Arte al femminile (563)

In questo periodo non riesco a dimenticare la tragedia palestinese, le immagini di devastazione e morte. Il rispetto e una maggiore conoscenza reciproca favorirebbero migliori relazioni tra gli umani. La cultura e l’arte dovrebbero aiutare in questo.

Emily Jacir è un’artista palestinese, nata a Ramallah nel 1970 (secondo altri a Betlemme nel 1972), in Cisgiordania. Si sa abbastanza del suo lavoro, mentre scarsi i dati biografici.

La sua è stata ed è una vita “vagabonda”, come quella di tanti palestinesi.

Passa l’infanzia in Arabia Saudita, si stabilisce a Roma in Italia per un periodo: emigra poi negli Stati Uniti, dove studia Arte al Memphis College of Art.

Ottiene borse di studio e molti riconoscimenti per il suo lavoro, che comprende vari ambiti: film, fotografia, installazioni performance, video, interventi pubblici, scrittura e suono.

La sua idea è che l’artista debba essere un fornitore di servizi per gli altri.

Un tema fondamentale delle sue opere è la vicenda della sua gente.

Nel Museo Nazionale di Atene espone ad esempio una tenda per rifugiati a misura di famiglia, su cui sono stampati i nomi di tutti i villaggi palestinesi occupati e spopolati da Israele nel 1948. Mentre lo realizza nel suo studio di New York, incontra 140 persone che raccontano come ogni villaggio sia stato distrutto, rivivendo la vita precedente alla distruzione.

Avendo ottenuto il passaporto americano per anni può viaggiare in Israele, Cisgiordania e Gaza.

Usando la sua libertà di movimento ha fatto molte interviste ai palestinesi e cercato di aiutarli nei modi più disparati.

Dal 2004 le viene vietato di entrare a Gaza e in alcune città palestinesi in Cisgiordania.

Realizza dei video sulle difficoltà della sua gente a muoversi, sui continui checkpoint e controlli alle frontiere.

Material for a Film (2006) è forse uno dei lavori più noti di Jacir. Il progetto è basato sulla vita del traduttore e intellettuale palestinese Wael Zuaiter, assassinato a Roma – dove viveva – accusato ingiustamente di aver avuto un ruolo negli attacchi terroristici di Monaco del 1972. Dissotterrando materiale tra cui fotografie di famiglia, corrispondenza sotto forma di appunti, lettere, telegrammi, persino registrazioni audio di conversazioni telefoniche e documenti relativi alla sua morte, Emily reinventa capitoli della vita di Zuaiter in una toccante installazione audiovisiva. 

Altro lavoro importante è Ex libris (2010-2012), in cui ricorda i 30.000 libri saccheggiati dalle case, dalle chiese, dalle istituzioni palestinesi nel 1948 e attualmente nella Biblioteca Nazionale Ebraica di Gerusalemme, catalogati come “AP” (proprietà abbandonata). 

A Torino nel 2021 presenta Letter to a friend, un viaggio nel tempo e nello spazio, in cui racconta un secolo di vita di una casa e una strada di Betlemme, alternando riprese video, fotografie, suoni, materiali storici, frutto di ricerche e documentazioni di molti anni. Lo sguardo parte proprio dalla casa dell’artista, costruita dal bis bis nonno archivista e amministratore di Betlemme. Percorre il costante cambiamento dei confini, l’erosione continua del territorio, sino alla costruzione del muro nel 2004.

Attivissima nella creazione di eventi e progetti, espone nelle Americhe, in Europa e nel Medio Oriente.

Partecipa a Biennali, ottiene riconoscimenti e incarichi.

Attualmente continua la propria vita un po’ errabonda: Roma, Austria, Stati Uniti…

Arte al femminile (561)

Ogni conflitto distrugge la bellezza…

Doniana Al-Imoor muore giovanissima, a 22 anni, l’8 agosto 2022, mentre sta dipingendo, perché i carri armati israeliani sparano contro il suo quartiere, a Gaza.

Quello che sta succedendo attualmente a Gaza non è una novità, perché anche nel passato ci sono stati interventi militari israeliani in questa martoriata striscia di terra.

Doniana in arabo significa “le nostre vite” e la sua era una vita piena di promesse.

Nasce a Bir al-Saba, una cittadina attualmente nel sud di Israele, da cui la sua famiglia viene espulsa nel 1948 e a cui è vietato tornare.

Nonostante i pochi mezzi a disposizione, pochi pastelli, un pennello consumato, Doniana dimostra sin da bambina grande talento artistico.

Riesce a frequentare la Facoltà di Belle Arti dell’Università Al-Aqsa di Gaza, distinguendosi per le sue capacità, ma purtroppo non riuscirà a laurearsi.

“Siate così appassionati al vostro sogno che il solo pensarci vi faccia sorridere”, così scriveva…

Arte al femminile (557)

Penso che spesso gli odi tra popoli nascano dalla mancata conoscenza della reciproca cultura, intesa in senso lato.

L’arte dovrebbe essere sempre elemento di unione.

Fatma Shanan nasce nel 1986 a Julis, in Israele, nell’estremo nord del paese.

La sua è una famiglia appartenente al gruppo religioso dei drusi, musulmani di origine siriana. I drusi disconoscono i 5 pilastri dell’Islam, incorporando elementi induisti e filosofici. Credono nella reincarnazione, sono monogami e custodiscono la segretezza del loro culto, essendo stati molto perseguitati nel passato.

Sin da bambina Fatma frequenta lezioni private d’arte. In seguito, dal 2007 al 2010, s’iscrive all’Oranim Academic College di Tel Aviv, proseguendo poi la preparazione con un docente privato.

I suoi dipinti raffigurano scene dei villaggi e soprattutto tappeti tradizionali orientali, in contrasto con paesaggi occidentali.

La sua è una pittura teatrale e quasi fotografica. Ci sono: la tradizionale casa con la bianca terrazza, il campo, gli ulivi, gli interni di abitazioni. Elemento ricorrente, come già detto, il tappeto, elemento fondamentale nell’arredamento della casa drusa. Le donne se ne occupano con grande attenzione, pulendolo, sbattendolo, spazzolandolo. Serve come oggetto di preghiera e non deve essere calpestato.

Contesa dalle principali gallerie d’arte israeliane e internazionali, ha esposto a Tel Aviv, Berlino, Dusseldorf, New York e in California.

La donna è al centro delle sue tematiche pittoriche. Nei suoi dipinti e nei suoi video risuonano oltre ai ricordi personali, la storia e le tradizioni di questa minoranza di lingua araba, cui appartiene.

Ha ricevuto numerosi e ambiti premi, tra cui il premio della Fondazione Culturale America-Israele, il premio Artista nella Comunità del Ministero della Cultura e la borsa di studio Art Port.

Nel 2016 ha ottenuto un altro riconoscimento ufficiale, il premio Shiff per le arti figurative e una mostra personale al Museo d’Arte di Tel Aviv.

Attualmente vive a Tel Aviv.

Arte al femminile (471)

Parlando di Gina Pane (n.470), abbiamo incontrato Anne Marchand, compagna dell’artista.

Anne Marchand nasce a New Orleans, in Louisiana (Stati Uniti).

Capisce la propria vocazione artistica ben presto, verso gli 11 anni. Decide di dedicarsi alla pittura, seguendo un percorso di studi idoneo.

Si laurea in arte presso la Auburn University in Alabama.

Consegue poi una specializzazione presso l’Università della Giorgia.

Apre uno studio artistico a Washington.

Inizialmente si interessa alle potenzialità espressive del corpo umano e studia la figura nei suoi movimenti e possibilità.

Segue poi le tendenze artistiche dei modernisti del XX° secolo, degli espressionisti e contemporaneamente s’interessa alle teorie di Jung (psichiatra, psicoanalista, filosofo, antropologo, accademico svizzero) sull’immaginario onirico e sugli stati psicologici.

Ha interesse per la natura e il paesaggio. Fonte d’ispirazione per questo sono le pratiche sacre dei nativi americani del sud-ovest, che ispirano opere che espone nelle mostre degli anni ’80.

Negli anni ’90 lavora con materiali diversi e sperimenta performance personali.

Nel 2001 realizza un grande murale, vincendo un concorso di arte pubblica a Washington.

Nel 2005 i suoi quadri dalle linee arcuate e dai colori vividi esprimono il desiderio di esplorare lo spazio profondo. Temi mistici sono stimolati dalla lettura delle poesie di Garcia Lorca, dallo studio di Kandinsky, precursore della pittura astratta e dalla lettura dei testi di Gialal al-Din Rumi, teologo e poeta mistico persiano.

Un viaggio in India porta nuovi colori per la sua tavolozza e l’inserimento di tessuti nel suo lavoro.

Dal 2010 sperimenta colori acrilici e pigmenti perlescenti, cercando di riprodurre la radiosità della luce. Nasce l’attenzione per lo spazio: nebulose, galassie, pianeti visti al telescopio ispirano immagini circolari, cercando connessione tra spazio e corpo.

La ricerca su materiali e colori continua e si perfeziona negli anni: usa vernice, carbone, filo, perline di vetro e altri elementi.

Molteplici le mostre cui partecipa.

Attualmente continua a promuovere gli artisti locali e cura sue piattaforme di social media.

Anne espone con Zenith Gallery a Washington, DC, Green Chalk Contemporary in California, Cross Contemporary Art a New York e ha esposto con prestigiose gallerie in Maryland, Florida, North Carolina, California, New Mexico, Arizona e Hawaii. Ha ricevuto numerosi premi e borse di studio per il suo lavoro, più recentemente una borsa di studio per artisti dalla DC Commission on the Arts and Humanities nel 2020.

Il suo lavoro è presente in numerose collezioni aziendali e private negli Stati Uniti. 

“Quando ho iniziato questo viaggio di scoperta, ho pensato che sarei sempre stata un pittore di figure. Nel corso degli anni, il mio immaginario è cambiato. Ho immaginato e trovato nuovi modi per comunicare e condividere la mia visione. Quella crescita continua è il lavoro della mia vita.”

L’astrazione è il suo modo di esplorare la vita nelle sue manifestazioni. L’insieme delle sue opere riflette un fascino per lo spazio interiore ed esterno. Il mezzo preferito è la pittura acrilica, che permette di ottenere lucidità, opacità e trasparenza secondo i casi.

Costruisce strati complessi di colori, materiali, parole e forme. Crea collage con cose che unite acquisiscono un nuovo significato.

Arte al femminile (459)

Edina Altara nasce a Sassari(v.foto) nel 1898, terza di quattro sorelle (Aurora, Lavinia e Iride), in una famiglia borghese benestante. Il padre, Eugenio Altara, è un oculista, la madre, Gavina Campus, proviene da una facoltosa famiglia di Pattada (Sassari).

Fin da bambina Edina mostra una notevole propensione per il disegno, i colori e l’uso della carta. Giovanissima, incoraggiata anche da un pittore amico di famiglia, inizia la sua carriera artistica come autodidatta e a soli diciotto anni, nel 1917, durante la mostra della Società degli Amici dell’Arte di Torino, ha l’onore di vedere acquistato un suo collage dal re stesso, Vittorio Emanuele III (ora esposto al Quirinale). 

A 17 anni è ideatrice di una serie di balocchi in cartoncino. Si interessa di antiquariato, ma anche delle nuove tecniche produttive, esercitandosi in mille piccole attività, dal ripristino di oggetti antichi alla creazione di complementi d’arredo, alla decorazione, alla pittura. I suoi materiali sono tessuti, carte colorate, frammenti di vetro con cui compone scene e figure. Legge diverse pubblicazioni e conosce l’illustrazione di orientamento liberty.

-Sin da piccola ha il fuoco dentro: quelle scintille di furore creativo che solo l’arte è capace di far brillare. Gioca con la carta, i nastri e la stoffa, si diverte a fare collage. Non vuole che il padre oculista le compri le bambole, ma preferisce fare da sé. È abilissima con le forbici: zac!, con precisione ritaglia, facendo scivolare pazientemente fili di colla e realizza così le sue prime opere d’arte. “Sentivo proprio il bisogno di far nascere qualcosa dalle mie mani”, rivelerà poi in una sua presentazione. Autodidatta, alla scuola preferisce il silenzio della sua camera, magico laboratorio dove creare.- (da articolo di Federica Ginesu sul sito web La donna sarda)

Artisti e critici d’arte fanno recensioni assai positive sui suoi lavori.

Nel 1918 si trasferisce a Casale Monferrato e collabora con diverse riviste.

Nel 1922 sposa Vittorio Accornero, famoso illustratore, scrittore e scenografo e con lui collabora nella produzione di illustrazioni, gadget pubblicitari e vari lavori di arte Deco. Realizza cartoline e calendarietti da barbiere per diverse ditte di cosmetici. La coppia è molto ricercata in società, conduce vita agiata, in un sodalizio di interessi comuni.

A partire dagli anni Trenta Edina si dedica alla produzione di ceramica, soprattutto ideando disegni per questa. A causa delle difficoltà economiche, seguite alla prima guerra mondiale, realizza con le sorelle Iride e Lavinia una piccola impresa familiare per la realizzazione di bozzetti per la cosiddetta tecnica “a freddo”  (decorazione con colori sintetici su ceramiche smaltate in bianco). Delle mattonelle prodotte con la tecnica a freddo, si conoscono una settantina di soggetti differenti. In prevalenza si tratta di figure femminili (quelle maschili sono pochissime) e scene di fantasia.

Artista poliedrica, abile disegnatrice, sensibile e fantasiosa illustratrice, diventa creatrice di moda. Dopo la separazione amichevole dal marito, nel 1934 apre a Milano, nella propria casa, un atélier in grado di attirare una raffinata clientela.

Collabora con la rivista Grazia dal 1941 al 1943, disegnando figurini di moda. Inizia una proficua collaborazione con il designer Gio Ponti, per cui orna numerosi arredi. Tale assidua collaborazione la porta persino a lavorare alla decorazione di arredi per 5 transatlantici: Conte Grande, Conte Biancamano, Andrea Doria, Oceania e Africa.

Nella sua lunga carriera Edina illustra una trentina di libri per ragazzi e collabora con numerose riviste e periodici (disegnando illustrazioni di moda, per racconti e pubblicità).

La sua ricerca si inserisce in quel movimento di modernizzazione del primo Novecento che presta attenzione al modo in cui l’arte può incontrare non solo la produzione industriale, ma anche l’espressività popolare. Nella convinzione che l’antica distinzione fra arti maggiori e arti minori sia ormai inaccettabile, si afferma l’idea che la creatività riguardi anche gli oggetti d’uso e che i nuovi sistemi produttivi debbano armonizzarsi con gli antichi saperi artigianali. Questa nuova visione trova applicazione soprattutto nel designer e nel vasto mondo dei giocattoli.

Negli ultimi anni la pittrice riceve spesso commissioni per soggetti molto convenzionali, ai quali si adatta suo malgrado pur di lavorare.

Muore a Lanusei nel 1983.

Come accade spesso alle artiste, dopo la morte il nome di Edina sembra quasi scomparire, per poi riaffiorare a distanza di tempo sollevando nuovo interesse nel pubblico: di recente le sono state dedicate diverse retrospettive, che hanno saputo mettere l’accento sulla sua esperienza di imprenditorialità creativa.

Arte al femminile (458)

Maria Antonietta Gambaro(Chicca) nasce a Genova nel 1929.

Donna dai molti interessi e dalle grandi passioni, è pittrice grafica, scenografa e costumista, appassionata di musica.

Comincia a dipingere negli anni ’40, traendo i suoi modelli dal mondo del lavoro, dai paesaggi urbani e dall’attualità. Molte le mostre personali.

Diventa scenografa, dapprima per il teatro di prosa e poi per i maggiori teatri dell’Opera.

Lavora per il Teatro della Scala di Milano, per il Teatro Comunale di Bologna, l’Arena di Verona, il Teatro Comunale di Genova. Registi e direttori d’orchestra la ammirano e sollecitano la sua collaborazione.

Fin dagli anni Cinquanta aderisce al Partito Comunista e nelle sue opere riflette le problematiche sociali del neorealismo.

I suoi soggetti sono inizialmente pescatori e lavoratori, in seguito si dedica ai ritratti.

Le sue opere si caratterizzano per il segno incisivo, il colore intenso steso a spatola, uno spazio indefinito, scuro, dal quale emergono personaggi indagati anche dal punto di vista psicologico.

Ormai nota e affermata, si ammala nell’inverno del 1981, proprio quando l’Arena di Verona le commissiona la scenografia del Rigoletto per l’apertura di stagione.

Le sue opere sono custodite in collezioni private, nei musei e negli archivi teatrali.

Arte al femminile (457)

Paula Rego nasce a Lisbona (Portogallo) nel 1935. Il padre è ingegnere elettronico, antifascista convinto. Nel 1936 il padre viene trasferito per lavoro nel Regno Unito e la moglie lo segue, affidando Paula alle cure della nonna sino al 1939. La figura della nonna è molto importante per lei: le storie della tradizione popolare che le racconta stimoleranno la sua fantasia e influenzeranno il suo lavoro futuro.

Paula viene iscritta in una scuola di lingua inglese, San Giuliano di Carcavelos, che frequenta dal 1945 al 1951.

Nel 1951 va in Gran Bretagna e segue per un anno una scuola di perfezionamento, The Grove School, a Evenoaks, nel Kent. Dal 1952 al 1956 segue gli insegnamenti della Slade School of Fine Art, a Londra.

Qui incontra il futuro marito, Victor Willing, anche lui studente.

Nel 1957 Paula e Victor lasciano la Gran Bretagna e si stabiliscono a Ericeira, in Portogallo.

I due si sposano nel 1957, dopo il divorzio di Victor dalla prima moglie. Hanno tre figli: Caroline, Victoria e Nick.

Il padre di Paula acquista alla coppia una casa a Londra e i due si dividono tra Portogallo e Gran Bretagna.

Nel 1966 muore il padre di Paula e suo marito rileva l’azienda di famiglia.

In seguito agli stravolgimenti politici del 1974 in Portogallo, Paula e la sua famiglia perdono la propria azienda e tornano definitivamente a Londra.

Victor, ammalato di sclerosi multipla, muore nel 1988.

Paula, oltre che artista prolifica, è anche per anni sostenitrice dei diritti delle donne.

Ciò che caratterizza i lavori di Paula è il riferimento a personaggi e atmosfere collegati alla letteratura, ai miti, alle fiabe, ai cartoni animati e ai testi religiosi. Tutto ciò viene rivisitato in chiave moderna. Oltre alla pittura, ha realizzato incisioni e collage.

Inizialmente è influenzata dal surrealismo, in particolare dall’opera di Mirò, per insofferenza verso le tecniche di disegno tradizionali.

Dal 1990 ritorna a disegni chiari, con rappresentazioni di donne in situazioni a volte inquietanti.

Con il tempo abbandona i colori a olio e usa soprattutto i pastelli.

Dagli anni ’50 gioca un ruolo chiave nella ridefinizione dell’arte figurativa in Gran Bretagna, soprattutto rivoluziona la raffigurazione delle donne, cercando di svincolarla dagli stereotipi dell’immaginazione maschile. Le donne si acquattano, strisciano, si inginocchiano e dormono, assumendo atteggiamenti a volte animaleschi, scevri di ogni retorica femminile.

Paula è un pittore narrativo, che racconta storie su tela, storie surreali e misteriose.

Alla fine degli anni ’80 realizza una serie di dipinti per esplorare le relazioni familiari.

Particolare è la serie degli Abortion pastels, fatti come protesta contro la legge portoghese che consente allora l’aborto solo in casi eccezionali. I ritratti di Paula vogliono alzare il sipario sugli aborti illegali, sulle soluzioni pericolose scelte dalle donne che non hanno alternative. All’epoca si stima che ogni anno in Portogallo si verificassero fino a 50000 aborti illegali e Paula è furiosa per la negazione di questa realtà, la crudeltà della polizia e lo scempio dei corpi delle donne. I suoi lavori senza titolo raffigurano donne e ragazze all’indomani degli aborti illegali, piene di stanchezza e dolore. I corpi sembrano pesanti, piegati su un divano o accartocciati sul pavimento o sul letto. Alcune hanno gli occhi chiusi mentre altre fissano il vuoto. L’ambiente circostante è squallido. Questa serie di ritratti fa parte della campagna che porta alla legalizzazione dell’aborto in Portogallo nel 2007.

Paula riceve lauree honoris causa dall’Università di St. Andrews, Scozia, dall’Università dell’East Anglia, Norwich, dalla Rhode Island School of Design, USA, The London Institute, Roehampton University, Londra e Oxford University. Nel 2010 è nominata Dame of the British Empire in the Queen’s Birthday Honours e ha vinto il Mapfre Foundation Drawing Prize, Madrid (2010).

Mostre degne di nota a lei dedicate includono: Fondazione Calouste Gulbenkian, Lisbona (1988); Serpentine Gallery, Londra (1988); Tate Liverpool, Liverpool (1997); Dulwich Picture Gallery, Londra (1998); Yale Center for British Art, New Haven (2001); Museo d’Arte Contemporanea Serralves, Porto (2004); Tate Britain, Londra (2005); MuseoNacional Centro de Arte Reina Sofia, Madrid (2007); Museo Nazionale delle Donne nelle Arti, Washington DC (2008); Whitechapel Gallery, Londra (2010).

Arte al femminile (456)

Mia nonna Emilia mi aveva insegnato a lavorare all’uncinetto e a maglia: per un po’ di tempo mi sono impegnata a realizzare bordi, pizzi e centrini ecc.. Mai avrei immaginato che questa abilità potesse trasformarsi in qualcosa di particolare e che potesse diventare un metodo per realizzare ritratti e rappresentazioni di persone….

Liisa Hietanen nasce a Lohja (Finlandia) nel 1981.

Si è laureata in Design presso L’università di Scienze Applicate di Lahti nel 2007 e nel 2012 ha conseguito un’altra laurea in Belle Arti presso l’Università di Scienze Applicate di Tampere.

Attualmente vive e lavora a Hämeenkyrö.

La particolarità del suo lavoro attuale è che ritrae i suoi compaesani in sculture realizzate all’uncinetto e a maglia, in situazioni quotidiane naturali. I soggetti sono i più svariati: chi ha incontrato in biblioteca, in palestra, chi porta a spasso il cane, chi è seduto al tavolino di un pub… Le sculture fanno parte di una serie chiamata Villagers e ogni scultura, una volta ultimata, viene portata in uno dei siti pubblici di Hämeenkyrö. L’obiettivo è quello di migliorare le relazioni all’interno della comunità e abituare all’attenzione verso le persone.

Per questa artista le lente tecniche artigianali sono una scelta per rispondere al ritmo accelerato della vita e per incontrare e conoscere l’altro. I soggetti sono rappresentati accuratamente con i loro abiti preferiti. Creare una scultura a maglia di dimensioni reali richiede mesi di tempo e pazienza, permettendo una migliore conoscenza del soggetto.

Lisa lavora a maglia da quando aveva 10 anni. Prima fa misurare i suoi soggetti, li fotografa e studia la fotografia, forma una base usando armature metalliche e cemento. La lana è un materiale particolare, che dà una sensazione di familiarità e calore.

“I lavori riguardano piuttosto l’incontro con qualcuno in modo molto concreto, il vedere l’altro per davvero e conoscerlo lentamente. Li vedo come valori rilevanti e azioni di bilanciamento, soprattutto in contrasto con i rapidi movimenti e gli incontri sottili nei social media”.

Arte al femminile (453)

La street-art vive un momento di progressiva rivalutazione e in molte città, compresa la mia (Padova), ci sono opere di notevole bellezza. Si tratta di una forma d’arte diretta, rivolta a tutti, che vuole raccontare, comunicare, coinvolgere e tanto altro, come ogni forma artistica.

Panmela Castro, alias Anarkia Boladona, street artist brasiliana, è tra le 150 donne più importanti al mondo per il suo impegno sociale contro la violenza sulle donne attraverso l’arte. Viene chiamata la Regina dei graffiti.

Nasce a Rio de Janeiro nel 1981.

Sua madre deve affrontare problemi finanziari e violenze domestiche con il suo primo marito: scappa e si risposa con un uomo che le dà una vita dignitosa e cresce Panmela come fosse sua figlia. Con quasi nessuna istruzione formale, il nuovo padre le permette di dedicarsi ai suoi studi fino a quando, all’età di 15 anni, è costretta a lavorare in seguito al fallimento dell’attività paterna. Con la famiglia destabilizzata, abbandona la casa dei genitori e vive in una delle baraccopoli più pericolose della città. Per pagare le bollette e la scuola, oltre a insegnare, inizia a disegnare persone per le strade e a vendere i pezzi per 1 Real brasiliano. 

Usando lo pseudonimo di Anarkia Boladona, diventa la prima ragazza della sua generazione a scalare edifici per lasciare suoi graffiti. Panmela è una delle prime writer a dipingere i treni a Rio e ha fatto interventi “illegali” in tutta la città.  Nel 2005 inizia a dedicarsi seriamente alla pittura murale dopo un’esperienza negativa di violenza domestica: viene picchiata e segregata dal suo compagno. Questo dramma influenza la natura politica delle sue opere. Viene aiutata a fuggire dalla madre.

Si laurea in Belle Arti presso l’Università Federale di Rio de Janeiro e consegue un Master in Processi artistici contemporanei.

Nel 2006 collabora con l’organizzazione With cause per promuovere i diritti delle donne e combattere la violenza domestica. Nello stesso anno fonda Rede Nami, un’organizzazione formata da artiste che combattono contro le violenze e i soprusi. Si battono per la libertà d’espressione e l’uguaglianza di genere attraverso le loro opere di street-art, informando ed educando le donne soprattutto nei bassifondi brasiliani. Organizzano workshop e campagne di sensibilizzazione.

In tutto il mondo, secondo i dati dell’OMS, il 35% delle donne è vittima di violenza, prima causa di morte e di invalidità per le donne tra i 16 e i 44 anni. In Brasile la percentuale è molto più alta. I suoi murales raccontano il dolore, ma vogliono essere anche un modo per informare le donne sui loro diritti e sulle poche leggi che le tutelano.

Collabora con numerosissime organizzazioni internazionali per i diritti delle donne e le politiche sociali tra cui l’OAS, la Nike Company e la Fondazione Rosa Luxemburg. Le sue opere si possono ammirare in molti paesi del mondo: Cile, Bolivia, Brasile, Inghilterra, Canada, Colombia, Repubblica Ceca, Israele, Austria, Turchia, Norvegia.

Tramite le sue opere rappresenta il corpo femminile nel contesto urbano, evidenziando soprattutto le situazioni di coercizione sia fisica che psicologica. Vuole che la sua arte sia educativa a livello sociale. Ultimamente si è dedicata anche a performance.

“Ho giurato di non stare mai in silenzio, in qualunque luogo e in qualunque situazione in cui degli esseri umani siano costretti a subire sofferenze e umiliazioni. Dobbiamo sempre schierarci. La neutralità favorisce l’oppressore, mai la vittima. Il silenzio aiuta il carnefice, mai il torturato. Èlie Wiesel”

Ha esposto al Museo della Cultura brasiliana e al Rosário Contemporary Art Museum, è presente nella collezione permanente dell’Inter-American Development Bank a Washington e alla Camera dei Rappresentanti a Brasilia.

È attualmente impegnata in un grande progetto per la costruzione di una fitta rete di centri per l’impegno sociale, soprattutto nelle zone ai margini delle società: centri d’ascolto e laboratori dove le donne possono imparare qualsiasi forma d’arte e, contemporaneamente, essere informate, aiutate e seguite in caso di bisogno o richiesta d’aiuto. Luoghi in cui vengono insegnati la consapevolezza di sé, il valore e la dignità.

Nel 2012 è stata candidata tra le 150 donne più importanti dell’anno per Newsweek, le è stato conferito un premio dalla fondazione Diller che promuove le organizzazioni no-profit. Il Premio Hutuz l’ha nominata artista dell’anno e del decennio (rispettivamente nel 2007 e 2009).

Le Nazioni Unite conservano alcuni dei suoi lavori e l’organizzazione Vital Voices, fondata da Hillary Clinton, le ha conferito il Global Leadership Award for Human Rights.

Arte al femminile (452)

Tutti conoscono la terza moglie del pittore messicano Diego Rivera, Frida Khalo, mentre pochi sanno quanto valente pittrice sia stata la prima moglie, la russa Angelina Beloff.

Angelina è stata anche amica di Maria Blanchard, che ho ricordato in un precedente post.(n.451)

Angelina Beloff nasce nel 1879 a San Pietroburgo, in Russia, durante il periodo zarista.

La sua è una famiglia di intellettuali: il padre è russo, magistrato del Senato, mentre la madre Catherine Camonen è di origine scandinava. Angelina ha tre fratelli e una sorella.

Nel 1889 è ammessa al Liceo femminile “Vasili Ostrof”. Otto anni dopo s’iscrive, per volontà del padre, alla Facoltà di Fisica-Matematica, con il proposito però di diventare medico-pediatra. Nel frattempo prende lezioni di pittura frequentando un corso serale. Nel 1904 entra all’Accademia delle Arti della sua città, allora molto vivace dal punto di vista artistico. Un anno dopo viene espulsa per aver partecipato a uno sciopero studentesco. I suoi insegnanti l’incoraggiano a trasferirsi in Francia per continuare a studiare.

Nel 1909 perde i genitori e per due anni vive con il fratello e la cognata, poi decide di partire per Parigi. Qui, oltre al sostegno economico del governo russo e a una modesta rendita personale, si mantiene lavorando sia come insegnante d’arte che collaborando con Henri Matisse prima e il pittore spagnolo Camarasa poi.

La Francia è all’avanguardia nell’espressione pittorica e a Parigi s’incontrano artisti provenienti da ogni parte del mondo. Durante un viaggio in Belgio con l’amica Maria Blanchard (v.n.451), a Bruges, conosce il pittore messicano Diego Rivera. Questi le fa una corte assidua e i due si sposano a Parigi.

Hanno un figlio, Miguel Angel, che purtroppo muore a soli 14 mesi per complicazioni polmonari, durante il rigido inverno del 1917. La vita matrimoniale non è facile per Angelina, a causa delle ristrettezze economiche durante la prima guerra mondiale. Angelina fa vari lavori, sacrificando il proprio sviluppo creativo, pur di permettere al marito di continuare a dipingere. Diego Rivera però non le è riconoscente ed è infedele.

Nel 1921 Rivera viene richiamato in Messico per un lavoro importante e Angelina non può seguirlo, perché non ci sono abbastanza soldi per il viaggio di entrambi. Rivera rimane in Messico e la lascia: i due divorziano.

Nel 1932 viene invitata in Messico da alcuni artisti messicani, con cui ha fatto amicizia a Parigi.

Viene sponsorizzata per vivere e lavorare nel paese. Qui rimane per 37 anni, perseguendo la carriera artistica, insegnando e fondando alcune istituzioni dedicate all’arte. A Città del Messico incontra ogni tanto l’ex marito Diego Rivera, che finge vigliaccamente di non conoscerla, ma non gli farà mai alcuna recriminazione.

Angelina muore a Città del Messico nel 1969, a 90 anni.

La scrittrice Elena Poniatowska scriverà un romanzo basato sulla sua vita.

Angelina, oltre alla pittura, si è dedicata all’incisione, alla fotografia, alle arti grafiche, all’illustrazione di libri e alla creazione di burattini. È stata una costante promotrice del teatro di figura e una delle fondatrici del Salòn de la Plastica Mexicana.

Oltre che in collezioni private e pubbliche, la raccolta più importante delle sue opere si trova al Museo Dolores Olmedo di Città del Messico.

Angelina ha lasciato un’autobiografia, pubblicata nel 1986: En sus memorias.

Le sue opere uniscono l’influenza artistica di Matisse e Cézanne alle immagini e ai colori messicani.

La sua carriera artistica è stata accidentata e tortuosa: il talento e il valore delle sue opere si sono imposti con considerevoli sforzi, grazie alla sua tenacia e alla sua testarda determinazione.

Il suo lavoro è principalmente conosciuto in Messico, mentre quasi ignorato in Russia e a Parigi.

Ha dedicato molto del suo lavoro ai ritratti, perchè molto richiesti.