Arte al femminile (67)

Anche nei periodi peggiori della storia, l’arte si manifesta in tutta la sua bellezza. Nella seconda metà del Seicento il Ducato di Milano è sotto la dominazione spagnola e vive un periodo di decadenza economica, mentre la popolazione si sta faticosamente riprendendo dalla terribile epidemia di peste del 1630. La classe nobiliare gode di grandi privilegi, così come gli ambasciatori e i consoli stranieri. Il governo spagnolo tratta i suoi sudditi con imposte e gabelle eccessive. Le milizie spagnole si preoccupano solamente di reprimere i malcontenti invece che la delinquenza. Nonostante tutto, grazie anche all’opera dei cardinali Borromeo (v. l’istituzione dell’Accademia Ambrosiana), Milano e le altre città lombarde vivono una vivace stagione artistica, sviluppando il cosiddetto barocco lombardo.

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Margherita Caffi opera nella seconda metà del Seicento in ambiente lombardo. Nasce a Cremona (?) nel 1647, figlia del pittore di origine francese Vincenzo Volò e di Veronica. Secondo altri nasce a Vicenza, dato che il suo appellativo era “Vicentina” o “Vicenzina”. Il padre è pittore di fiori ed è probabilmente il suo primo maestro in questo genere. Risulta ammessa all’Accademia di San Luca a Milano nel 1697, insieme alla sorella Francesca e a Lucrezia Ferraria. Sposa in giovane età il pittore cremonese Ludovico Caffi, presso il quale completa la propria formazione artistica. Il nome di Margherita, del marito e di alcuni figli (due sono nati a Cremona, almeno altri due a Piacenza) si trovano menzionati negli “stati d’anime” parrocchiali di Piacenza dal 1670 al 1672 e poi dal 1677 al 1679; nella stessa città Margherita abita almeno fino al 1682, come risulta dagli Stati d’anime della parrocchia di S. Teresa, ove ella è ricordata come colà residente assieme alla famiglia nel 1680, nel 1681 e nel 1682.

Diventata esperta in natura morta, diventa pittrice famosa ai suoi tempi per la “rara di lei abilità in dipingere fiori sopra qualsivoglia stoffa di seta, e sopra tele, e carte: e segnatamente sulle pergamene, le quali assai ricercate le erano, e a caro prezzo pagate”. Ha parecchi importanti committenti: gli arciduchi del Tirolo, i re di Spagna, i granduchi di Toscana, Vittoria della Rovere. Trascorre gli ultimi anni a Milano, dando vita ad una fiorente scuola locale di pittori di nature morte. Muore probabilmente nel 1710.

Nonostante che già lo Zaist (pittore e storico dell’arte del ‘700) lodasse la Caffi e ricordasse che i suoi quadri erano assai ricercati e pagati a caro prezzo, il suo nome fu presto dimenticato e le sue opere confuse con quelle di molti pittori di “nature morte”. Solo recentemente la sua opera è stata in parte rintracciata e comincia a essere rivalutata, ma un profilo artistico è ancora da farsi. Vari suoi quadri si trovano tuttora in raccolte private di Piacenza, Cremona, Milano e Brescia. Tre sono presso la Pinacoteca di Cremona, altre nel palazzo Rota Pisaroni di Piacenza. Un cospicuo gruppo figurava già nell’inventario della villa di Poggio a Caiano nel 1697; altri sono citati alla stessa data nella raccolta del conte Carrara di Bergamo. G. B. Carboni (scultore e critico d’arte) nel 1760 la cita nelle collezioni Gaifami e Barbisoni a Brescia. Altre due sue tele con fiori, firmate “M[argarita]. Vincencina f[ecit] 1697″, sono nel palazzo reale di S. Ildefonso della Granja in Spagna.

Ispirata dai dipinti nordici, soprattutto fiamminghi, Margherita si distingue per la libertà dei soggetti, la pennellata libera e vivace. Anticipatrice di briose fantasie floreali, che verranno poi sviluppate in ambito veneziano, le sue composizioni hanno pennellate dense e sfrangiate, con particolare cura per gli effetti di trasparenza dei petali e i riflessi metallici dei vasi. Le esuberanti composizioni hanno fiori prevalentemente di colore azzurro, rosso vivo e bianco, collocati quasi sempre su uno sfondo scuro. Tulipani, peonie, passiflore e garofani sono i fiori preferiti.