In questo periodo non riesco a dimenticare la tragedia palestinese, le immagini di devastazione e morte. Il rispetto e una maggiore conoscenza reciproca favorirebbero migliori relazioni tra gli umani. La cultura e l’arte dovrebbero aiutare in questo.
Emily Jacir è un’artista palestinese, nata a Ramallah nel 1970 (secondo altri a Betlemme nel 1972), in Cisgiordania. Si sa abbastanza del suo lavoro, mentre scarsi i dati biografici.
La sua è stata ed è una vita “vagabonda”, come quella di tanti palestinesi.
Passa l’infanzia in Arabia Saudita, si stabilisce a Roma in Italia per un periodo: emigra poi negli Stati Uniti, dove studia Arte al Memphis College of Art.
Ottiene borse di studio e molti riconoscimenti per il suo lavoro, che comprende vari ambiti: film, fotografia, installazioni performance, video, interventi pubblici, scrittura e suono.
La sua idea è che l’artista debba essere un fornitore di servizi per gli altri.
Un tema fondamentale delle sue opere è la vicenda della sua gente.
Nel Museo Nazionale di Atene espone ad esempio una tenda per rifugiati a misura di famiglia, su cui sono stampati i nomi di tutti i villaggi palestinesi occupati e spopolati da Israele nel 1948. Mentre lo realizza nel suo studio di New York, incontra 140 persone che raccontano come ogni villaggio sia stato distrutto, rivivendo la vita precedente alla distruzione.
Avendo ottenuto il passaporto americano per anni può viaggiare in Israele, Cisgiordania e Gaza.
Usando la sua libertà di movimento ha fatto molte interviste ai palestinesi e cercato di aiutarli nei modi più disparati.
Dal 2004 le viene vietato di entrare a Gaza e in alcune città palestinesi in Cisgiordania.
Realizza dei video sulle difficoltà della sua gente a muoversi, sui continui checkpoint e controlli alle frontiere.
Material for a Film (2006) è forse uno dei lavori più noti di Jacir. Il progetto è basato sulla vita del traduttore e intellettuale palestinese Wael Zuaiter, assassinato a Roma – dove viveva – accusato ingiustamente di aver avuto un ruolo negli attacchi terroristici di Monaco del 1972. Dissotterrando materiale tra cui fotografie di famiglia, corrispondenza sotto forma di appunti, lettere, telegrammi, persino registrazioni audio di conversazioni telefoniche e documenti relativi alla sua morte, Emily reinventa capitoli della vita di Zuaiter in una toccante installazione audiovisiva.
Altro lavoro importante è Ex libris (2010-2012), in cui ricorda i 30.000 libri saccheggiati dalle case, dalle chiese, dalle istituzioni palestinesi nel 1948 e attualmente nella Biblioteca Nazionale Ebraica di Gerusalemme, catalogati come “AP” (proprietà abbandonata).
A Torino nel 2021 presenta Letter to a friend, un viaggio nel tempo e nello spazio, in cui racconta un secolo di vita di una casa e una strada di Betlemme, alternando riprese video, fotografie, suoni, materiali storici, frutto di ricerche e documentazioni di molti anni. Lo sguardo parte proprio dalla casa dell’artista, costruita dal bis bis nonno archivista e amministratore di Betlemme. Percorre il costante cambiamento dei confini, l’erosione continua del territorio, sino alla costruzione del muro nel 2004.
Attivissima nella creazione di eventi e progetti, espone nelle Americhe, in Europa e nel Medio Oriente.
Partecipa a Biennali, ottiene riconoscimenti e incarichi.
Attualmente continua la propria vita un po’ errabonda: Roma, Austria, Stati Uniti…