Arte al femminile (604)

Diverse artiste prendono parte alla lotta contro il nazifascismo, tra questi Genni, come viene chiamata questa scultrice tedesca.

Jenny Wiegmann Mucchi.

Nasce a Berlino nel 1895.

In Germania le donne vengono accolte nell’Accademia Statale di Belle Arti solo a partire dal 1919, per cui devono rivolgersi a istituti privati e soprattutto per chi, come Jenny ama la scultura, è sempre difficoltoso trovare il materiale e gli spazi adatti.

Si forma tra Monaco e Berlino, frequentando istituzioni private.

In seguito studia presso l’Istituto Levin-Funke, scuola di pittura e scultura aperta a entrambi i sessi, dove si cominciano ad ammettere anche le donne agli studi di nudo. Dal 1919 al 1923 segue un corso di intaglio del legno.

Il suo stile presenta inizialmente un incrocio tra forma classica e primitivismo, ossia tendenza a strutture più stilizzate e moderne. Partecipa a diverse mostre.

Siamo in un periodo di guerra e fermento politico, per cui Jenny affianca il lavoro artistico all’impegno politico.

Nel 1918 partecipa ai moti rivoluzionari che portano alla nascita della Repubblica di Weimar, che introduce il suffragio universale tramite la Costituzione e sembra aprire a un rinnovamento sociale, presto bloccato da pressioni economiche e politiche.

Nel 1920 sposa lo scultore e compagno di studi, Berthold Müller. I due si convertono al cattolicesimo e fanno un viaggio in Italia. Nel soggiorno di Roma la scultrice ottiene alcune commissioni dal Vaticano. A Ravenna rimane profondamente colpita dallo splendore dei mosaici.

Quando gli eventi precipitano, con Hitler al potere, Jenny si trasferisce a Parigi, dove frequenta il gruppo degli artisti italiani.

Nel 1937 ottiene una medaglia d’oro al Salone Mondiale di Parigi, dove Picasso presenta Guernica.

Nel frattempo si separa dal marito.

Nel 1925 ha conosciuto Gabriele Mucchi, architetto e pittore, con cui condivide esperienze artistiche e politiche.

Nel 1933 i due si sposano e si trasferiscono a Milano, dove hanno la possibilità di allargare la conoscenza di intellettuali e artisti. Espongono entrambi alla V Triennale di Milano.

Jenny si avvicina agli ambienti di Corrente, movimento artistico vicino all’omonima rivista fondata da Ernesto Treccani. Questa rivista nasce inizialmente con il nome di Vita giovanile, con scadenza mensile, poi diventa il quindicinale Corrente di Vita giovanile, per poi cambiare definitivamente il nome in Corrente nel 1938 a Milano. Ben presto essa assume la funzione di organo milanese-fiorentino dell’opposizione di alcuni intellettuali al regime fascista, dando nome anche a un movimento artistico che non si riconosce nell’ufficialità del tempo, che combatte contro la cultura asservita alla ragion di stato. Gli artisti del gruppo si orientano verso tematiche e forme del linguaggio espressionista, guardando anche ai grandi modelli quali Van Gogh, Ensor, Picasso…

Nel 1940 la rivista è soppressa per diretto ordine di Mussolini.

Durante la seconda guerra mondiale Jenny è impegnata nella Resistenza come staffetta ed è attiva nella difesa degli ebrei. Il marito sale invece in montagna, in Val d’Ossola, per unirsi ai partigiani.

Nel secondo dopoguerra collabora con vari architetti, dando un’impronta personale. Non smette mai di coltivare la ricerca artistica insieme all’impegno politico-sociale, attiva per la pace e contro ogni forma di sopraffazione. Testimonia con l’arte la lotta della Resistenza, perché non vada dimenticata.

La sua lotta si concentra contro il nuovo nemico: la rimozione storica. La sua opera è caratterizzata dall’impegno politico, come dimostrano i titoli di alcune opere: il Ritratto di Rosa Luxemburg, terracotta del 1956, Fuoco in Algeria, Donne algerine, Anno 1965 e II grido, due sculture dedicate al dramma vietnamita. A Milano, dove insegna a una scuola d’arte la tecnica del lavoro a sbalzo su metalli, esegue oggetti preziosi.

Particolarmente espressive le cinque figure per il Monumento dei partigiani caduti, di Bologna. 

Trascorre gli ultimi anni tra Berlino e Milano, alla ricerca delle proprie radici, nella Germania dell’est.

Muore a Berlino nel 1969.

Nel 1983 suoi lavori sono esposti nella mostra “Esistere come donna” al Palazzo Reale di Milano.

Nella sua arte le donne sono spesso protagoniste, rappresentate nella lotta per sopravvivere, per fronteggiare emergenze di ogni tipo (fame, violenza, solitudine, sfruttamento).

Donna particolare, affascinante e schiva, apparentemente fragile, ma dalla volontà di ferro, viene giustamente ritenuta figura importante dell’avanguardia artistica del ‘900.

Arte al femminile (603)

Ci sono artiste che hanno cercato faticosamente un proprio stile e hanno rifiutato modelli predefiniti.

Romaine Brooks (Beatrice Romaine Goddard) nasce a Roma nel 1874 da una ricca famiglia americana, momentaneamente in città, da cui il nome datole. Il padre, Henry Goddard, è un predicatore famoso, la madre, Ella Watermann, donna bellissima, appartiene a una dinastia di ricchi affaristi.

Romaine ha un’infanzia travagliata, per la separazione dei genitori, a causa dell’abbandono da parte del padre alcolizzato,  e vive con la madre in Europa e negli Stati Uniti, insieme ai fratelli Henry e Maya. Henry ha problemi psichiatrici, per cui necessita di continue attenzioni. La madre, stravagante e dispotica, le impedisce di dedicarsi al disegno sua passione. Sino alla maturità Romaine deve sopportare il dispotismo materno, tra collegi, incomprensioni e scenate.

Dopo aver raggiunto l’età adulta fugge e passa la maggior parte della propria vita a Parigi, alternandola con alcuni soggiorni in Italia, a Capri e a Roma, dove s’iscrive alla Scuola Nazionale d’Arte. Nel 1897 partorisce una bambina, che abbandona. In seguito subisce molestie sessuali, cui si ribella e da cui fugge.

Nel 1901, morti la madre e i fratelli, si trova erede di una cospicua fortuna.

Nel 1903 sposa il pianista John Ellington Brooks, da cui si separa un anno dopo, mantenendo apparentemente la condizione, ufficialmente rispettabile, di donna sposata, con un accordo stipulato con il marito, cui corrisponde una rendita mensile per questo. Lui è dichiaratamente omosessuale, mentre lei scopre la propria bisessualità.

Una volta lasciato il marito ha varie relazioni amorose, tra cui una con lo scrittore Gabriele D’Annunzio. Quest’ultimo la soprannomina “cinerina”, per il prevalere dei toni grigi nella sua tavolozza cromatica. I due ritratti che Romaine fa a D’Annunzio (uno dei quali conservato al Vittoriale) sono tra i più famosi fatti a questo scrittore.

Con Ida Rubinstein, stella dei balletti russi di Serge Diaghilev  e Gabriele D’Annunzio intreccia un complicato triangolo amoroso.

All’inizio della sua carriera adotta una tavolozza dai colori tenui, principalmente nero, bianco, sfumature di grigio, a volte con riflessi ocra, marrone o rosso.

La sua prima mostra, presso la prestigiosa Galleria Durand-Ruel di Parigi, ottiene notevole interesse.

Lavorando a Parigi in un momento in cui Pablo Picasso e altri artisti sfidano gli approcci tradizionali all’arte, lei rimane indipendente e ricerca un proprio linguaggio.

Il rapporto più duraturo e più stabile l’ha con la scrittrice Natalie Clifford Barney, incontrata nel 1915 a Parigi. Nonostante i vari innamoramenti, Romaine rimane profondamente gelosa della propria solitudine.

Durante la prima guerra mondiale si attiva per raccogliere fondi per la Croce Rossa e altre organizzazioni coinvolte nello sforzo bellico. Ottiene per questo la Legione d’Onore.

Negli anni ’30 inizia a scrivere un manoscritto autobiografico, intitolato No Pleasant Memories, con illustrazioni fantasiose. Non lo pubblicherà mai.

Nel 1937 si trasferisce nella Villa Sant’Agnese, vicino a Firenze, dove viene raggiunta dalla Barney, in fuga dalla Francia invasa dai. Tedeschi.

In seguito le due si separano e Romaine rimane in Italia. Il rapporto rimane sino alla fine di Romaine.

Muore a Nizza (Francia) nel 1970.

Romaine è una figura di spicco di una controcultura artistica di europei dell’alta borghesia ed espatriati americani, svincolati dai canoni ufficiali. Nei suoi dipinti rappresenta donne di aspetto androgino, sfidando le idee convenzionali su come le donne devono apparire e comportarsi in quel periodo. Utilizza il ritratto e l’autoritratto per esprimere la propria indipendenza e il rifiuto a conformarsi alle aspettative sociali.

Nel 2016 le è stata dedicata una mostra presso Il Museo d’arte Americano Smithsonian. Nello stesso anno vi è la prima mostra in assoluto dedicata a lei in Italia, presso Palazzo Fortuny a Venezia.

I disegni, che farà soprattutto nell’ultima parte della vita, restano lo specchio più profondo della sua anima fondamentalmente tragica e solitaria.