Una storia vera

Questo romanzo è ispirato alla storia vera di Hedy Epstein, che ha potuto essere intervistata e offrire la propria testimonianza.

Il “vento” cui si fa riferimento nel titolo è quello del nazismo, che spazza via ogni umanità e solidarietà nelle persone che vi aderiscono, portando alla tragedia dei campi di concentramento. In un periodo storico in cui vi sono tentativi di presentare fascismo e nazismo come eventi con qualche aspetto positivo, penso sia utile riappropriarsi della storia, anche con un romanzo.

Hedy è una bambina tranquilla, studiosa, con genitori affettuosi. La famiglia è ebrea, ma senza fanatismo. Nel giro di poco tempo tutto cambia: gli ebrei sono perseguitati, insultati, privati dei propri beni. Dilaga la più becera violenza contro di loro. I compagni di scuola la evitano e la deridono, anche quelli che sino al giorno prima giocavano con lei. Un mattino un professore le punta addirittura una pistola alla tempia e non può più andare a scuola.

I genitori riescono a farla fuggire in Gran Bretagna, prima di essere deportati.

Finita la guerra, inizia il processo di Norimberga contro i criminali nazisti. Hedy ritorna in Germania, questa volta con una divisa americana e il compito di partecipare al processo, scavando negli archivi del reich, per trovare prove dell’orrore. In particolare deve indagare sugli esperimenti medici fatti nei campi di sterminio.

Per lei è una prova durissima, soprattutto per l’indifferenza dimostrata dagli imputati di fronte alle terribili accuse. Più volte vorrebbe sfuggire a questo impegno, pensando a quello che può essere capitato ai suoi genitori, che sembrano spariti nel nulla.

Pur essendo una bella ragazza, stimata e con amicizie solidali, non riesce a vivere spensieratamente la propria giovinezza, tormentata dai ricordi.

Pur di ritrovare se stessa, finito il processo, decide di trasferirsi definitivamente negli Stati Uniti, perchè la Germania non è più sentita come patria.

Sono intrecciati in dimensione narrativa importanti testimonianze documentali e resoconti di profughi e vittime della guerra.

Un racconto lucido, che emoziona. Fa riflettere sul concetto di giustizia, sul conflitto di chi si è salvato, combattuto tra desiderio di vendetta e rispetto della giustizia ufficiale. Ci mette di fronte alla devastazione spirituale provocata da ogni forma di dittatura.

«Racconto di quando ero una “bambina nel vento” perché non accada più a nessun bambino di sentirsi colpevole solo perché esiste».( HEDY EPSTEIN)

Hedy Epstein è nata a Friburgo, in Germania, nel 1924. Sopravvissuta alla Shoah grazie al Kindertransport, il treno che portò diecimila bambini ebrei in Inghilterra, è entrata a sedici anni nella resistenza e in seguito ha lavorato al processo di Norimberga contro i medici nazisti. Nel 1948 ha lasciato l’Europa per gli Stati Uniti, iniziando una lunga storia di impegno per i diritti civili e la pace, dalla guerra del Vietnam al Guatemala, dal Nicaragua alla Cambogia. Attivista appassionata e indomita, è stata arrestata ancora a novant’anni per aver opposto resistenza passiva durante le manifestazioni di protesta scaturita dalla morte del giovane Michael Brown, un teenager nero disarmato ucciso dalla polizia in Missouri. Non ha mai smesso di lottare.

Vita e letteratura

Due vite di Emanuele Trevi, ed. Neri Pozza

Questo libro è innanzitutto il racconto di due vite singolari, come lo sono un po’ tutte le vite, ma c’è anche un terzo personaggio, che è l’autore stesso, presente sia in molte delle situazioni descritte sia nelle riflessioni che ogni tanto appaiono nel testo.

I personaggi principali sono uniti da una fine triste e insensata: Rocco Carbone è deceduto nel 2008 a quarantasei anni a causa di un incidente in motorino, dinanzi alla statua di Scanderbeg (di piazza Albania a Roma), l’eroe albanese molto celebrato nella sua natia Calabria; Pia Pera è morta nel 2016 a sessant’anni, falcidiata dalla Sla nel rigoglioso podere nei pressi di Lucca in cui si era ritirata.

Trevi ricorda i suoi amici credendo nella potenza evocatrice della scrittura. “La scrittura è un mezzo singolarmente buono per evocare i morti”, “Consiglio a chiunque abbia nostalgia di qualcuno di fare lo stesso: non pensarlo, ma scriverne”. La scrittura come strumento per vivere e far rivivere!

Dovendo però parlare di qualcuno, farne il personaggio di un libro, si richiedono alcune attenzioni. Dice ancora Trevi: “più ti avvicini a un individuo più assomiglia a un quadro impressionista, a un muro scorticato dal tempo e dalle intemperie: diventa insomma un coagulo di macchie insensate, di grumi, di tracce indecifrabili. Ti allontani viceversa e quello stesso individuo comincia ad assomigliare troppo agli altri….L’unica cosa importante in questo tipo di ritratti scritti è cercare la distanza giusta, che è lo stile dell’unicità.” Per questo non abbiamo dei ritratti lineari, delle sequenze temporali, ma si procede per flash, per momenti, alternati a pensieri, riflessioni in cui possiamo ritrovare un senso anche noi lettori.

«Scrivere di una persona reale e scrivere di un personaggio immaginato alla fine dei conti è la stessa cosa: bisogna ottenere il massimo nell’immaginazione di chi legge utilizzando il poco che il linguaggio ci offre. Far divampare un fuoco psicologico da qualche fraschetta umida raccattata qua e là. (…) Che differenza c’è tra la Pia Pera registrata all’anagrafe di Lucca il 12 marzo del 1956 e la Tat’jana di Puškin? Dal punto di vista del linguaggio, sono solo due pupazzetti fatti di scampoli lisi e fil di ferro, un ciuffetto di crine per i capelli, due bottoni spaiati per gli occhi.» (p. 83)

C’è tanta letteratura in questo libro!

Siamo nel campo della letteratura e la letteratura è una ricerca della verità pigra, che non tende all’universale, ma si concentra sul particolare, sulla singolarità. Lo ripete Trevi anche nel libro, esplicitamente: “la letteratura deriva la sua stessa ragion d’essere dal rifiuto di ogni generalizzazione: è sempre la storia di quella persona, murata nella sua unicità, artefice e prigioniera della sua singolarità”. La letteratura è ancorata al racconto di un caso, non può essere un criterio di conoscenza generale e definitivo. Il meccanismo della scrittura porta in alcuni casi a una vera dilatazione dei confini dell’io individuale: attraverso la scrittura noi creiamo altri dati memoriali rispetto a quelli di partenza, la scrittura crea il senso di ciò che ricordiamo, rende vivide le cose. “Tocchi quello che sapevi, ma non sapevi di sapere e questo ha a che fare con l’evocazione, il dialogo con le ombre.”

Scrivendo di Pia e di Rocco, i protagonisti di Due vite, l’autore dice di avere sentito realmente, concretamente la loro presenza. Trattandosi di due scrittori, si osserva un intreccio tra personalità e stile di scrittura. Lo scrivere è un po’ uno svelamento, c’è un collegamento tra personalità e scrittura. I tre amici hanno trascorso la loro vita tra letteratura ed esperienza condivisa.

Elementi che caratterizzano i due personaggi e il loro stile:

  • Rocco= fobia dell’ornamento, idea sobria dello spazio e della presenza umana, mancanza di eloquenza. Muoversi verso l’essenza, il nitore, la coincidenza più stretta possibile del nome e della cosa. Uniformità come principio della scrittura, controllo razionale, mondo fatto di nomi comuni. I suoi personaggi non suscitano l’emozione capitale, ossia l’identificazione.
  • Pia=intensa, dotata di un’anima prensile e sensibile, incline all’illusione, facile a risentirsi. In Pia congruenza di parole e cose…il terreno considerato come una pagina e la coltivazione come scrittura.

L’apparire dell’altro nel ricordo significa l’emergere di una parte nascosta o rimossa della coscienza. “Noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene. E quando anche l’ultima persona che ci ha conosciuto da vicino muore, ebbene, allora davvero noi ci dissolviamo, evaporiamo, e inizia la grande e interminabile festa del Nulla, dove gli aculei della mancanza non possono più pungere nessuno.”

Continuo è il passaggio dal particolare all’universale: “Da pochi mesi ho compiuto l’età esatta in cui Pia si è ammalata, cominciando a perdere progressivamente, inesorabilmente, giorno dopo giorno, l’uso del suo corpo. Gli anni di Rocco, invece, ormai li ho superati abbondantemente. I nostri amici sono anche questo, rappresentazioni delle epoche della vita che attraversiamo come navigando in un arcipelago dove arriviamo a doppiare promontori che ci sembravano lontanissimi, rimanendo sempre più soli, non riuscendo a intuire nulla dello scoglio dove toccherà a noi, una buona volta, andare a sbattere.”

Interessante la simbologia del quadro di Courbet, di cui si parla all’inizio e alla fine del romanzo: la vita all’inizio sembra nascondere qualche promettente segreto, ma rimane sino alla fine un mistero.

Parlando di scrittori si parla poi di vocazione di ognuno: un’autentica vocazione valorizza al massimo fatti o predisposizioni già presenti nella vita in modo embrionale o marginale… le vere rivoluzioni sono trasformazioni di ciò che già sappiamo, di ciò che abbiamo sempre avuto sotto gli occhi.

“Come è possibile che conteniamo in noi tante cose così disarmoniche e spaiate, manco fossimo vecchi cassetti dove le cose si accumulano alla rinfusa, senza un criterio?”

“Non siamo nati per diventare saggi, ma per resistere, scampare, rubare un po’ di piacere a un mondo che non è stato fatto per noi.” È la realistica conclusione

Questo libro l’ho dovuto leggere due volte per apprezzarlo veramente e cogliere quanto poteva risuonare in me come in ogni altro lettore. Vi ho trovato considerazioni sulla vita così incisive da essere spunti di riflessione e ripensamento soprattutto sul valore dello scrivere. Una bella esperienza!

Biografia come romanzo…

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Marguerite è la biografia di Marguerite Duras trasformata in struggente romanzo. Il libro non segue un ordine cronologico, ma procede per “squarci”, alternando ricordi dell’infanzia con momenti più recenti sino alla decadenza finale. Abbiamo una storia di vita, ma anche un percorso di crescita letteraria, perché Marguerite è una grande scrittrice e lo scrivere è per lei la spinta fondamentale, la ragione del suo essere e della sua vita, anche se poi conclude che “scrivere non insegna altro che a scrivere”. Abbiamo una serie di episodi, suggestioni, ricordi, atmosfere che, basati su una puntigliosa ricerca documentaria, ricompongono la vita di una donna straordinaria: l’infanzia in Indocina, durante il colonialismo francese, i problematici rapporti familiari, le incertezze adolescenziali, il ritorno in Francia, i complicati e numerosi amori, la nascita del figlio, il coinvolgimento nella Resistenza, l’impegno politico, la produzione letteraria e cinematografica, le amicizie e il ruolo importante nella cultura del suo tempo. Abbiamo trionfi e sconfitte, i premi letterari, la fama e i problemi di alcolismo, con i deliri dovuti alla disintossicazione. Gioca con le parole sino alla fine, afflitta da un’inquietudine e dalla continua ricerca dell’amore, anche se “nessun amore vale l’amore”.

“…non potevo raccontare tutto, ma ci sono degli elementi che mi stavano a cuore, dei centri della narrazione, da cui si irradia tutto il resto: la scrittura, le sue scelte, i suoi grandi amori, i grandi litigi. E allora, per esempio, ho differenziato le varie parti del libro con i nomi presi nelle sue diverse età: era Nenè da piccola, fino all’università; poi Margot per gli amici, per i mariti, gli amanti, o Meg per un’amica inglese. Alla fine è solo Duras, quando diventa famosa, nel delirio alcolico di megalomane, a causa del quale parlava di sé in terza persona e si autodefiniva “genio”. Il titolo è Marguerite perché unisce tutte le personalità, le età: lei è, e resta, Marguerite….”

 

Sandra Petrignani, autrice negli anni ’80 e ‘90 del romanzo postmoderno Navigazioni di Circe (premio Morante opera prima), dell’incantevole Catalogo dei giocattoli, del preveggente Vecchi, delle interviste a grandi scrittrici italiane Le signore della scrittura, è nata a Piacenza nel ’52. Vive a Roma e nella campagna umbra. Le sue opere più recenti sono l’autofiction Dolorose considerazioni del cuore (Nottetempo, 2009) e il vagabondaggio E in mezzo il fiume. A piedi nei due centri di Roma (Laterza, 2010). Nel catalogo Neri Pozza: il fortunato La scrittrice abita qui, pellegrinaggio nelle case di grandi scrittrici del ‘900;  i racconti di fantasmi Care presenze; il libro di viaggio Ultima India.

Storia di una pittrice straordinaria…

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Questo libro alterna la storia della pittrice Charlotte Salamon con il percorso fatto dal narratore per ripercorrerne la vicenda umana. David Foenkinos si reca a una mostra ad Amsterdam dedicata alla pittrice ebrea Charlotte Salamon. Le sue tele lo colpiscono talmente che inizia a cercare notizie sulla pittrice. La biografia inizia nei primi anni del Novecento. Parte dall’infanzia di Charlotte a Berlino, con la ricerca dei luoghi e delle persone che hanno avuto modo di conoscerla o incontrarla. Charlotte, bimba malinconica e solitaria, appartiene a un albero genealogico maledetto. La zia, che portava il suo stesso nome, si è suicidata a 18 anni, gettandosi nelle acque gelate di un fiume, per un disagio esistenziale trasformatosi in nevrosi. L’adorata madre Franziska segue il destino della sorella e si getta da una finestra, dopo avere tentato in tutti i modi di vincere la propria depressione. Charlotte cresce solitaria, introversa, selvatica e sofferente con i nonni e un padre spesso assente. Il padre David, medico famoso e stimato, cerca in tutti i modi di salvare la figlia da un destino che ha già sconvolto altri familiari del ramo materno. Egli sposa in seconde nozze una cantante famosa, Paula, che riesce a stabilire con Charlotte un rapporto di profondo affetto. La matrigna ha una positiva influenza sulla ragazza, sostituendo il padre, sempre più concentrato sulla carriera, cercando di proteggerla dalla nefasta influenza dei nonni. Durante un viaggio in Italia Charlotte scopre la pittura e una vocazione che non la lascerà più. Giovane taciturna e di una sensibilità esasperata, s’innamora dell’insegnante di canto di Paula, Alfred, con cui intesse un complesso rapporto amoroso, con un coinvolgimento totale. Ammessa all’Accademia delle Belle Arti di Berlino, si segnala per le proprie indiscutibili capacità. Rimane coinvolta nelle persecuzioni naziste contro gli ebrei. Dopo la notte dei cristalli del ’33 è costretta a raggiungere i nonni in Francia, mentre i genitori riparano in Olanda. Gli ultimi anni sono drammatici: prigioniera con il nonno in un campo di concentramento, dal quale viene liberata, riesce poi a sfuggire a una retata. Si rifugia nel sud della Francia dove incontra Alexander Nagler, rifugiato austriaco, che rimane affascinato dalla pittrice e la sposa. Incinta di cinque mesi Charlotte viene catturata e deportata con il marito e finirà i suoi giorni in una camera gas a soli 26 anni.

Prima di essere catturata Charlotte affida a un medico amico i suoi quadri dicendo: “È tutta la mia vita”.

La scrittura di questo libro è particolarissima, con frasi brevi o brevissime riportate con continui a capo, tanto da rendere il testo particolarmente incisivo, quasi che ogni frase abbia un valore a sé. La figura di questa donna straordinaria, dal destino così tormentato e infelice, emerge in tutto il suo fascino e la sua forza morale. La pittura è stata veramente tutta la sua vita e le ha dato la forza di sopravvivere anche nei momenti più tormentati.

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Una misteriosa miliardaria

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Estate of Huguette Clark from EmptyMansionsBook.com

Huguette Clark, multimilionaria erede del Re del Rame William Clark, scampata per poco al naufragio del Titanic ma anche al crollo delle Due Torri, muore nel 2011 a New York alla venerabile età di 104 anni. Si spegne fra infermiere e avvocati nella semplice e anonima camera dell’ospedale, in cui si è auto-reclusa vent’anni prima, pur godendo ottima salute e possedendo castelli, palazzi e appartamenti completamente sfitti, ma di cui fa curare in modo maniacale la manutenzione.

Gli autori di questa biografia ci portano attraverso quasi 200 anni di storia americana, facendo riferimento a testimonianze, lettere, atti giudiziari ecc. Il racconto ci fa prima conoscere il padre di Huguette, William Andrews Clark, che con intelligenza, coraggio, spregiudicatezza e intraprendenza riesce ad accumulare una favolosa ricchezza. In un secondo momento introduce la vicenda umana di Huguette, nata dal secondo matrimonio di W.A.Clark, che a 62 anni sposa la ventitreenne Anna La Chapelle. Huguette rimane una figura misteriosa fino alla fine: ama l’arte, dipinge con una discreta tecnica, apprezza la musica. Vive in case immense e magnifiche, coltivando poche amicizie, molto legata alla sorella Andrée, che muore adolescente e alla madre, di cui conserva ogni oggetto come se fosse una preziosa reliquia. Si sposa poco più che ventenne con un coetaneo, da cui si separa dopo pochi mesi, ma con cui rimane in amicizia per tutta la vita. S’innamora di un affascinante avventuriero, ma ne rimane solo amica, sollecitandolo a sposarsi con un’altra. Huguette passa la vita in dimore da favola, in cui la sua presenza è quasi evanescente: il silenzio, la solitudine sembrano le sue dimensioni preferite. Il palazzo Clark, tra la Quinta e la Settantasettesima Strada di New York, è la casa in cui cresce: 3 appartamenti con 121 stanze, 5 gallerie destinate alle opere d’arte, che il padre ricerca con attenzione, un organo elaboratissimo, una fornita biblioteca. La villa di Bellosguardo a Santa Barbara, su un altopiano affacciato sull’Oceano Pacifico, è la residenza estiva, in mezzo ad un magnifico bosco che la nasconde.  Le Beau Chateau è la villa più costosa di tutto il Connecticut, che Huguette compra senza mai andarci ad abitare: nove camere da letto, undici caminetti, un ascensore e persino un locale dove asciugare i tendaggi, per un totale di 1300 metri quadrati, a cui si aggiungono 21 ettari di bosco, con tanto di cervi, tacchini selvatici e fiume privato con cascata. Huguette paga cifre esorbitanti perché le sue “dimore vuote” rimangano perfette nella pulizia, nella disposizione dei mobili e degli arredi vari: nulla deve essere spostato o mutato. Sino in tarda età colleziona bambole per le quali fa costruire una serie di case in miniatura, che commissiona sulla base di disegni precisi, facendole fare persino in Giappone. Molte sono le persone che segue e aiuta per tutta la vita e molte quelle con cui mantiene regolari rapporti epistolari. Alla fine della storia rimane irrisolta la domanda “Chi era veramente Huguette?”. Un libro interessante!

Biografia della poetessa Szymborska

bb23d5b64317013edf86afd8c2430859_w240_h_mw_mh_cs_cx_cyPer chi ama la poesia e ha avuto modo di apprezzare la poetessa Szymborska, questo libro dà un quadro completo di un’epoca, di un percorso umano e artistico. Con cura e attenta documentazione le autrici ricostruiscono la vita di questo singolare personaggio. Il racconto segue un ordine cronologico, evidenziando aspetti della personalità, riportando testimonianze di chi l’ha conosciuta, sue poesie e suoi scritti. Ci si perde un po’ tra i nomi e le citazioni, per cui è una lettura che richiede concentrazione e attenzione.

Tra le pagine di Cianfrusaglie del passato emergono i rapporti con i genitori («Mio padre era quello con cui si parlava, mentre con la mamma si cresceva, ci si lavava il collo e ci si cambiava i calzini»), la sofferenza per la morte precoce del padre e la vicinanza alla madre, che deve portare avanti con difficoltà la famiglia. L’iniziale infatuazione per l’ideologia comunista la porta a scritti che poi critica: si rende conto presto della cruda realtà del regime. Il matrimonio con Adam Włodek, poeta, giornalista e letterato, le fa capire le proprie potenzialità poetiche. Alla fine del matrimonio, durato sei anni, conserva stima e amicizia per l’ex marito, che assiste nel momento della malattia. Trasferitasi in un minuscolo appartamento (soprannominato il cassetto per le sue dimensioni), frequenta numerosi letterati, lavora per riviste e fa alcuni viaggi in Europa. Si parla della felice unione con lo scrittore Kornel Filipowicz cui dedicò molte poesie d’amore (da Amore a prima vista a Il gatto in un appartamento vuoto) e il dolore per la sua scomparsa, dopo 22 anni di vita insieme, ma in case separate. C’è la corrispondenza con Woody Allen, che non riuscì mai a incontrare. Il titolo si collega a «la simpatia per le cianfrusaglie del passato, i ninnoli di gusto kitsch, i gadget curiosi e le cartoline riportati dai viaggi all’estero oppure scovati nei mercatini dell’usato». Si scoprono aspetti domestici, come la passione per le lotterie, i telequiz, i serial televisivi e i collage.

«È riuscita fin quasi alla fine a vivere con i suoi ritmi, a lavorare, a incontrarsi con gli amici, a fumare sigarette, a bere un bicchierino di vodka», scrivono Bikont e Szczesna. «E a scrivere poesie». È morta a casa sua, nel sonno, a 88 anni.

«La letteratura non detiene il monopolio della meraviglia», ha detto in un’intervista. «La vita di tutti, quella consueta, è fonte incessante di stupore ».

Tra le poesie una ha il significativo titolo di Epitaffio: “Qui giace come virgola antiquata / l’autrice di qualche poesia…”

“Il poeta oggi è spesso scettico e diffidente… malvolentieri dichiara in pubblico di essere poeta – quasi se ne vergognasse: nella nostra epoca chiassosa è molto più facile riconoscere i propri difetti, perché sono visibili. Molto più difficile riconoscere le qualità, finché esse sono tenute nascoste.”

Ad alcuni piace la poesia

Ad alcuni-
cioè non a tutti.
E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza.
senza contare le scuole, dove è un obbligo,
e i poeti stessi,
ce ne saranno forse due su mille.

Piace-
mi piace anche la pasta in brodo,
piacciono i complimenti e il colore azzurro,
piace una vecchia sciarpa,
piace averla vinta,
piace accarezzare un cane.

La poesia –
ma cos’e’ mai la poesia?
Piu’ d’una risposta incerta
e’ stata gia’ data in proposito.
Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo
come alla salvezza di un corrimano.

szymborska-da-giovaneWislawa Szymborska (1923-2012) è stata una poetessa e saggista polacca, premio Nobel nel 1996. Il critico tedesco Marcel Reich- Ranicki ha affermato: «È la poetessa più rappresentativa della sua nazione, la cui poesia lirica, ironica e profonda, tende verso la poesia lirica filosofica». Il traduttore italiano, Pietro Marchesani, ha indicato nell’incanto il tratto più significativo dei suoi versi. La Szymborska individua l’origine della poesia nel silenzio. Utilizza espedienti retorici quali l’ironia, il paradosso, la contraddizione per illustrare temi filosofici e le ossessioni che ne derivano. È definita come una miniaturista, le cui poesie compatte spesso evocano ampi enigmi esistenziali.

Anna Christine Bikont (Varsavia, 1954) è giornalista e scrittrice polacca, autrice e coautrice di libri e raccolte di report.

Joanna Szczena (Lodz, 1949) è giornalista e scrittrice politicamente impegnata.

Entrambe sono collaboratrici del quotidiano “Gazeta Wyborcza”. Hanno conosciuto la Szymborska nel 1996, ai tempi del Nobel. Sono importanti i loro saggi sul poeta e saggista polacco Milosz, sulla questione ebraica in Polonia e sui rapporti tra scrittori e comunismo.

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Una grande scrittrice!

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Alice Munro nasce nel 1931 a Wingham, in Canada. La sua è una famiglia di allevatori e agricoltori, ma la madre è diventata insegnante, vincendo le resistenze paterne. La Munro comincia a scrivere da adolescente e pubblica la sua prima novella, “The Dimensions of a Shadow”, mentre è studentessa universitaria, nel 1951. Durante questo periodo lavora come cameriera, raccoglitrice di tabacco e impiegata di biblioteca. Abbandona l’università, presso la quale frequenta la facoltà di Inglese dal 1949, per sposare James Munro e trasferirsi a Vancouver. Le sue figlie Sheila, Catherine e Jenny nascono rispettivamente nel 1953, 1955 e 1957, ma Catherine muore quindici ore dopo essere nata. Nel 1963 i Munro si trasferiscono a Victoria, dove aprono una libreria. Nel 1966 nasce un’altra figlia, Andrea. Nel 1968 esce la sua prima raccolta di racconti, “La danza delle ombre felici”, che ottiene successo di pubblico e di critica. Segue “Vite di ragazze e di donne” (1971). Nel 1972 divorzia e ritorna nell’Ontario, dove diventa “Writer-in-Residence” all’università del Western Ontario. Nel 1976 si sposa con il geografo Gerald Fremlin. La coppia si trasferisce in una fattoria nei pressi di Clinton. Dal 1978 s’intensifica la produzione letteraria di novelle e racconti. Nel 1980 ottiene il posto di Writer-in-Residence presso due importanti università canadesi. Nel corso degli anni ottanta e novanta la Munro pubblica una raccolta di racconti brevi ogni quattro anni vincendo numerosi premi nazionali e internazionali. Nel 2006 esce la raccolta “La vista di Castle Rock”. Il suo racconto “Nemico, amico, amante…”è stato adattato per il cinema nel 2006. Nel 2005 è insignita del titolo di duchessa dell’Ontario. Nel 2013 riceve il premio Nobel come “maestra del racconto breve contemporaneo”.

I suoi racconti indagano le relazioni umane, viste attraverso aspetti della vita quotidiana, analizzando pensieri, ricordi, segreti e premonizioni. Il suo stile, apparentemente semplice, “frammenta” il racconto, interrompendolo di continuo, aggiungendo un episodio risalente al passato per poi tornare al presente, in un fluire ondulato della memoria. Le storie, ambientate per lo più nelle piccole cittadine dell’Ontario sudoccidentale, hanno come temi prediletti i problemi delle ragazze durante l’adolescenza, il loro rapporto con la famiglia e con l’ambiente circostante, il matrimonio, il divorzio, la vecchiaia, la solitudine: ossia la vita nelle sue varie sfaccettature.

“La vista da Castle Rock” è una raccolta di racconti che prende avvio dalla Scozia, terra d’origine degli antenati della Munro, i Laidlow, che emigrano in Canada, trovando un ambiente geograficamente molto duro, una grande campagna, un territorio sconfinato, quasi da Far West. Siamo nel 1818 e, dopo varie peripezie, gli antenati scozzesi riescono ad integrarsi in terra straniera: in questa parte della storia ci sono vari personaggi, talvolta anonimi, legati da vincoli familiari e nessuno di loro emerge in modo particolare. Si arriva poi agli anni ’30, quando nasce anche la Munro e qui ci sono aspetti autobiografici mescolati a storie di personaggi fatti nascere dalla fantasia. Parla della grande depressione, di un padre che si mette in proprio per vendere animali da pelliccia, ma poi fallisce e deve andare a lavorare in fabbrica. Domina su tutti la cultura anglosassone, protestante, austera che si collega all’identità del Canada, dagli spazi smisurati e indomabili, plasmando gli animi e i caratteri, che si adeguano all’asprezza del territorio. Molti, anche in questa parte, sono i personaggi: ci sono donne simili a lei, alla ricerca di vie di fuga, intellettualmente curiose, o simili alla matrigna, donna molto pratica, molto efficiente, disattenta ai bisogni profondi della figliastra, con cui entra in conflitto e che non le piace per niente. Il matrimonio diventa quasi una via di fuga o un evento accettato con rassegnazione, perché destino fatale delle donne. Gli ultimi racconti sono i più toccanti: la scrittrice parla dei suoi rapporti con la famiglia, della sua separazione, della paura dovuta ad una diagnosi errata, ma concedendosi a tratti, quasi con distacco dalla realtà, come non le appartenesse. Nello stesso tempo si manifesta il tentativo di ricomporre un’unità perduta con il passato e questo si nota nell’Epilogo, con Alice alla ricerca di tombe di famiglia che non si trovano o che, pur rintracciate, non dicono più nulla.

Sono racconti ricchi di atmosfere e con un po’ di mistero… Grande scrittrice!

L’ora di tutti

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“L’ora di tutti” è ambientato alla fine del ‘400, durante l’assedio di Otranto da parte dei Turchi.

«La tematica proviene da un’area di mia ricerca storica in quanto ho lavorato a lungo sulla cultura del Regno di Napoli nel Quattrocento» dice l’autrice, così come : “Lo spunto è nato sì dai miei frequenti soggiorni estivi a Otranto, dove sentivo parlare di tutti questi martiri”.

Il romanzo è suddiviso in 5 racconti tra loro intrecciati: ogni racconto è narrato in prima persona dal protagonista. Attraverso queste vicende si ha il quadro della battaglia contro il nemico comune, della valorosa resistenza e della resa finale. I narratori sono: il pescatore Colangelo, il capitano Zurlo, la bellissima Idrusa, Nachira e Aloise de Marco, unico sopravvissuto, che racconta della rinascita della città dopo la liberazione dai Turchi. Particolarmente intenso il racconto di Idrusa, vedova di un pescatore, che si uccide mentre cerca di salvare un bambino catturato da un soldato turco. I personaggi parlano “da morti”, secondo le modalità dell’Antologia di Spoon River.

Il linguaggio, semplice e ricercato insieme, è ricco di parole desuete, di motti latini, di lemmi salentini italianizzati, segno dell’amore della Corti per la linguistica.

In questo romanzo si respira l’atmosfera degli assolati paesi pugliesi, il bianco della calce delle case, il sole abbagliante, l’arsura, il silenzio, la polvere e la difficoltà del vivere…

Gli uomini di fantasia corrono sempre un grande pericolo a vivere…

Solo i vivi contano gli anni. Ed è mutato qualcosa?…

Chi si ferma ad ogni curva per guardare indietro e vivere del passato è già uno sconfitto…

Maria Corti nasce a Milano nel 1915. Rimasta presto orfana di madre, passa l’adolescenza in collegio, presso le suore Marcelline a Milano. Sono anni difficili, confortati solo dalle molte letture. Il padre, ingegnere, lavora in Puglia e non le può stare vicino. Iscrittasi all’Università di Milano, consegue due lauree: in Lettere e in Filosofia. Inizia poi subito ad insegnare al ginnasio, prima a Chiari (Brescia), poi a Como e infine a Milano. Contemporaneamente ottiene l’incarico di assistente presso l’Università di Pavia. Descrive le sue esperienze di lavoratrice pendolare nel suo primo romanzo, “Il trenino della pazienza”. Durante la seconda guerra mondiale partecipa attivamente alla Resistenza. Alla fine della guerra inizia la carriera universitaria, dapprima all’Università del Salento, poi a Pavia. Con alcuni colleghi dell’Università di Pavia fonda la Scuola di Pavia, che si occupa di studi filologici e semiotici. Crea poi il Fondo Manoscritti di autori moderni e contemporanei, un archivio di scritti, manoscritti e appunti vari, donati da scrittori e poeti del Novecento.

Innumerevoli le sue pubblicazioni: saggi, romanzi, libri di testo, articoli…Fonda varie riviste e collabora a quotidiani e ad iniziative editoriali. Dirige due collane presso Bompiani.

Di fisico minuto, è una lavoratrice instancabile, dalla volontà di ferro.

All’inizio del 2002, ancora attiva e lucida, muore, dopo un ricovero a seguito di una crisi respiratoria.

Come scrittrice è stata una sperimentatrice di diversi registri narrativi. I suoi romanzi sono tutti viaggi: metaforici, spaziali o storici.

Poesia e pazzia

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Gli scritti di Alda Merini hanno per me un fascino particolare: sono pieni di umanità, di calore e di amore per la vita, nonostante il suo vissuto tragico.

LA SEMPLICITÁ-VENTO

La semplicità è mettersi nudi davanti agli altri.
e noi abbiamo tanta difficoltà ad essere veri con gli altri.
Abbiamo timore di essere fraintesi, di apparire fragili,
di finire alla mercé di chi ci sta di fronte.
Non ci esponiamo mai.
Perché ci manca la forza di essere uomini,
quella che ci fa accettare i nostri limiti,
che ce li fa comprendere, dandogli senso e trasformandoli in energia, in forza appunto.
Io amo la semplicità che si accompagna con l’umiltà.
Mi piacciono i barboni.
Mi piace la gente che sa ascoltare il vento sulla propria pelle,
sentire gli odori delle cose,
catturarne l’anima.
quelli che hanno la carne a contatto con la carne del mondo.
Perché lì c’è verità, lì c’è dolcezza, lì c’è sensibilità, lì c’è ancora amore.

(Alda Merini)

 

Alda Merini nasce a Milano nel 1931, in una famiglia di condizioni modeste, con il padre impiegato, la madre casalinga e due fratelli, Anna ed Ezio. É molto brava a scuola, perché lo studio è per lei importante. Di carattere sensibile, malinconico, piuttosto solitario, è poco compresa dai genitori. Prosegue gli studi presso le scuole professionali all’Istituto “Laura Solera Mantegazza” e cerca di essere ammessa al Liceo Manzoni, ma non supera proprio la prova di Italiano. Nello stesso periodo, si dedica allo studio del pianoforte, strumento da lei particolarmente amato. A soli 15 anni esordisce come autrice. Purtroppo incontra “le prime ombre della mente” e viene internata in una clinica a Milano. Quando esce, alcuni amici le sono vicini e vengono pubblicati suoi lavori. La sostengono, tra gli altri, Eugenio Montale e Luisa Spaziani. Ha una complessa relazione con lo scrittore e critico letterario Giorgio Manganelli e, quando questa finisce, sposa Ettore Carniti, proprietario di alcune panetterie a Milano, con il quale ha un rapporto tormentato e burrascoso . Nel frattempo pubblica importanti raccolte poetiche. Nasce la prima figlia Emanuela e al medico curante della bambina, Pietro de Pascale, dedica un raccolta di poesie.

Inizia la fase drammatica della sua vita, in cui si alternano periodi di ricovero in clinica e rientri in famiglia, durante i quali nascono altre 3 figlie. Soffre probabilmente di sindrome bipolare, per la quale hanno patito altri grandi artisti (ricordo in particolare Virginia Woolf). Continua comunque a scrivere sia in prosa che in poesia. Ottiene una laurea honoris causae presso la facoltà di Scienze della Formazione di Milano e tiene una lectio magistralis sul suo vissuto.

Prima nel 1979 e poi nel 1986 prova l’esperienza del manicomio di Taranto, da cui nascono testi di intensa e sconvolgente drammaticità, come “L’Altra verità. Diario di una diversa”, cui seguono altri successi come “Fogli bianchi” e “Testamento”. Uscita dal manicomio dà il via ad altri testi intensi, legati alla sconvolgente esperienza. “La terra santa” viene considerato il suo capolavoro. Conosce un periodo di difficoltà economica e per anni rimane ignorata dal mondo letterario. Rimasta vedova, si risposa con il poeta e medico Michele Pierri, si trasferisce a Taranto. Sperimentato nuovamente l’orrore del manicomio di Taranto, ritorna a Milano, dove inizia una terapia privata. Continua a scrivere, ricevendo di nuovo attenzione dal pubblico e dalla critica. Muore il 1 novembre 2009 a causa di un tumore osseo al San Paolo di Milano.

Oggi è universalmente riconosciuta come una delle più grandi poetesse italiane.

 Non mettermi accanto a chi si lamenta senza mai alzare lo sguardo, a chi non sa dire grazie, a chi non sa accorgersi più di un tramonto. Chiudo gli occhi, mi scosto un passo. Sono altro. Sono altrove…

 

Quelle come me sono quelle che, nell’autunno della tua vita, rimpiangerai per tutto ciò che avrebbero potuto darti e che tu non hai voluto…

 

Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.

 

 

Grazie alla vita

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“ Nei giardini umani

che adornano tutta la terra

mi sforzo di comporre un bouquet

d’amore e di condiscendenza”

( da Es una barca de amores)

GRAZIE ALLA VITA

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato due stelle che quando le apro
perfetti distinguo il nero dal bianco,
e nell’alto cielo il suo sfondo stellato,
e tra le moltitudini l’uomo che amo.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato l’ascolto che in tutta la sua apertura
cattura notte e giorno grilli e canarini,
martelli turbine latrati burrasche
e la voce tanto tenera di chi sto amando.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato il suono e l’abbecedario
con lui le parole che penso e dico,
madre, amico, fratello luce illuminante,
la strada dell’anima di chi sto amando.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato la marcia dei miei piedi stanchi,
con loro andai per città e pozzanghere,
spiagge e deserti, montagne e piani
e la casa tua, la tua strada, il cortile.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato il cuore che agita il suo confine
quando guardo il frutto del cervello umano,
quando guardo il bene così lontano dal male,
quando guardo il fondo dei tuoi occhi chiari.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato il riso e mi ha dato il pianto,
così distinguo gioia e dolore
i due materiali che formano il mio canto
e il canto degli altri che è lo stesso canto
e il canto di tutti che è il mio proprio canto.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto.

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Violeta Parra nasce a San Carlos, nella provincia di Chillàn, il 4 ottobre 1917. Figlia di una sarta e di un professore di musica appassionato di folklore. è la terza di 9 figli. La sua infanzia è difficile per le difficoltà economiche della numerosa famiglia, che si trasferisce in un sobborgo di Santiago del Cile, quando Violeta ha 3 anni. Per aiutare la famiglia inizia a cantare sin da piccola: a 9 anni impara a suonare la chitarra e a 12 anni scrive le prime canzoni. Con i fratelli si esibisce nelle strade, nei circhi e nei bordelli. Diplomatasi come maestra elementare, a 23 anni esordisce nella capitale cilena e incide i primi dischi. Sposa Luis Cereda e da questo matrimonio nascono i figli Isabel e Angel. Violeta suona nelle sale da ballo e per piccole stazioni radio, ma intanto incomincia a interessarsi delle tradizioni popolari del suo paese. Finito il primo matrimonio, si risposa e dal nuovo legame nascono le figlie Rosita Clara e Luisa. Grazie ai consigli di suo fratello Nicanor (anch’egli poeta), Violeta Parra comincia alla metà degli anni ’50 il suo “viaje infinito” per tutto il Cile, dal nord rovente e desertico fino alle estreme e gelide terre australi. Dal suo “viaggio infinito” nasceranno, oltre alle raccolte di canti popolari che saranno alla base dell’intero movimento della “Nueva Canción Chilena”, dei capolavori poetici come “Rún Rún se fue p’al Norte” e “Exilada del Sur” (cantate poi dagli Inti- Illimani). Assieme a giovani musicisti fonda una società editoriale e discografica. Torna a viaggiare, approfondendo le condizioni dei contadini e del sottoproletariato urbano, facendosi portavoce delle loro lotte. Si scoprono in lei altri talenti: si dedica alla ceramica, alla pittura, agli arazzi. I suoi quadri su iuta sono esposti anche al Louvre.

Nel 1960 incontra il musicologo e antropologo svizzero Gilbert Favrè, che diventerà l’amore della sua vita e a cui dedicherà centinaia di canzoni d’amore. Con i figli gira l’Europa per una lunga tournée e arriva anche in Italia.

Tornata in Cile installa alle porte di Santiago un grande tendone (La carpa de la Reina), con l’intenzione di farne un centro culturale sul folclore cileno, ma non riesce a coinvolgere il grande pubblico. Va in Bolivia, poi torna in Cile, per continuare il lavoro artistico nel suo centro. Gilbert Favrè la lascia e parte per la Bolivia: questo dramma personale sconvolge la sua vita.

Nel 1966 tiene gli ultimi concerti nell’estremo sud del Cile, a Puerto Montt. Durante la serata finale in questa cittadina, una donna che aveva assistito ai suoi concerti e aveva visto la difficoltà che Violeta aveva nel trovare una sedia adatta per suonare ( era alta solo 1,51m), gliene fabbrica una delle sue misure e gliela regala. È la stessa sedia sulla quale il 5 maggio 1967 Violeta viene trovata morta, nel retro di un teatro di Santiago nel quale si era appena esibita. A 50 anni, colpita da una grave forma di depressione, si è suicidata.

La canzone “Gracias a la vida” è il suo testamento spirituale ed è la canzone per la quale diventa nota in tutto il mondo.

Violeta Parra fu una donna generosa, geniale ed inquieta. Di carattere soggetto ad allegrie irresistibili e a terribili depressioni improvvise, ebbe sempre chiaro quale fosse il compito che si era prefisso. Del folklore diceva: “Non lo intendo come una sopravvivenza archeologica isolata che si sviluppa come cultura dominata nei confronti di una cultura dominante, ma come un fenomeno culturale che corrisponde a determinate forme sociali e che si trasforma o si annulla in funzione di tale corrispondenza”.

Il maggior contribuito dato da Violeta Parra fu il concetto di canzone come strumento di denuncia, lontano dalle banalità e dai versi facili ma senza sacrificare la bellezza e la poeticità del contenuto. Così spiegò Violeta Parra stessa: “Ogni artista ha l’obbligo di mettere la sua creatività al servizio degli uomini. Oggi non si deve cantare più di ruscelletti e di fiorellini. Oggi la vita è più dura e la sofferenza del popolo non può essere disattesa dall’artista.” Oppure, come dice nelle sue “Décimas Autobiográficas” (opera veramente geniale in ogni suo aspetto).

Yo no protesto por mí
porque soy muy poca cosa,
reclamo porque a la fosa
van las penas del mendigo.
A Dios pongo por testigo
que no me deje mentir,
no me hace falta salir
un metro fuera ‘e la casa
pa’ ver lo que aquí nos pasa
y el dolor que es el vivir.