Helena Janeczek, scrittrice di origini ebreo-polacche (da più di trent’anni in Italia), con La ragazza con la Leica, incentrato sulla vita della fotografa Gerda Taro, ha vinto la 72° edizione del Premio Strega (2018).
In un periodo in cui purtroppo molti reporter di guerra rimangono uccisi per fare il loro lavoro, ricordo questa fotografa morta a 26 anni al fronte. Fa parte di una generazione alle prese con crisi economica, avvento del nazismo, guerra, persecuzione sia degli ebrei, che di ogni diverso e di chi lottava per un ideale socialista.
Gerda Taro (in realtà Gerta Pohorylle) nasce a Stoccarda nel 1910, in una famiglia di ebrei polacchi.
Bambina vivace e piena di curiosità, impara varie lingue, studia con interesse e si distingue nel gioco del tennis.
Entra giovanissima nel movimento socialista.
Con l’avvento del Nazismo finisce in carcere in quanto attivista del Partito Comunista Tedesco, per aver distribuito volantini antinazisti a Lipsia. Essendo ebrea si trova in condizioni di grave pericolo. Interrogata strenuamente, non parla e non fa nomi dei compagni.
Diventa l’idolo delle sue compagne di cella: canta canzoni americane e distribuisce le sigarette che il padre le procura di nascosto.
Liberata grazie al suo passaporto polacco, lascia la Germania e fugge a Parigi.
Intanto i suoi genitori si rifugiano in Palestina e i fratelli in Inghilterra.
A Parigi, grazie alle sue conoscenze linguistiche, trova lavoro come segretaria.
Tramite la coinquilina Ruth conosce Endre Friedman, anche lui ebreo, comunista, antifascista, sfuggito al carcere in Ungheria. Tra i due nasce un legame sentimentale ed Endre la inizia all’arte fotografica. Entrambi desiderano uscire dalla condizione di esiliati politici: Gerda è innovativa e intraprendente, mentre Endre è più restio a buttarsi nelle situazioni.
I due decidono di creare il personaggio Robert Capa, fantomatico fotografo americano, nome con il quale firmano inizialmente insieme le opere fotografiche che producono. Con questo espediente si fanno conoscere e hanno un’attività lavorativa intensa. Solo più tardi questo sinonimo rimarrà appannaggio del solo Endre.
Entrambi decidono di recarsi in Spagna, per documentare la guerra civile scoppiata nel 1936, il che cambierà anche il corso della storia della fotografia. Fanno proprio uno stile temerario ed estremo, per cui la foto, secondo loro, se non riesce bene, è perché non sono abbastanza vicini al soggetto.
Coraggiosa e intraprendente, Gerda si fa apprezzare per dettagliati servizi fotografici.
Firma un contratto con il giornale parigino Ce soir e si stabilisce nella Casa de la Alianza di Madrid.
Il primo grande reportage a sola firma di Gerda è pubblicato su Regards il15 aprile 1937. Miliziani, truppe, pattuglie, donne armate… L’attenzione di Gerda si concentra sul fronte di guerra, ma anche sulla popolazione civile. Consapevole del potere della fotografia, con quelle coraggiose immagini mostra il lato doloroso del conflitto. L’obiettivo finale è quello di porre fine alla politica non interventista sostenuta dalle potenze occidentali sul conflitto spagnolo.
Nel corso della battaglia di Brunete, a 24 km da Madrid, si distingue per il coraggio con cui scatta molte fotografie a rischio della propria vita.
Realizza uno dei più importanti lavori di documentazione di guerra durante questa battaglia, che è caratterizzata da un incredibile e violento ribaltamento di fronte, a favore dell’esercito franchista. Si mantiene sempre in prima linea per immortalare i tremendi bombardamenti in atto. Il reportage viene pubblicato sulla rivista Regards, accompagnato da un articolo che accende il mito di Gerda: coraggiosa donna al fronte, antifascista e pasionaria, nonché bellissima.
Tornando dal fronte aggrappata al predellino di un camion carico di feriti, nel corso di un mitragliamento da parte di aeroplani tedeschi, cade dal mezzo cui è aggrappata e finisce sotto i cingoli di un carro armato.
Trasportata d’urgenza in un ospedale di Madrid, viene operata senza anestetici e senza antibiotici, allora irreperibili, dai migliori medici delle Brigate Internazionali, senza speranza.
Gli ultimi pensieri sono per le sue macchine fotografiche, chiedendo se si siano rotte.
Muore all’alba del 1937.
Il suo funerale a Parigi avviene con ben 200.000 persone e un tripudio di bandiere rosse, con un Robert Capa di 23 anni distrutto dal dolore. Il monumento funebre è scolpito da Arturo Giacometti, mentre Pablo Neruda e Louis Aragon leggono un elogio funebre.
La sua tomba viene violata dai nazi-fascisti, che la considerano un simbolo capace di motivare la Resistenza, anche da morta.
Solo dal 1990 rinasce l’interesse per questa donna straordinaria ed eccellente fotografa.
Gerda ha avuto un approccio molto personale alla fotografia, quasi neorealista, con orizzonti molto bassi, angolature particolari, si parla “del punto di vista del topo e del passero”, per le modalità di sguardo che usa. Vuole muovere le coscienze con il suo lavoro, evidenziando il dolore e lo strazio che accomuna le vittime nelle guerre. Si sofferma molto sulle macerie, per far capire alle persone che lì dentro c’era vita, una civiltà devastata.
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