Libri per capire

Questo romanzo si presta a molte riflessioni sul presente ed evidenzia l’importanza di accostarci a voci che aprano veli su realtà a noi distanti.

In un’intervista l’autore ha detto: «Ho scritto questo libro per l’Europa. Ho scostato il velo per mostrare l’Islam come modo di vivere… un Islam moderato, domestico, non quello radicale.» 

Si raccontano le vicende di un’influente famiglia iraniana, i cui destini sono legati alle trasformazioni del paese, agli equilibri mondiali in cui si trova coinvolto, in un periodo che va dallo sbarco sulla Luna alla fine della guerra con l’Iraq, dal regime dello scià al periodo post-Khomeini.

Figura centrale è Aga Jan, ricco mercante di tappeti e capo del bazar di Senjan, patriarca della casa della moschea, dimora della sua famiglia da decenni. Nella casa tutto ha un ritmo ordinato, la religione ha una funzione vitale, senza esagerazioni. Si seguono le tradizioni senza fondamentalismi, rispettando i precetti del Corano, di cui vengono riportati alcuni passi.

Vi è il Muezzin cieco, che chiama alla preghiera e vive in isolamento lavorando la ceramica. Faqri Diba, la bella mogie di Aga Jan, prende ispirazione per i disegni dei tappeti del marito dalle piume di alcuni uccelli migratori. Nosrat, fratello del capofamiglia, si appassiona all’uso della videocamera e registra momenti importanti delle vicende del suo paese. L’imam Alsaberi cerca di mantenere equilibrio tra la modernizzazione filo occidentale imposta dallo scià e l’intransigenza degli ayatollah di Qom, importante centro religioso. Le nonne, così definite indipendentemente dall’età, curano il benessere di tutti, sperando prima o poi di fare un viaggio alla Mecca… Ci sono i figli alla ricerca della propria strada, i nipoti, Lucertola, il figlio di Saddiq (nipote di Aga Jan), così soprannominato per il suo handicap. Tanti i personaggi che popolano la storia, ognuno descritto in modo efficace e collegato a una quotidianità da cui vengono distolti da episodi drammatici.

Numerose vite si intrecciano e la rivoluzione travolge tutto, cambiando le relazioni, le persone, le situazioni.

Ad un’atmosferica idillica e un po’ magica della prima parte si passa alla storia drammatica che vede prima la repressione poliziesca dello scià, poi la sua cacciata, l’applicazione di un integralismo religioso, in cui anche il canto è peccato. Inizia un periodo in cui si è condannati a morte con esecuzioni sommarie e anche i morti giustiziati non hanno neppure l’onore della sepoltura, come il figlio di Aga Jan.

In questo lungo percorso doloroso, la famiglia della casa della moschea affronta lutti, allontanamenti, dubbi sulla propria religione e sul futuro. Diventa lo specchio di quel che succede nel paese, tra golpe, attentati e brutali omicidi. Molto interessante la precisione con cui, partendo da vicende familiari, l’autore descrive il progressivo crescendo della rivolta, mettendo in evidenza motivazioni e protagonisti. Alcuni diventano feroci esecutori delle direttive centrali, altri si ribellano e pagano questo con la vita, c’è chi fugge, chi cerca di conservare la propria integrità morale, trovando nel Corano parole di consolazione e guida, chi tenta di mantenere le proprie abitudini e il proprio lavoro in una società sconvolta, chi si isola e chiude in se stesso.  

Aga Jan attraversa tutto mantenendo la propria integrità morale, il proprio equilibrio, riuscendo a perdonare e ritrovare serenità quando il paese sembra placarsi.

Un romanzo che fa capire la complessità di un mondo ancora sconvolto da tensioni interne, in cui ci fa entrare per farcelo conoscere e comprendere. Un paese molto amato dallo scrittore, che dice di aver inserito nella storia anche elementi autobiografici.

Una scrittura particolare, poetica e incisiva al tempo stesso.

Una lettura importante, alla luce dei recenti fatti che di nuovo sconvolgono l’Iran, così affascinante e così tormentato. 

“lef Lam Mim. C’era una volta una casa, una casa antica, che si chiamava “la casa della moschea”.
Era una grande casa, con trentacinque stanze. Lì, per secoli, famiglie dello stesso sangue avevano vissuto al servizio della moschea. Ogni stanza aveva una funzione e un nome corrispondente a quella funzione, come la stanza della cupola, la stanza dell’oppio, la stanza dei racconti, la stanza dei tappeti, la stanza dei malati, la stanza delle nonne, la biblioteca e la stanza del corvo.”

Kader Abdolah (pseudonimo di Hossein Sadjadi Ghaemmaghami Farahani), scrittore iraniano naturalizzato olandese, dal 1985 è un rifugiato politico. Trasferitosi prima in Turchia, ha preso il suo pseudonimo dai nomi di due esponenti dell’opposizione assassinati dal regime iraniano. Si è poi definitivamente stabilito in Olanda, nazione che ha eletto come sua seconda patria, imparandone la lingua. In olandese ha pubblicato le sue opere, ad iniziare dal primo romanzo a sfondo autobiografico De reis van de lege flessen (Il viaggio delle bottiglie vuote). Il suo debutto editoriale risale al 1993, con la raccolta di novelle De adelaars (Le aquile), ma Kader Abdolah non disdegna la sfera giornalistica, collaborando stabilmente con il giornale “de Volkskrant”, dove, con la firma “Mirza”, che significa cronista ed è anche il nome di suo padre, pubblica una rubrica di attualità. Tra le sue opere ricordiamo anche: Scrittura cuneiforme (2003), Calila e Dimna (2005), Ritratti di un vecchio sogno (2007).