Arte al femminile (578)

Ancora una grande fotografa…

Kate Horna nasce come Katalin Deutsch a Szilasbalhàs (Ungheria) nel 1912.

Il padre è un banchiere, la sua è una famiglia ebrea, di buone condizioni economiche  e lei può seguire la propria passione per il giornalismo e la fotografia.

Nel 1930 è a Berlino, per studiare giornalismo e frequenta l’ambiente artistico molto vivace: conosce lo scrittore e regista teatrale Bertolt Brecht, il fotografo e pittore Laszlo Moholy-Nagy, nonché gli esponenti della Bauhaus, scuola di arte e design d’avanguardia.

Inizia a lavorare come assistente nell’agenzia Dephot , che promuove un giornalismo sperimentale, focalizzato sulla vita quotidiana, scelta che condizionerà  la sua visione del mestiere.

Rimane molto colpita dal movimento surrealista e dalle immagini che ne derivano. Come ho già avuto modo di ricordare in post precedenti, il surrealismo ha grande forza suggestiva, per la volontà di esprimere una realtà “superiore”, fatta di irrazionalità e sogno.

Nel 1933 torna a Budapest, ma il padre muore e la madre le consiglia di lavorare come fotografa, le regala una Rolleiflex: Kate si specializza nella fotografia pubblicitaria e nel ritratto. L’avvento del Nazismo e l’inizio delle persecuzioni contro gli ebrei la costringono a emigrare di nuovo.

Dopo Berlino è la volta di Parigi, dove per vivere convince l’Agence Photo a finanziare i suoi primi reportage: Mercato delle pulci (1933) e I caffè di Parigi (1935). Dimostra un occhio acuto per l’ironia e il divertimento.

A Parigi ritrova Endre Friedman, meglio conosciuto come Robert Capa.

Nel 1937 la CNT-FAI la incarica di realizzate un album di fotografie per informare il mondo sullo sviluppo della rivoluzione spagnola contro il fascismo, iniziata nel 1936. L’organizzazione anarchica vuole contrastare il discredito diffuso soprattutto all’estero. Kate viaggia per la Spagna, si reca sui fronti di guerra e nelle città bombardate dall’aviazione italiana e tedesca.

Insieme ad altri fotografi documenta la Guerra Civile Spagnola. Mentre le foto di Robert Capa, di Gerda Taro (v.n.571) e di Tina Modotti (v.n.546) su questo conflitto diventeranno famose, le fotografie di Kate e della connazionale Margaret Michaelis-Sachs rimarranno sconosciute per molti anni. Esse riprendono soprattutto gente comune, contadini, donne, zone devastate, evidenziando il dolore e la sofferenza che sempre accompagna una guerra. Ha mostrato soprattutto l’impatto che la guerra ha su donne e bambini, nella vita quotidiana. Nel luglio del 1937 inizia a lavorare nella redazione della rivista settimanale anarchica Umbral, di Valencia come fotogiornalista.

A Valencia, nel 1938, incontra Josè Horna, artigiano e scultore andaluso, che diventa suo marito e con cui ha la figlia Norah. Condividono ideologia e arte: con lui sperimenta la sovrapposizione delle immagini, creando fotomontaggi sorprendenti e surreali.

Con la vittoria di Francisco Franco, i due artisti lasciano la Spagna e tornano nel 1939 a Parigi.

Anche in Francia la situazione non è tranquilla, per la minaccia del Nazismo.

Kate e Josè si imbarcano quindi per il Messico, dove è già insediata una numerosa colonia di profughi europei.

Creano forti legami con altri artisti lì rifugiati, come Remedios Varo (v.n.22) e Leonora Carrington (v.n.21). Le composizioni fotografiche di Kate diventano accostamenti attenti, con la presenza di oggetti, come maschere e bambole, legate al folclore locale. Riprende scene teatrali, sale dei musei e fa ritratti di amici.

Collabora con molte riviste, tra cui Nosotros, che la assume come fotografa a tempo pieno nel 1944.

Nel 1963 rimane vedova. Inizia a collaborare con Alejandro Jodorowsky, drammaturgo, regista, compositore e scrittore cileno.

L’architettura è un altro suo campo di interesse, documentando edifici di valore storico, edifici pubblici inaugurati di recente, collaborando con architetti famosi. Dimostra interesse anche per strutture deteriorate e fatiscenti, che interpreta in chiave surrealista.

Si dedica all’insegnamento alla Escuela Nacional de artes Plasticas dell’Università Nazionale Autonoma del Messico e all’Università Iberoamericana.

Muore a Città del Messico nel 2000.

Le sue foto della Guerra Civile Spagnola, insieme a vari documenti, chiuse in 48 casse di legno, sono state spedite all’Istituto Internazionale di Storia Sociale di Amsterdam e lì dimenticate. Solo 80 anni dopo la storica dell’arte Almudena Rubio le ha riscoperte e per la prima volta esposte nel 2022.  

Libri per capire

Cuore nero è un romanzo che parla di un tema complesso e sempre attuale: quello del male.

Emilia è una giovane donna, che ha compiuto l’irreparabile a 16 anni. Si rifugia nel borgo di Sassaia, quattro case arroccate in montagna, raggiungibili solo a piedi. Qui vive Bruno, un uomo con un passato doloroso, da cui è fuggito rifugiandosi in questo luogo solitario, che gli impedisce relazioni stabili e gli crea intorno un muro protettivo. Altro abitante del borgo è un restauratore, il maestro Basilio, che conosce la storia di entrambi, ma non giudica e accoglie.

Tra Emilia e Bruno nasce un forte sentimento, ma entrambi tengono il proprio segreto.

“Siamo chiaroscuri. Buchi pieni di buio da cui escono, a volte, fortuiti tagli di luce. E tu sei buono, l’ho visto subito. Sei arrabbiato, asserragliato in te stesso come un intrico di spine, ma sei buono. A differenza mia”.

La storia di Emilia emerge a poco a poco: gli anni nel carcere minorile, le compagne conosciute in quella realtà di miseria morale e solidarietà, con propri riti e proprie regole, il progressivo riemergere alla vita. Il padre le sta sempre vicino, stabile come roccia, comprensivo e paziente. Ci sono adulti che aiutano, educano e accompagnano, mentre altri hanno effetti devastanti.

A Sassaia Emilia ritrova a poco a poco un certo equilibrio. Donna interrotta, con un corpo da ragazzina, si ferisce quando va in ansia, non riesce ad addormentarsi da sola, fatica a dedicarsi a qualcosa in modo continuativo. L’amore di Bruno e la passione per l’arte sembrano essere la strada per tornare alla normalità. Però l’amore non regge alla mancanza di verità.

L’anima di Emilia si riassume in un suo disegno, con un cuore come si vede nei manuali di anatomia, con il ventricolo destro e sinistro, le arterie che pompano, ma al centro un grande buco, annerito con la matita così forte da strappare il foglio: un cuore nero. Emilia pensa di non meritare perdono, non lo concede a se stessa.

“Devi perdonarti di essere viva, Emilia. No, non c’è più niente che io possa fare per meritarlo.”

Con grande efficacia l’autrice esplora il mondo del carcere femminile, tocca questioni delicate, esplora cadute e rinascite.

Il suo è un racconto emozionante, che fa capire come il vero male sia non saper perdonare. C’è sempre la possibilità di dare un senso al dolore. La vita non permette a nessuno di fermarsi e piangersi addosso: ti lancia segnali di ripartenza e indizi per rimanere legato alla realtà.

«Questa è una storia d’amore tra due persone che cercano un futuro. Lei dopo aver compiuto l’irreparabile e quindici anni di carcere, lui dopo aver subito l’irreparabile.» (Silvia Avallone).

Alla fine sarà proprio l’accettazione totale dell’altro, che porterà alla rinascita per entrambi.

Molti gli aspetti presi in considerazione dalla scrittrice, con tanti personaggi, che danno spessore alla storia, messi in relazione in forme diverse. C’è l’importanza della famiglia, la forza che da lei può provenire per non annegare. C’è la funzione dell’istruzione nel recupero dei carcerati: gli operatori scolastici che ogni giorno varcano le doppie porte delle carceri per ricordare ai detenuti che possono essere studenti. Ci sono pagine febbrili che toccano il problema della mancanza di affettività nelle carceri tutte. Non mancano riflessioni sulla apparente predestinazione di determinati ceti sociali alla devianza. Emerge il ruolo importante di alcuni operatori, che si impegnano per ogni possibile progetto di recupero…

Particolarmente interessante è come venga evidenziato il meccanismo del tempo dentro e fuori il carcere, per cui Emilia fatica a concepire gli orari del mondo esterno.

Tutto questo dimostra come l’autrice abbia avuto modo di osservare e studiare la realtà di un carcere minorile, avendo fatto esperienza come volontaria in una realtà carceraria di Bologna.

Un romanzo intenso, importante, che emoziona e fa pensare. Affronta in modo delicato un aspetto importante della vita sociale.

Silvia Avallone è nata a Biella nel 1984. Trascorre tutte le estati della giovinezza a Piombino, da suo padre: questo crea un rapporto speciale tra lei e la città toscana, protagonista del suo romanzo più noto, Acciaio. Vive a Bologna, dove si è laureata in Filosofia e specializzata in Filologia moderna con una tesi su La Storia di Elsa Morante. Collabora inoltre con il Corriere della Sera, La lettura e 7, dove scrive mensilmente all’interno della rubrica 4 per 7.

Nel 2007 ha pubblicato la raccolta di poesia Il libro dei vent’anni, vincitrice del Premio internazionale di poesia Alfonso Gatto sezione giovani. Sue poesie e racconti sono apparsi su varie riviste.

Con il romanzo d’esordio Acciaio (Rizzoli, 2010) ha vinto il premio Campiello Opera Prima, il premio Flaiano, il premio Fregene, il premio Città di Penne, e si è classificata seconda al premio Strega 2010. Il romanzo è stato tradotto in 25 lingue, ottenendo ulteriori premi.

Nel 2011, per gli Inediti d’autore del Corriere della Sera, è uscito il racconto La lince, poi tradotto in Francia nel 2012.

Nel 2013 ha pubblicato Marina Bellezza (Rizzoli), il suo secondo romanzo, tradotto in Francia, Olanda, Germania, Norvegia e Svezia, pluripremiato.

Il suo terzo romanzo, uscito nel 2017 ancora per Rizzoli, s’intitola Da dove la vita è perfetta. Il titolo è un verso di una poesia giovanile de Il libro dei vent’anni, ed è dedicato alla figlia. Tradotto in Francia, Olanda, Svezia e Slovacchia.

Nel 2018 viene inserita nella lista dei 47 autori selezionati dai bibliotecari svedesi per l’assegnazione del Contro Nobel per la Letteratura da parte della Nuova Accademia di Svezia.

Il 21 giugno 2019 presso l’Aula Magna dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, durante la cerimonia dei Dottori di Ricerca, le è stata conferita la Medaglia Petrarca per le Arts and Humanities per essersi distinta, in qualità di ex alunna dell’Università di Bologna, in ambito letterario. È la prima volta nella storia dell’Ateneo che questa onorificenza viene assegnata.

In occasione del quarantesimo anniversario della strage alla stazione di Bologna, ha scritto e letto il poema in prosa inedito per il documentario La bomba. 2 agosto 1980, la strage dell’umile Italia. Il romanzo, Un’amicizia, è uscito in Italia per Rizzoli il 10 novembre 2020, è in corso di pubblicazione in 14 Paesi e sarà trasposto in una serie televisiva.

Nel 2024 esce per Rizzoli, Cuore nero.