Arte al femminile (571)

Helena Janeczek, scrittrice di origini ebreo-polacche (da più di trent’anni in Italia), con La ragazza con la Leica, incentrato sulla vita della fotografa Gerda Taro, ha vinto la 72° edizione del Premio Strega (2018).

In un periodo in cui purtroppo molti reporter di guerra rimangono uccisi per fare il loro lavoro, ricordo questa fotografa morta a 26 anni al fronte. Fa parte di una generazione alle prese con crisi economica, avvento del nazismo, guerra, persecuzione sia degli ebrei, che di ogni diverso e di chi lottava per un ideale socialista.

Gerda Taro (in realtà Gerta Pohorylle) nasce a Stoccarda nel 1910, in una famiglia di ebrei polacchi.

Bambina vivace e piena di curiosità, impara varie lingue, studia con interesse e si distingue nel gioco del tennis.

Entra giovanissima nel movimento socialista.

Con l’avvento del Nazismo finisce in carcere in quanto attivista del Partito Comunista Tedesco, per aver distribuito volantini antinazisti a Lipsia. Essendo ebrea si trova in condizioni di grave pericolo. Interrogata strenuamente, non parla e non fa nomi dei compagni.

Diventa l’idolo delle sue compagne di cella: canta canzoni americane e distribuisce le sigarette che il padre le procura di nascosto.

Liberata grazie al suo passaporto polacco, lascia la Germania e fugge a Parigi.

Intanto i suoi genitori si rifugiano in Palestina e i fratelli in Inghilterra.

A Parigi, grazie alle sue conoscenze linguistiche, trova lavoro come segretaria.

Tramite la coinquilina Ruth conosce Endre Friedman, anche lui ebreo, comunista, antifascista, sfuggito al carcere in Ungheria. Tra i due nasce un legame sentimentale ed Endre la inizia all’arte fotografica. Entrambi desiderano uscire dalla condizione di esiliati politici: Gerda è innovativa e intraprendente, mentre Endre è più restio a buttarsi nelle situazioni.

I due decidono di creare il personaggio Robert Capa, fantomatico fotografo americano, nome con il quale firmano inizialmente insieme le opere fotografiche che producono. Con questo espediente si fanno conoscere e hanno un’attività lavorativa intensa. Solo più tardi questo sinonimo rimarrà appannaggio del solo Endre.

Entrambi decidono di recarsi in Spagna, per documentare la guerra civile scoppiata nel 1936, il che cambierà anche il corso della storia della fotografia. Fanno proprio uno stile temerario ed estremo, per cui la foto, secondo loro, se non riesce bene, è perché non sono abbastanza vicini al soggetto.

Coraggiosa e intraprendente, Gerda si fa apprezzare per dettagliati servizi fotografici.

Firma un contratto con il giornale parigino Ce soir e si stabilisce nella Casa de la Alianza di Madrid.

Il primo grande reportage a sola firma di Gerda è pubblicato su Regards il15 aprile 1937. Miliziani, truppe, pattuglie, donne armate… L’attenzione di Gerda si concentra sul fronte di guerra, ma anche sulla popolazione civile. Consapevole del potere della fotografia, con quelle coraggiose immagini mostra il lato doloroso del conflitto. L’obiettivo finale è quello di porre fine alla politica non interventista sostenuta dalle potenze occidentali sul conflitto spagnolo.

Nel corso della battaglia di Brunete, a 24 km da Madrid, si distingue per il coraggio con cui scatta molte fotografie a rischio della propria vita.

Realizza uno dei più importanti lavori di documentazione di guerra durante questa battaglia, che è caratterizzata da un incredibile e violento ribaltamento di fronte, a favore dell’esercito franchista. Si mantiene sempre in prima linea per immortalare i tremendi bombardamenti in atto. Il reportage viene pubblicato sulla rivista Regards, accompagnato da un articolo che accende il mito di Gerda: coraggiosa donna al fronte, antifascista e pasionaria, nonché bellissima.

Tornando dal fronte aggrappata al predellino di un camion carico di feriti, nel corso di un mitragliamento da parte di aeroplani tedeschi, cade dal mezzo cui è aggrappata e finisce sotto i cingoli di un carro armato.

Trasportata d’urgenza in un ospedale di Madrid, viene operata senza anestetici e senza antibiotici, allora irreperibili, dai migliori medici delle Brigate Internazionali, senza speranza.

Gli ultimi pensieri sono per le sue macchine fotografiche, chiedendo se si siano rotte.

Muore all’alba del 1937.

Il suo funerale a Parigi avviene con ben 200.000 persone e un tripudio di bandiere rosse, con un Robert Capa di 23 anni distrutto dal dolore. Il monumento funebre è scolpito da Arturo Giacometti, mentre Pablo Neruda e Louis Aragon leggono un elogio funebre.

La sua tomba viene violata dai nazi-fascisti, che la considerano un simbolo capace di motivare la Resistenza, anche da morta.

Solo dal 1990 rinasce l’interesse per questa donna straordinaria ed eccellente fotografa.

Gerda ha avuto un approccio molto personale alla fotografia, quasi neorealista, con orizzonti molto bassi, angolature particolari, si parla “del punto di vista del topo e del passero”, per le modalità di sguardo che usa. Vuole muovere le coscienze con il suo lavoro, evidenziando il dolore e lo strazio che accomuna le vittime nelle guerre. Si sofferma molto sulle macerie, per far capire alle persone che lì dentro c’era vita, una civiltà devastata.

SPAIN. A photo of Gerda TARO on the Spanish front at Brunete, some 30 kilometers from Madrid in 1936, where she was later killed on, the 25th July 1937.

Arte al femminile (569)

Grazie al prezioso volume “Le artiste e il movimento surrealista” di Whitney Chadwick (storica dell’arte americana), continuo a scoprire artiste che nel Surrealismo hanno cercato una libertà espressiva, che altri movimenti artistici non garantivano.

Cambia l’impostazione generale, per cui è lo spettatore a dover riflettere sul quadro, che è spesso enigmatico, legato all’inconscio o al sogno.

Come ho già altre volte osservato, il Surrealismo ha avuto un successo notevole, sia in Europa che in America.

Elsa Thoresen nasce nel Minnesota (USA) nel 1906.

I genitori sono emigrati norvegesi: il padre, Thore, è medico.

Poche le informazioni biografiche che la riguardano.

Studia arte alla Scuola di arti e mestieri di Oslo dal 1924 al 1927, in seguito all’Accademia d’arte, sempre nella stessa città, per poi spostarsi a Bruxelles, in Belgio, sino al 1929 per frequentare l’Accademia di Belle Arti.

Effettua numerosi viaggi di studio In Scandinavia, Paesi Bassi, Francia e Stati Uniti.

Alla fine degli anni ’30 appartiene a una piccola cerchia di artisti surrealisti in Danimarca, che inizialmente incontrano resistenza, quando si presentano a mostre collettive.

Nel 1935 sposa l’artista danese Vilhelm Bjerke Petersen, storico dell’arte e critico, esponente di un movimento surrealista “impegnato” socialmente.  Questi era stato studente nella scuola Bauhaus di Dessau (Germania) dal 1930 al 1931, ricevendo lezioni da Wassily Kandinsky e Paul Klee. Si specializza nelle grandi decorazioni murali di asili nido, mense aziendali e condomini, perché l’arte raggiunga spazi dove le persone si muovono quotidianamente.

I due artisti, che collaborano attivamente, condividendo gli stessi ideali artistici, vivono in Danimarca dal 1935 al 1944, quando devono rifugiarsi in Svezia con i figli, per le conseguenze della seconda guerra mondiale.

Qui vengono aiutati dagli amici del gruppo di Halmstad e proseguono l’attività artistica.

Il gruppo di Halmstad (nome della località di residenza) è formato da sei artisti impegnati a sostenere movimenti artistici d’avanguardia, solidali con esponenti di altri paesi.

Elsa e il marito, tornati negli Stati Uniti nel secondo dopoguerra, si separano nel 1953.

Elsa continua a dipingere, con uno stile in cui unisce nel dipinto figure riconoscibili ed elementi simbolici.

Muore nel 1994 negli Stati Uniti.

Sue opere si trovano nel museo d’arte di Tonder, in Danimarca.

Arte al femminile (566)

Ricordando Alice Rahon (v.n.565), si è parlato del viaggio fatto da lei e dal marito per visitare siti precolombiani nel Canada, in Alaska e in Messico. Compagna di questa esperienza è stata una valente fotografa.

Eva Sulzer nasce a Winterthur, in Svizzera, nel 1902.

Pochi i dati biografici che la riguardano.

Si dedica alla pittura e si appassiona alla fotografia, recandosi in Francia per trovare un ambiente a lei favorevole.

Conosce il pittore Wolfgang Paalen nel 1931, con cui stringe una forte amicizia. Con lui va a Parigi e in seguito lo segue quando emigra in America.

Nel 1939 con Paalen e Alice Rahon compie un lungo viaggio attraverso l’America settentrionale e centrale, scattando pregevoli fotografie.

Secondo alcune indiscrezioni del tempo Paalen, Alice Rahon ed Eva Sulzer formano un mènage à trois per circa nove anni. Il poliamore e la bisessualità sono accettati e protetti nell’ambiente di allora.

Eva colleziona manufatti precolombiani e opere d’arte indigene, che vengono fotografati e pubblicati in riviste specializzate.

Negli anni ’40 la troviamo a Città del Messico, nel gruppo degli artisti surrealisti qui emigrati, in seguito allo scoppio della seconda guerra mondiale.

Pubblica molte fotografie, oltre che scrivere articoli, nella rivista surrealista Dyn, curata da Paalen, di cui Eva è il principale finanziatore.

Questo periodico viene pubblicato a Città del Messico e distribuito a New York, Parigi e Londra. Edito in inglese e francese, tratta di arte, presenta nuovi artisti e teorizza un’idea di pittura aperta a tutte le possibilità, anche alle nuove conoscenze nel campo della fisica e della filosofia.

Realizza film e documentari, raggiungendo una certa fama.

Gli ultimi anni sono caratterizzati da crescenti problemi di salute, dovuti soprattutto al disturbo bipolare che l’accompagna per tutta la vita, per cui è soggetta a forti crisi depressive.

Amici e mecenati le comprano una vecchia casa con uno studio adeguato nella cittadina di Tepoztlàn a Morelos (Messico centro-meridionale), dove può stare più tranquilla.

Vive e lavora come fotografa e regista sino alla sua morte nel 1990 a 87 anni a Città del Messico.

Le sue foto rimangono importante testimonianza di manufatti antichi dell’arte precolombiana.

Arte al femminile (565)

Mi rituffo nell’arte…

Alice Rahon nasce Alice Marie Ivonne Philippot a Chenecey-Buillon (in Borgogna- Francia centro-orientale) nel 1904.

Da bambina passa le vacanze estive e natalizie nella casa dei nonni paterni a Roscoff, in Bretagna, posto che le è particolarmente caro.

Purtroppo verso i 3 anni si frattura l’anca destra, il che la costringe a letto per molto tempo, isolandola dagli altri bambini. A 12 anni cade di nuovo e si rompe una gamba, per cui per tutta la vita dovrà sopportare dolori lancinanti e assumere un’andatura claudicante.

Queste esperienze traumatiche l’inducono a isolarsi in un mondo immaginario, tenendosi occupata con la lettura, la scrittura e il disegno.

Altra esperienza dolorosa è il fatto di rimanere incinta molto giovane (il nome del padre non verrà mai rivelato) e perdere il bambino, morto dopo la nascita per difetti congeniti.

A un certo punto, poco più che ventenne, si trasferisce a Parigi, dove cerca lavoro. Inizialmente crea cappelli per la stilista Elsa Schiaparelli. Conosce il fotografo Man Ray, cui fa da modella e stringe amicizia con il pittore Joan Mirò.

Nel 1931 incontra l’artista austriaco Wolfgang Paalen, che sposa nel 1934. Tramite il marito entra in contatto con il movimento surrealista, di cui diventerà poi membro attivo.

Scrive raccolte di poesie, pubblicate con illustrazioni di artisti importanti.

Nel 1933 visita le grotte di Altamira, in Spagna, con le sue pitture rupestri policrome, che la colpiscono molto e ricorderà nel successivo sviluppo artistico.

Ha una relazione con Pablo Picasso, che lascia in quanto il marito minaccia per questo di suicidarsi.

I due coniugi pertanto, per superare la crisi, iniziano a viaggiare: Alaska, Canada, Stati Uniti, Libano e Messico, studiando l’arte indigena.

Nel 1936 Alice è in India e rimane fortemente colpita da questa esperienza.

Su invito di Frida Kahlo (conosciuta a Parigi) giunge a Città del Messico nel 1939. Nasce una profonda amicizia con Frida, con cui condivide la frustrazione di un corpo fragile e l’impossibilità di avere figli. Oltre a scrivere, inizia a dipingere, sotto la guida del marito.

Lo scoppio della seconda guerra mondiale spinge Alice e Wolfgang a stabilirsi in Messico, dove Alice assume la cittadinanza nel 1946.

Nel 1947 divorzia dal marito e assume il cognome Rahon, derivato dalla nonna bretone. Dopo alcune relazioni di breve durata, sposa il canadese Edward Fitzgerald, scenografo. Con lui s’interessa di teatro e cinema, ma divorzia dopo alcuni anni.

Riprende un’intensa vita sociale e artistica, viaggiando frequentemente, sia per seguire le esposizioni delle sue opere negli Stati Uniti e in Messico, essendo diventata famosa, sia per approfondire la conoscenza del Messico.

Trascorre lunghi periodi ad Acapulco, diventando un’esperta nuotatrice e trovando in acqua sollievo ai suoi dolori.

Nel 1967 cade di nuovo, all’inaugurazione di una sua mostra a Città del Messico. Si danneggia la spina dorsale, ma Alice rifiuta qualsiasi cura medica, dicendo di essere stata torturata abbastanza dai medici.

Si isola nella sua casa di San Angel (Città del Messico) e negli ultimi tempi, non essendo autonoma, viene ricoverata in una casa di riposo. Qui rifiuta il cibo e si lascia morire nel 1987.

Artista prolifica soprattutto negli anni ’50 e ’60, apporta alcune innovazioni nel surrealismo, includendo elementi astratti e nuove tecniche, come l’uso dello sgraffito e della sabbia. Lo sgraffito consiste nell’utilizzo di colori sovrapposti. Una mano di vernice viene lasciata asciugare su una tela o su un foglio di carta. Un’altra mano di colore diverso viene stesa sopra il primo strato. L’artista utilizza quindi una spatola o un bastoncino per tracciare un disegno, lasciando un’immagine nel colore della prima mano di vernice. Ciò può essere ottenuto anche utilizzando pastelli a olio per il primo strato e inchiostro nero per lo strato superiore. 

I suoi temi includono paesaggi, miti, leggende, feste messicane ed elementi della natura. L’acqua appare spesso sia come soggetto che come colore: ha creato una serie di dipinti legati ai fiumi.

Suoi lavori sono inclusi nella collezione dell’Art Institute of Chicago, nel MoMa di New York, per citarne alcuni e in altre istituzioni pubbliche. Negli ultimi dieci anni c’è stata una rinascita di interesse per il suo lavoro.

“Nei primi tempi la pittura era magica; era una chiave per l’invisibile… il valore di un’opera risiedeva nei suoi poteri di evocazione, un potere che il talento da solo non poteva raggiungere” (Alice Rahon)

Arte al femminile (564)

Tornando al SURREALISMO, con la sua capacità di sogno e trasfigurazione della realtà…

Eileen Agar nasce a Buenos Aires (Argentina) nel 1899, da padre industriale scozzese e madre americana, ricca ereditiera.

La sua infanzia la descrive “piena di palloncini, cerchi e cani San Bernardo”.

Nel 1911 la famiglia si trasferisce a Londra.

Frequenta la Heathfield School, dove un’insegnante la incoraggia a coltivare le sue doti artistiche.

Durante la prima guerra mondiale viene mandata a Tudor Hall (collegio privato di Salisbury), poi nel Kent, per tutelarla.

Nel 1919 s’ iscrive alla Byam Shaw School of Art.

Dal 1924 segue corsi di perfezionamento privati.

Nel 1925 sposa, un po’ per sfuggire al controllo familiare, un compagno di corso, Robin Bartlett, con cui viaggia in Spagna e Francia.

Nel 1926 conosce lo scrittore ungherese Joseph Bard, che sposerà poi nel 1940 e con cui trascorrerà il resto della vita.

Nel 1928 è a Parigi, dove entra in contatto con il movimento surrealista e fa amicizia con André Breton e Paul Eluard, padri del movimento.

Entra nel Gruppo surrealista britannico, tanto da contribuire a organizzare con Emmy Bridgwater L’esposizione surrealista internazionale di Londra del 1936.

Nel 1937 è ospite di Picasso e Dora Maar a Muogins, nelle Alpi Marittime, insieme ad altri artisti, in un’esperienza molto arricchente artisticamente.

Espone ad Amsterdam, New York, Parigi e Tokyo, poi si blocca in seguito allo scoppio della seconda guerra mondiale.

Dal 1946 al 1985 ha un periodo di fervente attività e ritrovato entusiasmo, con parecchie esposizioni personali.

Aderisce allo stile chiamato TACHISME, di arte astratta, iniziato in Francia negli anni’40/’50, definito anche arte informale. Questa forma artistica nasce come ribellione verso i regimi nazionalisti, che hanno portato alla guerra, con le loro rappresentazioni ben definite. Si vogliono collegare forme, colori, segni in forme complesse, distribuendo il colore a macchie, seguendo suggestioni irrazionali.

Nel 1990 viene nominata Royal Academician.

Muore a Londra nel 1991.

Oltre che pittrice, Eileen è stata fotografa e scultrice. Particolare l’utilizzo di oggetti trovati casualmente: conchiglie, ossa, detriti marini, tessuti e piume. Viene ricordata anche per esperimenti nel campo del design e della moda. Viene considerata una delle artiste più dinamiche, audaci e prolifiche della sua generazione.

Sue opere si trovano in varie collezioni private e nella Tate Gallery di Londra.

Arte al femminile (533)

Lola Alvarez Bravo fa parte del gruppo di artisti che ruotano intorno alla coppia Frida Khalo-Diego Rivera, molto amica di Frida. È stata la prima fotografa messicana ufficialmente riconosciuta.

Dolores Martinez de Anda (questo il suo nome alla nascita), nasce nel 1906 in una famiglia benestante di Lagos de Moreno (Jalisco), in Messico: il padre è commerciante di mobili e prodotti artistici.

Ha un’infanzia difficile, solitaria e senza affetti, dopo che la madre lascia la famiglia.

Con il padre e il fratello si trasferisce a Città del Messico, dove nel 1916 rimane orfana, perché il padre muore prematuramente di infarto, mentre è in viaggio con lei.

Prima abita con il fratellastro e sua moglie, poi viene affidata a vari istituti religiosi.

Nel 1922 si iscrive alla Escuela Nacional Preparatoria.

Amica dall’infanzia con il fotografo Manuel Alvarez Bravo, lo sposa nel 1925.

Il marito le insegna le tecniche della fotografia e per quasi dieci anni gli fa da assistente.

Con lui ha la possibilità di frequentare il vivace mondo culturale messicano, in questo periodo ricco di stimoli e grandi ideali.

Conosce il fotografo Edward Weston, Tina Modotti, che diventa una sua cara amica, Henri Cartier Bresson, Maria Izquierdo, Diego Rivera e rivede Frida Khalo, già sua compagna alla Escuela Nacional Preparatoria.

Un po’ alla volta Dolores diventa una fotografa esperta, creativa e originale.

Sperimenta la tecnica del fotomontaggio in manifesti pubblicitari e illustrazioni per riviste. La sua fotografia si distingue per sperimentalismo, recupero delle tradizioni e attenzione alla realtà contemporanea.

Racconta e cerca di approfondire i problemi della società messicana: la povertà, il lavoro minorile, la condizione marginale e spesso drammatica delle donne.

S’interessa al movimento del surrealismo, soprattutto per gli ambienti sognanti, inquietanti e misteriosi.

Separatasi dal marito nel 1934, per motivi economici fa della fotografia la sua professione, lavorando per riviste, periodici, agenzie varie, ottenendo il ruolo di fotografa ufficiale dell’Istituto Nazionale di Belle Arti.

Nella ritrattistica femminile mostra partecipazione emotiva, introspezione e capacità di racconto, scegliendo inquadrature particolari.

Ritrae Frida sino alla fine, mettendo in luce la sua natura più intima, quella più meditativa e sofferente.

Gestisce la Galeria de Arte Contemporanea : qui espone le opere di Frida Khalo nel 1953, un anno prima della sua morte.

Quando rappresenta le donne indigene e “campesine” dimostra partecipazione alla loro dolorosa realtà.

Nel 1964 viene insignita del premio José Clemente Orozco, per i suoi contributi alla fotografia e i suoi sforzi per far conoscere la cultura messicana.

Muore nel 1993 a Città del Messico.

Le sue opere sono incluse nelle collezioni permanenti di musei internazionali, come il MoMa di New York.

Arte al femminile (532)

La visita alla mostra dedicata a Frida Khalo (v.n.531 e n.25), ha risvegliato in me il desiderio di approfondire la conoscenza della pittura messicana, delle artiste contemporanee di questa stupenda pittrice.

Maria del Carmen Mondragon è stata ai suoi tempi una specie di leggenda, per la sua straordinaria bellezza, l’intelligenza, l’originalità e lo spirito libero.

Quinta degli 8 figli di un ricco generale messicano, Manuel Mondragòn, nasce nel 1893 a Tacubaya, quartiere di Città del Messico.

La mamma le insegna pianoforte e a scrivere fin dalla tenera età.

Quando Maria ha 4 anni, la famiglia si trasferisce a Parigi, per l’attività del padre, e vi rimane per otto anni.

Dimostra intelligenza viva e precoce: sin da ragazzina scrive poesie e racconti. Studia danza classica, pittura, letteratura e teatro.

Figlia amatissima dal padre, non ne tollera l’ambigua rigidità, così come mal sopporta il bigottismo della madre e il suo vittimismo.

La famiglia si trova in Spagna nel 1905, dove conosce giovanissima il cadetto Manuel Rodriguez Lozano, pittore messicano, che sposa nel 1913, per sfuggire alle maglie familiari.

Con lui torna a Parigi.

In questa città culturalmente e artisticamente molto vivace conosce diversi artisti, come Diego Rivera, Henri Matisse e Pablo Picasso, per citarne alcuni. Pensa che la scrittura sia la sua vera arte e si sperimenta in essa, cambiando stili e soggetti.

Durante la prima guerra mondiale si rifugia a San Sebastiàn, in Spagna, e comincia a dipingere.

Qui ha un figlio, morto in culla in circostanze misteriose, per cui nasce il sospetto che sia stata la stessa madre a ucciderlo.

Finita la guerra, Maria torna in Messico con il marito, da cui si separa poco dopo.

S’ iscrive all’Accademia San Carlos, per studiare arte, in un momento in cui il Messico vive un periodo culturalmente felice. Sono gli anni della rivoluzione di Zapata e Pancho Villa, nei quali artisti e intellettuali cercano di sbloccare il paese in nome del popolo, dei principi di libertà e giustizia sociale.

Nel 1922 entra nell’unione artistica Obreros Técnicos, Pintores, Escultores y Similares, fondata da Diego Rivera. Oltre a dipingere, posa come modella. Ha un fascino particolare, con occhi dal colore cangiante, verdi, con sfumature che variano secondo la luce. Posa per Rosario Cabrera e per un murale di Rivera, in cui rappresenta Erato, la musa della poesia erotica.

Diventa la modella di fotografi famosi, come Edward Weston e Antonio Garduno, che la ritraggono in foto di nudo estremamente audaci per il tempo.

Si innamora del pittore Gerardo Murillo (in arte Dr Atl), incontrato nel 1921 a una festa: lei ha 29 anni e lui 47.

Nasce una relazione intensa e passionale, durata cinque anni, fatta di tradimenti e scenate di gelosia.

Il pittore la ribattezza come Nahui Olin, che in atzeco significa “il movimento del cosmo”, nome che diventa quello che Maria usa poi ufficialmente.

L’unione con Murillo la spinge a dipingere con maggiore entusiasmo, usando colori vivaci, pennellate decise.

Come Frida Khalo, che conosce e frequenta, anche lei ha una formazione variegata e aperta: legge molto, segue tutte le moderne teorie, è politicamente impegnata.

Dopo una breve esperienza a Hollywood, dove si rifiuta di essere usata solo per l’aspetto fisico, torna in Messico.

Dopo aver avuto e abbandonato diversi amanti, sul finire degli anni Venti si innamora del capitano di nave Eugenio Agacino, che raffigura in molti dipinti.

Con lui si trasferisce a Veracruz. Insieme viaggiano, vanno a Cuba, in Spagna e in Francia, dove Maria partecipa a una mostra e tiene concerti di pianoforte.

Quando questi muore, Maria si ritira dalla vita pubblica, dedicandosi all’insegnamento e alla scrittura.

Di lei si perdono le tracce. Passa gli ultimi trent’anni in isolamento volontario, in povertà, con l’unica compagnia dei suoi gatti.

A 84 anni, con gravi problemi di salute, chiede di essere portata nella casa in cui ha vissuto da bambina, in uno dei quartieri storici di Città del Messico, dove muore nel 1978.

“Ripensando alla mia vita, ho la sensazione di essere stata sabbia trasportata dal vento, anche se in ogni situazione mi sono illusa di cavalcare il destino, di imprimergli la direzione, di poterlo piegare alla mia volontà”.

Oltre a realizzare molteplici autoritratti, con i caratteristici enormi occhi verdi, Maria ha riprodotto immagini tipiche del Messico, come i parchi, i mercati, le tradizioni. Altre opere dimostrano la sua esplorazione della sessualità.

Arte al femminile (531)

A Padova, presso il Centro Culturale San Gaetano, sino al 4 giugno vi è una mostra dedicata a Frida Khalo e a Diego Rivera. Si tratta della collezione Gelman di arte messicana, una delle più importanti al mondo.

Jacques Gelman e Natasha Zahalkaha hanno costruito la propria fortuna, come tanti emigrati degli inizi del ‘900, a Città del Messico, come produttori cinematografici. Diventano negli anni ’40 stretti amici di Frida Khalo e Diego Rivera.

Jacques Gelman nasce a San Pietroburgo nel 1909, da una ricca famiglia ebrea emigrata in Germania dopo la rivoluzione d’ottobre. Lavora come fotografo di scena e distributore di film.

Arriva in Messico poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale e vi rimane per questo bloccato. Diventa pertanto produttore cinematografico con discreto successo.

Lui e la moglie Natasha sono avidi collezionisti di arte messicana e ne diventano mecenati.

Alla morte della moglie, nel 1998, Gelman lascia una parte delle opere da loro acquistate al MoMa di New York, un’altra è custodita presso la Fundaciòn Vergel di Città del Messico: quest’ultima include le opere di Diego Rivera, Frida Khalo, Maria Izquierdo, David Alfaro Siqueiros, Rufino Tamayo e Angel Zàrraga.  

Presso il Centro Culturale San Gaetano di Padova viene presentata questa seconda importante rassegna di quadri, costumi e fotografie.

I coniugi Gelman acquistano una trentina di opere di Frida e Diego.

Nel 1943 i due artisti ritraggono la signora Gelman, in due oli su tela molto diversi: enorme, a figura intera, sensuale, con pennellate morbide quello di Rivera, grande come una pagina di quaderno quello della Khalo, che rappresenta la donna in meno di mezzo busto, con un’espressione scostante, appesantita da boccoli, gioielli e pelliccia.  

Frida Khalo è un’artista che amo in modo particolare. Ho già ricordato la sua vita in un post di un po’ di tempo fa (v.n.25).

Viene considerata una delle più grandi artiste del XX° secolo. La sua arte, spesso catalogata come naif, è complessa, in quanto mescola elementi del surrealismo, del realismo magico, del muralismo.

Lei e Diego Rivera hanno formato una delle coppie più conosciute del tempo, con una storia d’amore passionale e fatta di molteplici infedeltà.

Il desiderio giovanile di Frida di diventare medico viene stroncato da un terribile incidente. Scopre allora la pittura.

La rivoluzione è l’armonia della forma e del colore e tutto esiste, e si muove. Sotto una sola legge. La vita. Sono felice, fino a quando potrò dipingere. Ho sempre dipinto la mia realtà, non miei sogni.”

Il dolore fisico è una costante della sua vita, ma lo tiene a bada con grande forza d’animo.

Dal 1944 inizia a scrivere dei diari: per 10 anni appunta sogni, riflessioni, pensieri, uniti a schizzi e disegni. Il linguaggio è variopinto come la sua arte e molto incisivo.

“Tanto assurdo e fugace è il nostro passaggio per il mondo, che mi rasserena soltanto il sapere che sono stata autentica, che sono riuscita ad essere quanto di più somigliante a me stessa mi è stato concesso di essere”.

Nell’ultima pagina del suo diario, poco prima di morire, scrive:

“Spero che l’uscita sia gioiosa e spero di non tornare mai più”.

Mostra Padova dedicata a Frida Kahlo

Arte al femminile (530)

Helen Frankenthaler nasce a New York nel 1928.

La sua è una famiglia di origine ebraica. Il padre è giudice presso la Corte Suprema di New York.

Studia alla Dalton School e al Bennington College nel Vermont.

Nel 1958 sposa l’artista Robert Mothrwell, da cui divorzierà nel 1971.

Entrambi provenienti da ambienti ricchi e istruiti, ospitano spesso feste nel loro appartamento di New York, condividono la passione per l’arte e per i viaggi.

Nei primi anni ’50 Helen presenta i suoi dipinti nelle gallerie d’arte e nei musei, distinguendosi come esponente dell’espressionismo astratto. Con questo termine si indica una tendenza artistica, fiorita intorno alla metà del XX° secolo, per cui i pittori vogliono l’affermazione dell’individualità dell’artista, che esprime nel modo più diretto e spontaneo la propria vita inconscia, senza preoccuparsi della “leggibilità” della propria tela.

Sperimenta la litografia (procedimento di stampa) negli anni ’60 e si dedica alle xilografie (tecnica di incisione su legno duro) a metà degli anni ’70.

Entra a far parte del gruppo di pittori denominati Color field painters (pittori di campi di colori). Traendo ispirazione da altri movimenti europei, questi artisti esaltano i colori e le relazioni tra questi, con forme astratte che si intersecano tra loro. Vengono usate grandi tele di canapa, che vengono coperte interamente da estensioni monocrome di colore, escludendo qualsiasi interesse per il disegno, la forma o la materia. Helen è una delle poche donne che partecipa a questo movimento.

Viene fatta conoscere e apprezzare grazie anche al critico d’arte Clement Greenberg, che l’appoggia molto.

 Numerose le mostre cui partecipa e i riconoscimenti che ottiene.

Instancabile innovatrice, lavora con diversi materiali, creando ceramiche, sculture, arazzi e stampe.

Vive e opera a Darien, nel Connecticut, sino alla sua morte nel 2011.

Le sue tele a “macchie” hanno colori vividi e forme amorfe. Usava mescolare colori a olio con trementina, per rendere la vernice traslucida, simile agli acquarelli, faceva poi gocciolare il colore da una lattina con un buco tagliato sul fondo. Questo le permetteva di creare macchie estese sulla tela o linee di pittura, che poi completava con spugna e pennelli.

Diceva “Vai contro le regole o ignora le regole. Questo è l’unico modo per creare vera innovazione.”

Il suo lavoro continua a ispirare e affascinare, raggiungendo spesso grandi cifre all’asta.

Arte al femminile (529)

Colette Richarme nasce a Canton in Cina nel 1904.

Il padre è commerciante di seta per un’azienda britannica. La madre, esperta di arte, insegna alla figlia sin dalla tenera età a disegnare, osservando quello che la circonda.

La morte improvvisa del padre costringe la famiglia a tornare in Europa, in Francia e si stabilisce prima a Lione e poi ad Albertville.

Nel 1926 Colette si sposa e va ad abitare a Parigi.

Nel 1935 le viene consentito l’accesso all’Académie de la Grande Chaumiére, dove incontra Louise Bourgeois (v.n.528).

La sua carriera inizia però a Montpellier, perché qui fa la prima mostra personale.

La guerra sconvolge i suoi programmi di lavoro, ma mantiene contatti regolari con Parigi e partecipa alla vita artistica regionale.

Muore nel 1991 a Montpellier..

Il suo lavoro pittorico si colloca tra figurazione e astrazione. Ha costruito un’opera originale, combinando disegno, trattamento della linea e studio del colore.  

Molte le mostre dedicatele negli ultimi anni.