Arte al femminile (599)

Katy Castellucci è stata figura di rilievo nel panorama artistico italiano della prima metà del Novecento.

Nasce nel 1905 a Laglio, sul lago di Como. Il padre Ezio è raffinato illustratore e pittore di tradizione accademica. La madre, Teresa Gautieri, ha nobili origini provenzali.

La famiglia si trasferisce a Roma, che offre maggiori possibilità di lavoro per il padre e qui Katy frequenta il Liceo Artistico.

Fin da giovanissima dimostra talento artistico e predisposizione per la danza.

Nel 1926 si reca a Parigi con la sorella Guenda e vi rimane due anni. Nel 1927 prende parte alla Pantomima futurista di Enrico Prampolini al Théatre de la Madeleine.

Tornata a Roma, frequenta gli artisti della Scuola Romana e ha una relazione tormentata con uno degli esponenti, Alberto Ziveri. Questa Scuola vuole essere un’alternativa alle espressioni artistiche di chiara propaganda fascista. Ricerca, nel legame profondo con la città di Roma e l’antichità, una dimensione più intima e personale, con forte attenzione alle ricerche cromatiche, alle tonalità del colore.

Nel 1932 espone per la prima volta alla III Sindacale, ma la mostra veramente importante è la prima personale alla Galleria della Cometa (aperta dalla contessa Mimì Pecci Blunt) nel 1936, assieme ad Adriana Pincherle (v.n.446), sorella dello scrittore Alberto Moravia e sua amica di gioventù.

Viene notata dalla critica per l’intensità e la poesia della sua pittura.

Negli anni del secondo dopoguerra si dedica intensamente all’insegnamento, prima a Modena poi all’Istituto di Arte Applicata di Roma, dove fonda la sezione di disegno su tessuto, dalla tecnica batik alla serigrafia. Si dedica anche alla scenografia e ai costumi teatrali. Lavora per il Maggio Musicale Fiorentino e per il Teatro delle Arti di Roma.

Si presenta assieme al padre alla VI Quadriennale di Roma del 1951 e nello stesso anno fa una mostra personale alla Galleria Lo Zodiaco. I suoi quadri in questo periodo hanno un’impronta neocubista, collegandosi alle tendenze artistiche europee.

Rinuncia poi a partecipare alle mostre cui è invitata, dedicandosi a una pittura astratta sperimentale, senza intenti espositivi. 

Molti i disegni che continua a fare, autonomi dalla pittura, tutti di grande qualità e in cui evidenzia la vocazione figurativa.

Muore a Roma nel 1985.

Nel 2021 le è stata dedicata una mostra a Villa Torlonia (Casino dei Principi), a Roma, con opere raccolte e catalogate dal nipote Alessandro Pagliero, figlio della sorella Guenda: autoritratti di straordinaria modernità, ritratti di amici, di parenti, di intellettuali, animali e nudi molto sensuali. Una serie di vedute di Roma ad acquarello e china mostra il talento nel disegno, nella capacità di riprodurre volumi con pochissimi tratti. Gli autoritratti sono vari e sintetizzano gli aspetti del carattere dell’artista, dalla malinconia alla volontà di nascondersi dietro travestimenti e trucchi, la sua inquietudine. Le immagini familiari sono invece cariche di dolcezza. Le sue pennellate sono dense, accentuati i rapporti tra luci e ombre, incisivo il collegamento tra figure e ambiente.

Quando affronta la fase neocubista procede in modo originale, con colori essenziali e tratti netti.

Arte al femminile (581)

Roma conosce nei primi decenni del ‘900 un certo sviluppo artistico. Anche se non si può certo paragonare ad altre capitali europee, come Parigi o Londra, ha tuttavia circoli artistici, esposizioni e luoghi di ritrovo, frequentati da personalità artistiche di rilievo. Le donne artiste trovano propri spazi, anche se con fatica. Particolare la storia di Pasquarosa Marcelli.

Pasquarosa Marcelli nasce in una famiglia contadina ad Anticoli Corrado, nel 1896. Questo paese della valle dell’Aniene è conosciuto dagli artisti per la bellezza del paesaggio e per il fascino delle donne, che vengono ricercate come modelle per gli studi di via Margutta o per l’Accademia di Belle Arti di Roma.

Nel 1912, a 16 anni,  Pasquarosa si reca a Roma dalla zia Maria Lucantoni, che dopo una carriera come modella ha sposato uno scultore svizzero.

Anche lei posa per diversi artisti e conosce il pittore romano Umberto Natale Bertoletti, per cui posa e con cui inizia una relazione sentimentale, osteggiata dalla famiglia benestante di lui.  Lui le fa da maestro, la incoraggia a istruirsi, le dà in mano tavolozza e pennelli, scoprendo il suo talento. Pasquarosa inizia a frequentare i pittori della capitale e a dipingere, esordendo alla III Esposizione Internazionale d’arte della Secessione Romana con cinque dipinti. Il termine Secessione indica un movimento artistico, che intende opporsi all’arte ufficiale e accademica.

I suoi lavori ottengono apprezzamenti dalla critica ufficiale e vengono acquistati da personaggi illustri, come la regina Margherita, che ne sceglie uno raffigurante una natura morta (questo quadro, Fiori, si trova attualmente al Palazzo del Quirinale).

Nel 1915 Pasquarosa sposa con rito civile il Bertoletti e i due vanno ad abitare in una casa procurata loro da Luigi Pirandello, con cui hanno un rapporto di stima e amicizia. Nel 1916 nasce il primo figlio, Giorgio.

Sempre nel 1916 la pittrice espone alla IV Esposizione Internazionale d’arte della Secessione romana. Un quadro viene comprato dal Comune di Roma e oggi si trova presso la Galleria comunale d’Arte Moderna e Contemporanea.

Partecipa al Gruppo moderno italiano, che raccoglie artisti vicini al postimpressionismo, contrari alle sperimentazioni. Il termine postimpressionismo indica un movimento artistico nato come reazione al naturalismo degli impressionisti, con la ricerca di maggiore essenzialità di forme e colori. Si cerca inoltre di rappresentare il mondo secondo la sensibilità personale dell’artista, staccandosi sempre più da una rappresentazione realistica dello stesso. La pittura di Pasquarosa è attenta, rigorosa e geometrica.

Durante la prima guerra mondiale il marito è al fronte, ma le scrive e la incoraggia a proseguire la carriera artistica e lei dipinge ed espone.

Negli anni ’20 i due coniugi frequentano Giorgio De Chirico, interessato al loro lavoro.

Nel 1923 Pasquarosa è presente in mostre organizzate da gallerie private.

Nel 1924 nasce il secondo figlio, Carlo Francesco.

Nel 1925, in compagnia del marito, si reca a Torino, Parigi, Madrid, per visitare musei ed esposizioni.

Nel 1927 partecipa a due eventi importanti: XCIII Esposizione degli Amatori e Cultori e alla Mostra d’Arte del Lyceum.

Nel 1927 sposa il Bertoletti con rito religioso e poco dopo partecipa alla II Mostra d’Arte Marinara.

In questa occasione il quadro intitolato Capanne sulla spiaggia (detto anche Cabine o Portoferraio) viene acquistato dal Comune di Roma. Il dipinto, oggi presso la Galleria comunale di Arte moderna e contemporanea di Roma, rappresenta la maturazione raggiunta dalla pittrice in questi anni, sia per l’accurata ricerca tonale di colori freddi, ma luminosi, sia per l’aspetto quasi metafisico delle solitarie e silenziose cabine sulla spiaggia deserta.

Incomincia una presenza anche all’estero: nel 1928 a Madrid e nel 1929 a Londra, con nature morte, composizioni floreali e vedute di Roma. La mostra personale alla Arlington Gallery di Londra è qualcosa di insolito e straordinario per un’artista italiana dell’epoca.

Il successo la porta a esporre in molte occasioni importanti, come la Quadriennale di Roma o la Mostra d’Arte Femminile, sempre nella capitale.

Gli anni della seconda guerra mondiale comportano un rallentamento della sua attività e frequenti soggiorni ad Anticoli Corrado.

Nel 1953 vince il premio Marzotto di Valdagno, per la pittura.

Nel dopoguerra riprende intensamente a esporre. Partecipa alle Biennali di Venezia, alle Quadriennali romane e ha diverse personali in gallerie di Roma. La sua pittura diventa più sciolta, con tonalità luminose, colori pastello.

Muore a Camaiore, in Versilia, nel 1973.

Se non occupa un posto nella storia dell’arte, è pur vero che Pasquarosa è stata invitata a tutte le rassegne nazionali del suo tempo e tutti i critici autorevoli l’hanno menzionata nelle riviste specializzate. Arriva a Roma da analfabeta e muore leggendo Shakespeare. È stata definita “un fenomeno dell’arte”.

Nel 2021, a Villa Pignatelli, a Napoli, sono stati presentati suoi lavori, insieme a quelli delle artiste Claire Fontaine e Marinella Senatore.

Arte al femminile (574)

La Firenze del ‘900 vede la presenza di un mondo artistico in fermento, diviso tra tendenze accademiche e altre ispirate alle novità internazionali.

Carola “Lola “Costa nasce in Inghilterra nel 1903. Il padre è un uomo d’affari ligure, discendente dei conti Costa di Carmagnola, la madre è un’artista anglo-francese, Marie Antoniette Lesieur.

Quando nei primi anni ’20 i genitori si separano, Carola segue la madre in Francia, iniziando le proprie esperienze artistiche.

Nonostante le restrizioni economiche e sociali, madre e figlia amano dipingere agli angoli delle strade en plein air. Spesso pagano con i dipinti, in mancanza di denaro.

Lola cerca di fare lavori occasionali: commessa, insegnante d’inglese…

Trasferitasi in Toscana, conosce l’artista emergente toscano Federico Angeli, con cui instaura un sodalizio artistico-sentimentale.

Federico è legato allo stile ispirato al Rinascimento e si concentra sulla perfezione tecnica, Lola è più estrosa. Inizia a esporre e contemporaneamente scrive poesie, che vengono pubblicate e apprezzate dalla critica. Al marito si devono i ritratti dell’artista.

Dal 1936 al 1948 sviluppa al massimo la propria creatività, lavorando nello studio che la coppia ha costruito al Palmerino, una villa da loro acquistata ai piedi delle colline di Fiesole, lungo il sentiero etrusco noto come Sentiero degli Dei.

I temi dei quadri sono paesaggi, ritratti di familiari, vicini e lavoranti. Coglie l’atmosfera ricca di colori delle terre appenniniche, il fascino delle colline della piana del Mugello, i boschi di faggeti, i sentieri e la gente del luogo con le loro fisionomie decise. Tutto questo tocca il mondo interiore della pittrice.

Raramente organizza grandi vendite, preferendo regalare le sue opere. Dipingere per lei è quasi un’esperienza spirituale.

Muore a Firenze nel 2004.

Arte al femminile (573)

Cerco di concentrarmi un po’ sulle pittrici italiane del ‘900. I miei sono appunti, che non pretendono di approfondire le figure delle tante artiste, che scopro in continuazione, spesso considerate “minori” rispetto ai pittori della loro generazione. Mi piace ricordare le donne che si sono impegnate con entusiasmo in campo artistico, non avendo il più delle volte, molti riconoscimenti ufficiali.

Fillide Giorgi Levasti nasce a Firenze nel 1883. Il padre è impiegato al Ministero delle Finanze e la sua è un’agiata famiglia borghese.

Nel 1899 s’iscrive all’Accademia di Belle Arti di Firenze (v.foto) e frequenta le lezioni di Giovanni Fattori, pittore e incisore, tra i principali esponenti del movimento dei macchiaioli.

I macchiaioli sono artisti attivi soprattutto in Toscana, il cui nome deriva dalla “teoria della macchia”, ossia che le forme siano create da macchie di colore, distinte, accostate e sovrapposte abilmente tra loro, con giochi di luce e chiaroscuro. Il termine viene usato in senso denigratorio dalla Gazzetta del Popolo nel 1862, quando gli esponenti del movimento fanno una prima esposizione dei loro lavori: a loro il termine piace e lo tengono.

Fillide ama uno stile di pittura sobria e rapida, seguendo parzialmente i principi dei macchiaioli.

Rimane orfana di padre nel 1902, ma riesce a concludere gli studi e inizia a lavorare ed esporre, prima a Genova, poi a Bologna. Si specializza nei ritratti e due di questi sono presentati nel 1907 nella sede della Società di Belle Arti di Firenze.

Nel 1908, con l’amica Leonetta Pieraccini (v.n.450), conosciuta in Accademia, frequenta la scuola libera del nudo, contro le convenzioni dell’epoca.

Fa brevi viaggi, per visitare gallerie e musei in Francia, in Svizzera e in Germania.

Nel 1914 è a Roma con due nature morte, che presenta alla II Esposizione Secessione Romana.

Sempre nello stesso anno sposa Arrigo Levasti, insegnante e autore di opere filosofiche.

Nel 1916 il marito è chiamato a Roma sotto le armi. Fillide vive tra Firenze e Montepiano (in provincia di Prato, v.foto), dove accoglie le sorelle, cagionevoli di salute, che cercherà sempre di aiutare, soprattutto dopo la morte della madre, avvenuta lo stesso anno.

L’attività espositiva continua regolarmente, nonostante le difficoltà della guerra, a Roma e a Ginevra, in Svizzera. Vende alcune acqueforti in Francia, avendo iniziato anche l’attività di incisione.

 Fa amicizia con la pittrice Vittoria Morelli, che la introduce nell’ambiente romano.

Alla fine della guerra torna a Firenze.

La troviamo a Praga, a Berlino, a Ginevra, dove riscuote grande successo.

Viene attirata da un repertorio di soggetti come burattinai, saltimbanchi, fruttivendoli e contadini, incuriosita dallo stile naif. Nelle fiere e nelle giostre di paese trova la semplicità e la spontaneità, che le sembrano l’essenza della vita. 

Nel 1922 due sue opere sono rubate in una mostra a Berlino: in questa occasione viene aiutata e ospitata dall’esperto di Storia dell’Arte Oskar Gehrig, che diventa suo amico, scrive articoli su di lei e diventa punto di riferimento costante sul mercato tedesco.

Molto attiva, ottiene riconoscimenti ed elogi dalla critica ovunque espone (Firenze, Berlino, Parigi, Roma).

Nel 1928 incontra a Roma il giurista e letterato Piero Calamandrei, con cui lei e il marito stringono amicizia, condividendone le idee antifasciste.

Nonostante le lusinghiere affermazioni. Fillide inizia ad avere notevoli difficoltà sul mercato italiano, mentre il sostegno di Gehrig le mantiene aperto quello tedesco.

Nel 1929 a Firenze, presso palazzo Antinori (v.foto), espone 40 opere, suscitando interesse da parte della critica italiana e articoli su La Nazione, L’illustrazione toscana e Il Giornale d’Italia.

I soggetti in questo periodo sono scene di quartiere e di vita quotidiano, che danno l’impressione di un ritmo lento, tono assorto e quiete.

Negli anni ’30 l’avvento del Nazismo le crea difficoltà sul mercato tedesco: ospita in questo periodo artisti e musicisti tedeschi.

Per le difficoltà crescenti anche in Italia, Fillide inizia a condurre una vita più ritirata. Riesce però a essere presente con alcuni quadri e disegni a New York, Vienna e Pittsburgh.

Con l’inizio della seconda guerra mondiale, il lavoro si dirada e Fillide si dedica per lo più al disegno. I bombardamenti colpiscono la sua casa-studio di Firenze e con la famiglia si rifugia a Bagno a Ripoli, sulle colline fiorentine (v.foto).

Nel 1947 viene nominata a Firenze vicepresidente del Club delle artiste pittrici e cura una mostra  a Kansas City, con 17 artiste italiane.

Negli anni successivi, pe una grave pleurite, conduce vita ritirata, continuando a disegnare e dipingere.

La troviamo attivissima negli anni ’50.

Negli anni ’60, colpita da una grave paralisi, interrompe ogni attività.

Muore a Firenze nel 1966.

Presso la Biblioteca Marucelliana di Firenze (v.foto) si conserva il ricco fondo da lei lasciato.

Arte al femminile (572)

All’inizio del xx secolo l’arte a Venezia conosce un momento di grande vivacità e fermenti innovativi.

Merito spetta in parte alla Biennale, che inizia nel 1895. Dal 1908 poi gli artisti di Ca’ Pesaro presentano collettive annuali.

Lina (Carolina) Rosso nasce nel 1888 a Venezia, seconda di sei figli. Il padre Salvatore è commerciante di tessuti, la madre diplomata maestra.

Frequenta le Magistrali e sin da bambina manifesta grande passione per la musica. Si diploma in pianoforte e nel frattempo incomincia a dedicarsi seriamente agli studi artistici.

S’iscrive all’Accademia di Belle arti di Venezia e frequenta i protagonisti della tradizione artistica veneziana.

Nel 1909 espone a Ca’ Pesaro insieme ad altri giovani artisti, presentando due disegni colorati. La sua espressività è legata a uno stile vagamente neo-impressionista.

La sua carriera artistica s’interrompe bruscamente per lo scoppio della prima guerra mondiale, durante la quale presta servizio come infermiera volontaria presso l’Ospedale Militare di Venezia.

Nel 1917, dopo la disfatta di Caporetto, si trasferisce con la famiglia a Viareggio e ha l’opportunità di conoscere e frequentare il compositore Giacomo Puccini, residente a Torre del Lago. Si mette in contatto con artisti della zona, del Club della Bohéme, con cui organizza alcune mostre.

Dipinge numerose vedute di paesaggi, interni della casa e anche ritratti di Puccini al lavoro, mentre suona il pianoforte.

Nel 1919 torna a Venezia, mantenendo sempre rapporti con l’ambiente della Versilia, e viene ammessa alla Biennale Internazionale di Venezia dl 1920.

Sino al 1942 partecipa regolarmente alle varie Biennali cittadine e si afferma come artista di rilievo, anche perché il re Vittorio Emanuele II compra una sua opera, La fenice in guerra.

Il suo interesse artistico si concentra sulla figura umana. Dipinge molti ritratti femminili, di donne della borghesia veneziana, molto richiesti. Vari sono anche gli autoritratti, con cui sembra fare i conti con il tempo che passa.

Nel secondo dopoguerra diventa terziaria francescana e i suoi temi diventano soggetti sacri, commissionati da enti cattolici. Partecipa alle prime internazionali di Arte Sacra.

Muore a Venezia nel 1975.

Nel 2008 presso il Salone di Campo San Luca della Cassa di Risparmio di Venezia, viene realizzata una personale a lei dedicata: Lina Rosso. Ritratti e autoritratti. Della mostra è stato pubblicato un catalogo molto interessante, scaricabile in formato pdf.

Di questa artista si ricorda la facilità con cui, con pochi tratti a matita, riusciva a far emergere una figura, percependone emozioni e sentimenti. I suoi ritratti si caratterizzano per un velo di malinconia.

Arte al femminile (558)

La guerra uccide anche l’arte…

Heba Zagout è nata nel 1984 nel campo profughi di Al Burejj a Gaza.

Molto importanti nella sua formazione le storie che sentiva dagli anziani del villaggio. Sin dalla giovane età sviluppa grande amore per l’arte.

Nei suoi dipinti racconta la storia della sua famiglia, dei palestinesi espulsi con forza dal villaggio di Isdud (ora città israeliana Ashdod) e costretti a cercare rifugio nella striscia di Gaza.

Nel 2003 consegue il diploma di graphic design. Nel 2007 si laurea all’Università Al-Aqsa di Gaza, specializzandosi in Belle Arti.

Diventa poi insegnante in una scuola elementare. Dipinge, mantenendo contatti con amanti dell’arte di tutto il mondo. La vendita dei quadri le permette di pagare le bollette e sostenere la numerosa famiglia.

Partecipa a molte mostre e nel 2021 ha una personale.

La sua vita si conclude tragicamente, quando un attacco aereo israeliano prende di mira la sua casa e lei muore con due dei suoi quattro figli: è il 13 ottobre 2023.

Ha utilizzato l’arte come liberazione emotiva, oltre che per documentare la tradizione palestinese.

Whitman-Abdelkarim, medico rappresentante di un’Associazione per la Difesa dei Diritti Umani, ha detto: “Heba aveva un talento su un milione. . . Ha dedicato la sua vita ai suoi figli e ai suoi studenti e ha trascorso ogni momento di veglia aiutandoli a usare l’arte per affrontare la vita estremamente dura a Gaza”.  

Sulla tela ha fissato con colori brillanti le immagini di Gerusalemme e di altre città palestinesi, che non poteva visitare, in quanto l’assedio imposto da Israele nel 2007 impedisce a tutti i palestinesi della striscia di uscire, anche solo per curarsi, per studiare o partecipare a mostre e conferenze.

Tra le mura, le cupole e le case a volte si scorgono fiori, altre volte colombe. Immagina luoghi di pace e bellezza.

Il 19 settembre ha postato sul suo profilo facebook un suo quadro del 2020 dal titolo “No to racism” che ritrae una donna nera dallo sguardo triste, che stringe tra le mani una piccola colomba bianca. Ha accompagnato il post con questo messaggio: “Cerchiamo sempre di avere una vita sicura. Possiamo trovare la nostra sicurezza nell’amore e non smetteremo mai di cercarla”.

Arte al femminile (544)

Luchita Hurtado è stata un’altra amica di Frida Khalo, nonché artista notevole.

Nel 2019 la rivista Time l’ha indicata come una delle 100 persone più influenti nel panorama artistico. In realtà, pur avendo dedicato 80 anni all’arte, ha avuto riconoscimenti solo nell’ultima parte della sua vita.

Nasce nel 1920 a Maiqueta, in Venezuela, una città costiera a nord di Caracas.

La madre si trasferisce con due figlie a New York, dove lavora come sarta. Luchita la raggiunge quando ha 8 anni, mentre il padre rimane in Venezuela.

Luchita dimostra grande attitudine per l’arte e studia alla Washington Irving School, poi alla Art Students League.

Si offre come volontaria a La Prensa , un giornale spagnolo.

A 18 anni sposa il giornalista cileno Daniel de Solar, molto più anziano di lei, e ha due figli.

Su invito di Rafael Trujillo, dittatore della repubblica Dominicana, i coniugi si trasferiscono a Santo Domingo, per avviare un giornale.

La coppia torna poi a New York, dove frequenta artisti e giornalisti sudamericani.

Il marito abbandona lei e i figli, mentre il secondo è ancora piccolo. Per mantenere la famiglia Luchita lavora come vetrinista per i grandi magazzini.

Nel 1942 divorzia e in seguito sposa Wolfang Paalen, artista e collezionista. Questi appartiene a un gruppo di artisti astratti dalla mentalità un po’ mistica.

I due si stabiliscono a Città del Messico ed entrano a far parte di una comunità artistica molto unita, che comprende muralisti messicani, fotografi americani e surrealisti europei fuggiti dalla seconda guerra mondiale. La coppia vive nello stesso quartiere di Frida Khalo e Diego Rivera.

Nel 1944 Luchita realizza vetrine e murales, lavora come illustratrice.

Nel 1946 gira il Messico con il marito, scattando molte fotografie, che verranno poi pubblicate.

Le muore il figlio Pablo, di 5 anni, il che la sconvolge. Il matrimonio comincia a sgretolarsi.

Alla ricerca di un cambiamento di ambiente, la coppia si trasferisce a Mill Valley, in California, nel 1949. Anche il secondo matrimonio finisce.

Nel 1951 va ad abitare a Los Angeles con il collega Lee Mullican, che poi sposerà e da cui avrà i figli Matt e John.

Negli anni ’70 fonda il gruppo femminista Los Angeles Council of Women Artists.

La sua arte è raramente esposta sino agli anni ’70, quando un critico d’arte scopre il suo vasto archivio di dipinti e disegni. 

Espone e viene conosciuta a livello internazionale dal 2015, ospitata in mostre e gallerie americane ed europee.

Lavorando con grafite, acquarello, inchiostro e colori acrilici Luchita rappresenta corpi e figure che sembrano totem, che si fondono con paesaggi o interni.

Si trasferisce a Santa Monica, ma si reca spesso nella seconda casa che ha a Taos, in Messico.

Le sue fonti di ispirazione sono pitture rupestri, tradizioni popolari, figure della tradizione sudamericana.

Muore a 99 anni a Santa Monica, in California.

Luchita è rimasta indipendente nella sua ricerca artistica, nonostante sia stata spesso associata al movimento surrealista e ai muralisti messicani. I suoi dipinti e i suoi disegni vogliono rappresentare il collegamento tra tutti gli esseri viventi.

Arte al femminile (532)

La visita alla mostra dedicata a Frida Khalo (v.n.531 e n.25), ha risvegliato in me il desiderio di approfondire la conoscenza della pittura messicana, delle artiste contemporanee di questa stupenda pittrice.

Maria del Carmen Mondragon è stata ai suoi tempi una specie di leggenda, per la sua straordinaria bellezza, l’intelligenza, l’originalità e lo spirito libero.

Quinta degli 8 figli di un ricco generale messicano, Manuel Mondragòn, nasce nel 1893 a Tacubaya, quartiere di Città del Messico.

La mamma le insegna pianoforte e a scrivere fin dalla tenera età.

Quando Maria ha 4 anni, la famiglia si trasferisce a Parigi, per l’attività del padre, e vi rimane per otto anni.

Dimostra intelligenza viva e precoce: sin da ragazzina scrive poesie e racconti. Studia danza classica, pittura, letteratura e teatro.

Figlia amatissima dal padre, non ne tollera l’ambigua rigidità, così come mal sopporta il bigottismo della madre e il suo vittimismo.

La famiglia si trova in Spagna nel 1905, dove conosce giovanissima il cadetto Manuel Rodriguez Lozano, pittore messicano, che sposa nel 1913, per sfuggire alle maglie familiari.

Con lui torna a Parigi.

In questa città culturalmente e artisticamente molto vivace conosce diversi artisti, come Diego Rivera, Henri Matisse e Pablo Picasso, per citarne alcuni. Pensa che la scrittura sia la sua vera arte e si sperimenta in essa, cambiando stili e soggetti.

Durante la prima guerra mondiale si rifugia a San Sebastiàn, in Spagna, e comincia a dipingere.

Qui ha un figlio, morto in culla in circostanze misteriose, per cui nasce il sospetto che sia stata la stessa madre a ucciderlo.

Finita la guerra, Maria torna in Messico con il marito, da cui si separa poco dopo.

S’ iscrive all’Accademia San Carlos, per studiare arte, in un momento in cui il Messico vive un periodo culturalmente felice. Sono gli anni della rivoluzione di Zapata e Pancho Villa, nei quali artisti e intellettuali cercano di sbloccare il paese in nome del popolo, dei principi di libertà e giustizia sociale.

Nel 1922 entra nell’unione artistica Obreros Técnicos, Pintores, Escultores y Similares, fondata da Diego Rivera. Oltre a dipingere, posa come modella. Ha un fascino particolare, con occhi dal colore cangiante, verdi, con sfumature che variano secondo la luce. Posa per Rosario Cabrera e per un murale di Rivera, in cui rappresenta Erato, la musa della poesia erotica.

Diventa la modella di fotografi famosi, come Edward Weston e Antonio Garduno, che la ritraggono in foto di nudo estremamente audaci per il tempo.

Si innamora del pittore Gerardo Murillo (in arte Dr Atl), incontrato nel 1921 a una festa: lei ha 29 anni e lui 47.

Nasce una relazione intensa e passionale, durata cinque anni, fatta di tradimenti e scenate di gelosia.

Il pittore la ribattezza come Nahui Olin, che in atzeco significa “il movimento del cosmo”, nome che diventa quello che Maria usa poi ufficialmente.

L’unione con Murillo la spinge a dipingere con maggiore entusiasmo, usando colori vivaci, pennellate decise.

Come Frida Khalo, che conosce e frequenta, anche lei ha una formazione variegata e aperta: legge molto, segue tutte le moderne teorie, è politicamente impegnata.

Dopo una breve esperienza a Hollywood, dove si rifiuta di essere usata solo per l’aspetto fisico, torna in Messico.

Dopo aver avuto e abbandonato diversi amanti, sul finire degli anni Venti si innamora del capitano di nave Eugenio Agacino, che raffigura in molti dipinti.

Con lui si trasferisce a Veracruz. Insieme viaggiano, vanno a Cuba, in Spagna e in Francia, dove Maria partecipa a una mostra e tiene concerti di pianoforte.

Quando questi muore, Maria si ritira dalla vita pubblica, dedicandosi all’insegnamento e alla scrittura.

Di lei si perdono le tracce. Passa gli ultimi trent’anni in isolamento volontario, in povertà, con l’unica compagnia dei suoi gatti.

A 84 anni, con gravi problemi di salute, chiede di essere portata nella casa in cui ha vissuto da bambina, in uno dei quartieri storici di Città del Messico, dove muore nel 1978.

“Ripensando alla mia vita, ho la sensazione di essere stata sabbia trasportata dal vento, anche se in ogni situazione mi sono illusa di cavalcare il destino, di imprimergli la direzione, di poterlo piegare alla mia volontà”.

Oltre a realizzare molteplici autoritratti, con i caratteristici enormi occhi verdi, Maria ha riprodotto immagini tipiche del Messico, come i parchi, i mercati, le tradizioni. Altre opere dimostrano la sua esplorazione della sessualità.

Arte al femminile (506)

Agnes Borjesson era amica di Sofie Ribbing (v.n.505): nel mondo artistico di fine ‘800 vi erano scambi di esperienze e movimenti, che denotano grande vivacità artistica.

Agnes asce a Uppsala (Svezia) nel 1827, figlia di un pastore protestante e drammaturgo. La madre viene da una nobile famiglia.

Nel 1849 si iscrive alla Reale Accademia delle Belle Arti di Stoccolma, insieme ad Amalia Lindegren, Jeanette Moller e Lea Fredrika Ahlborn, uniche donne autorizzate a studiare presso questo istituto.

Dal 1852 al 1853 segue i corsi del pittore Constantin Hansen. In seguito si perfeziona a Stoccolma con Boklund, specialista di ritratti e ricostruzioni storiche.

Dal 1857 si accosta alla Scuola di pittura di Düsseldorf. Si stabilisce per un periodo a Parigi e infine giunge in Italia. Nel 1870 la troviamo a Roma con l’amica Sofie Ribbing (v.n.505).

Decide di stabilirsi in Italia, inviando regolarmente suoi lavori in Svezia, per partecipare alle esposizioni organizzate dalla Reale Accademia di Belle Arti, di cui diventa membro nel 1872.

In Italia in questo periodo si mescolano diverse correnti pittoriche che promuovono la riscoperta del paesaggio naturale. I pittori si recano nella campagna romana, vicini al mare, sulle colline… per dipingere dal vivo scene naturali. Agnes è affascinata dalla luminosità dei paesaggi italiani: sceglie tinte delicate, pennelli grossi e morbidi che lasciano ampi strati di colore. Viene attirata dalla corrente del Divisionismo, caratterizzata dalla separazione dei colori in punti e linee interagenti tra loro. I divisionisti cercano di ottenere la massima luminosità accostando colori puri sulla tela, senza mescolarli sulla tavolozza, in modo che sia l’osservatore a fonderli nel suo sguardo. L’uso di colori divisi, porta al termine divisionismo per questa tendenza artistica.

Agnes fa alcuni viaggi in Spagna e Marocco.

Visita Venezia, la Sicilia e infine si stabilisce ad Alassio, in Liguria, dove muore nel 1900.

Arte al femminile (502)

Tornando alla pittura…

Anna Brondum Ancher è considerata una delle più grandi artiste danesi.

Nasce nel 1859 a Skagen, in Danimarca, dove il padre possiede Il Brondums Hotel.

Dimostra talento artistico sin da piccola e ha la possibilità di sviluppare il proprio gusto per le arti visive, vedendo al lavoro gli artisti che si incontrano regolarmente nel suo paese e alloggiano nell’albergo del padre. Un piccolo gruppo di pittori ha infatti creato la corrente artistica dei pittori di Skagen , che, facendo riferimento alla scuola di Barbizon, elaborano la pittura en plein air e l’osservazione della natura. Presso la località di Skagen si scontrano il mar Baltico e il mare del Nord, per cui un tema ricorrente nella pittura è il gioco delle onde che si accavallano e i riflessi della luce sull’acqua. La chiarezza della luce del Nord pervade anche le rappresentazioni degli interni e le scene con bambini sulla spiaggia e pescatori.

Anna studia disegno in una scuola di Copenaghen, appassionandosi da autodidatta alla variazione dei colori nella luce naturale.

Va poi a Parigi per proseguire la propria formazione privatamente presso alcuni maestri.

Nel 1880 sposa il pittore Michael Ancher e ha la figlia Helga. I due diventano parte degli Skagen Painters.

Anna continua a dedicarsi alla pittura in modo professionale, contro i pregiudizi dell’epoca, che la vorrebbero dedita solo alla famiglia. I due pittori acquistano nel 1884 una casa che poi ampliano, creando un grande studio.

I soggetti preferiti sono interni, scene di vita quotidiana, abitanti del suo paese, soprattutto donne, bambini e pescatori. Dipinge molte donne, un tipico suo motivo è una singola figura femminile in un ambiente interno- una camera da letto o un soggiorno- tranquillamente occupata in un compito particolare o semplicemente pensierosa. La concentrazione non è turbata da alcun elemento esterno, sono quasi concentrate in un proprio mondo interiore: guardano in basso, hanno gli occhi chiusi o sono ritratte di spalle.

Sue opere sono presenti all’Esposizione Internazionale di Chicago del 1893. Ottiene vari riconoscimenti ufficiali.

Muore nel 1935 e la figlia crea un museo a lei dedicato nella casa in cui è vissuta.