letteralmente “divorato”!

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Prendendo spunto da una fotografia di famiglia, che ritrae una donna vestita da uomo, la Dones avvia una ricerca sulle tradizioni popolari albanesi, da cui scaturisce questa originalissima e sofferta storia. Avvincente la narrazione, così come toccante è il vissuto della protagonista, il cui animo viene presentato con tutte le complicazioni, le tensioni, i tormenti che lo caratterizzano. La trama si collega alle ancestrali leggi del Kanun, vigenti soprattutto nei paesi a nord dell’Albania e in Kosovo. La scrittura è chiara ed espressiva, il che è particolarmente meritorio, in quanto l’autrice, di madre lingua albanese, ha scelto di scrivere direttamente in italiano.

Trama: Hana Doda abbandona gli studi universitari di Letteratura, che ha da poco iniziato all’Università di Tirana, piena di curiosità e di entusiasmo, per tornare a vivere nel suo paese di origine, sulle montagne del Nord dell’Albania. Lo zio, che l’ha cresciuta dopo la morte dei genitori e che adesso è vedovo e gravemente malato ha bisogno delle sue cure. Hana si rifiuta di accettare il matrimonio combinato che permetterebbe allo zio di morire in pace, ma che costringerebbe lei a rinunciare alla propria indipendenza. Pensa che l’unico modo per risolvere i suoi problemi sia diventare una “vergine giurata”: una di quelle donne, cioè, che a un certo punto della propria vita decidono di farsi uomini e di rinnegare la propria femminilità. Si tratta di un atto d’amore e di gratitudine, che assume i tratti di uno spaventoso olocausto di sé. Lo zio è fiero di lei, l’onore della famiglia è salvo e lui è finalmente libero di arrendersi alla malattia che lo divora. “Non correre non far rumore non pensare. Nessuna fretta. Non più. C’è tutto il tempo di questo mondo, nessuno ti aspetta, non devi più preoccuparti della morbidezza dei tuoi capelli…” Nella cupa solitudine delle montagne Hana, divenuta per tutti Mark, si abbruttisce e si imbruttisce per sopravvivere alla fatica, al freddo, allo sconforto, finché la cugina Lila, emigrata tanti anni prima negli Stati Uniti, non riesce a convincerla a infrangere il giuramento per raggiungerla negli USA. Qui Hana riesce con grande sforzo – grazie al sostegno della cugina e della sua famiglia, ma soprattutto alla propria tenacia – a trovare la consapevolezza di sé e del proprio corpo mortificato, e ad accettare l’amore di un uomo che la aiuta ad appropriarsi di una femminilità rinnegata. “Lei lo guarda dritto negli occhi e gli risponde pacata, senza temere di suonare enfatica. Il suo gesto ha dato onore a Gjergj Doda, l’ha fatto vivere un paio di mesi in più. Se l’avesse concessa in sposa, Gjergj sarebbe morto triste, avrebbe saputo di aver fatto qualcosa che Hana odiava. E se lei avesse disobbedito, Gjergj Doda avrebbe perso la faccia di fronte ai monti. Con Hana fattasi uomo, Gjergj era morto pieno di sconfinato orgoglio.”

“E di nuovo, immensa
sconfinata, ricomincerà
la vita, senza occhi, senza parole,
senza pensiero
.”

Le leggi del Kanun sono servite per più di cinquecento anni come codice ancestrale riguardante il comportamento sociale e l’amministrazione delle proprietà dei clan dell’Albania del Nord e del Kosovo. Nel Kanun si riconosce un particolare diritto alla donna (diventato ormai desueto), cioè quello di proclamarsi uomo. La “vergine giurata” nasce da un bisogno sociale. Secondo il Kanun, se i patriarchi della famiglia muoiono e la famiglia rimane senza un erede maschio, la donna non sposata della famiglia può scegliere di diventare capo famiglia, a pesanti condizioni, ossia facendo un giuramento di verginità e accettando il ruolo di maschio a tutti gli effetti. La donna che fa questa scelta pronuncia uno speciale giuramento (da ciò il suo nome) in occasione di una cerimonia sacrale, nella quale garantisce il proprio stato di verginità davanti ai dodici uomini più importanti del villaggio. Dopo il giuramento, la donna assume un comportamento maschile, prende un nome da uomo, si arma, fuma, beve e mangia con gli uomini laddove alle donne non è permesso. Inoltre acquisisce il diritto di vendere, comprare e gestire proprietà, può partecipare alla guerra e alle vendette tra i clan. Vergini giurate si possono ancora trovare in alcuni villaggi dell’Albania.

Solo un uomo può essere capofamiglia. Può essere libero di andare dove vuole, di comandare, di comprare terra, di difendersi, di attaccare se necessario, di ammazzare e farsi ammazzare. All’uomo sono concesse la libertà e la gloria, oltre al dovere. Alla donna non resta che l’obbedienza. E lei con l’obbedienza aveva qualche problema, tutto qua”.

Elvira Dones nasce a Durazzo nel 1960. È una scrittrice, giornalista e sceneggiatrice albanese. Attualmente vive negli Stati Uniti, dopo aver trascorso molti anni in Svizzera.

Il romanzo è stato trasposto in film da Laura Bispuri, che l’ha presentato al Festival del cinema di Berlino del 2015.