“Il pane perduto” di Edith Bruck, ed. La nave di Teseo
Nata nel 1931 in un piccolo villaggio ungherese, in una famiglia ebrea, ultima di sei figli, Edith viene deportata a soli 13 anni, insieme ai genitori e a due dei cinque fratelli. Solo la forza e l’affetto della sorella maggiore Judith sono suo sostegno, in quello che è un orrore senza fine. Finita la guerra si trova in un mondo sconvolto, fra macerie, diffidenza e odio. Cerca le sorelle e il fratello superstiti, ma nessuno riesce ad aiutarla veramente. Questo in sintesi il contenuto di questo libro intenso e pieno di forza narrativa.
Il titolo si riferisce al momento della deportazione. La mamma di Edith ha messo a lievitare delle pagnotte di pane, che è riuscita a impastare grazie alla farina donatale da una vicina e il pensiero di quelle pagnotte, che saranno sprecate, tormenta la povera donna, una volta che lei e i suoi cari sono deportati. La famiglia di Edith è povera, ma unita e lei è per carattere ottimista, ha avuto un’infanzia tutto sommato felice sino a quel tragico sconvolgimento, causato dall’odio razziale.
L’esperienza del lager è raccontata per episodi, uno più doloroso dell’altro, ma anche il ritorno alla vita normale presenta tanti ostacoli. Ricomincia l’odissea. Edith si sente estranea rispetto ai suoi stessi familiari, tre dei quali si sono salvati e hanno creato una propria famiglia. Cerca di tornare in Ungheria, ma la casa è devastata. Tenta di insediarsi in Israele e inventarsi una vita nuova. Un susseguirsi di tentativi di normalità: un matrimonio in giovanissima età con un giovane marinaio violento e geloso, la fuga, i vari lavori per sopravvivere, poi le tournèe in giro per l’Europa, con un corpo di ballo formato da esuli. Approda in Italia, prima a Napoli, poi a Roma, dove le viene affidata la direzione di un centro estetico frequentato dalla “Roma bene”. Qui conosce Nelo Risi, poeta e regista, con cui inizia un sodalizio che dura sessant’anni.
La sua missione diventa la scrittura, l’unico modo per pacificarsi con se stessa e il proprio passato, oltre che per fare memoria dell’olocausto. Quando parla dell’oggi, fa una serie di riflessioni sui pericoli dell’attuale ondata xenofoba, amareggiata da quella che giudica un’involuzione sociale pericolosa. “La parola patria non l’ho mai pronunciata: in nome della patria i popoli commettono ogni nefandezza. Io abolirei la parola “patria”, come tante altre parole: “mio”, “zitto”, “obbedisci”, “la legge è uguale per tutti”, “nazionalismo”, “razzismo”, “guerra” e quasi anche la parola “amore”, privata della sua sostanza”.
L’ultimo capitolo è una “Lettera a Dio”, cercando di capirne i silenzi durante l’orrore e la sua essenza: “Scrivo a Te, che non leggerai mai i miei scarabocchi, non risponderai mai alle mie domande, ai pensieri di una vita”. “Noi non abbiamo né il Purgatorio né il Paradiso ma l’Inferno l’ho conosciuto dove il dito di Mengele indicava la sinistra che era il fuoco e la destra l’agonia del lavoro, gli esperimenti e la morte per la fame e il freddo”
Un percorso autobiografico, che è anche il quadro di un momento storico che non finisce mai di parlarci di orrore e dolore, che non vanno dimenticati. Una storia personale e collettiva insieme, sincera e in cui domina uno straordinario amore per la vita.
Edith Bruck, di origine ungherese, è nata nel 1931 in una povera, numerosa famiglia ebrea. Nel 1944, poco più che bambina, il suo primo viaggio la porta nel ghetto del capoluogo e di lì ad Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen. Sopravvissuta alla deportazione, dopo anni di pellegrinaggio approda definitivamente in Italia, adottandone la lingua. Nel 1959 esce il suo primo libro Chi ti ama così, un’autobiografia che ha per tappe l’infanzia in riva al Tibisco e la Germania dei lager. Nel 1962 pubblica il volume di racconti Andremo in città, da cui il marito Nelo Risi trae l’omonimo film. È autrice di poesie e di romanzi come Le sacre nozze (1969), Lettera alla madre (1988), Nuda proprietà (1993), Quanta stella c’è nel cielo (2009, trasposto nel film di Roberto Faenza Anita B.), e ancora Privato (2010), La donna dal cappotto verde (2012). Presso La nave di Teseo sono usciti La rondine sul termosifone (2017), Ti lascio dormire (2019) e Il pane perduto (2021, candidato al LXXV premio Strega). Nelle sue opere ha reso testimonianza dell’evento nero del XX secolo. Nella sua lunga carriera ha ricevuto diversi premi letterari ed è stata tradotta in svariate lingue. È traduttrice tra gli altri di Attila József e Miklós Radnóti. Ha sceneggiato e diretto tre film e svolto attività teatrale, televisiva e giornalistica.